Mauro Ferrari, Pubblicare poesia (una garbata polemica)
C’è qualcosa di nuovo nell’aria, anzi d’antico... Quasi ci si meraviglia della nascita di nuove collane di poesia, anche nella medio/grande editoria, dimenticandosi che questa è, da sempre, quasi una costante.
Certo, ben vengano i tentativi di dare visibilità e soprattutto peso critico a un genere sempre più marginale sia culturalmente che editorialmente; bisogna però riflettere sul fatto che non basta far nascere una collana di poesia, il che magari per un po’ attrae buoni poeti: la poesia va supportata, oggi più che mai, da elementi che non sono di contorno e pura apparenza, perché occorre almeno un panel visibile di credibili Lettori, redattori ed editor specifici; e poi una attività social e di promozione (mailing, presentazioni, letture ecc.) che spinga non tanto le vendite quanto la visibilità qualificata. E il blasone, vero o supposto, non basta (più) per attirare l’attenzione di lettori smaliziati perché sempre più sparuti e ben informati.
Questo è il punto chiave, perché comporta costi e impegni che ben poche sigle (soprattutto nella grossa editoria) sanno e vogliono affrontare, a fronte di guadagni che, se vengono, sono per loro irrilevanti; e, aggiungiamo, a fronte di un effetto alone e traino da tempo inesistente. Del resto, è anche vero che l’editoria medio/piccola, o diciamo specializzata, la quale non di rado ha capacità e credibilità, non può perdere di vista l’aspetto brutalmente economico... Così, tanti bei progetti sfumano, andando ad aggravare per di più la già cronica dispersione editoriale del genere.
Fatta questa premessa, ben venga ogni serena e onesta riflessione sul fare e pubblicare poesia oggi, con quali numeri e con che obiettii qualitativi. Visto che in un caso recente puntoacapo è stata citata in riferimento a "numeri eccessivi", in qualità di direttore e quindi responsabile del Catalogo credo di dover dire la mia.
In primis: viene citato il numero di 65 pubblicazioni per anno, il che è vero... ma sommando tutte le circa 20 collane dei nostri due marchi, quindi includendo poesia (circa 30 titoli), narrativa, prosa breve e aforistica, critica, teatro e riviste. Ma anche così occorre fare qualche precisazione: ci sono editori che pubblicano pochissimi titoli di poesia all’anno, e in genere hanno ben altre collane che forniscano l’indispensabile introito economico – perché non dimentichiamo che una casa editrice è un’azienda e, se va in passivo, come abbiamo visto tante volte, o chiude o rimane in animazione sospesa, quasi a solo titolo testimoniale.
Non è la nostra via: ogni collana corrisponde a un progetto specifico, con propria Direzione e Redazione; se da un lato diciamo a chiare lettere che non ci interessano esordienti (una manciata su 700 titoli in 15 anni), è anche vero che abbiamo aperto una collana specifica (Controcorrente) che, a fronte di 2-3 titoli all’anno, richiede un percorso di editing e lavoro che certamente scoraggia chi non è adeguatamente motivato. Una collana come Format, aggiungo, che raccoglie con grande cura l’opera completa o selezionata di molti poeti importanti, è ferma da due anni per motivi intuibili. La collana più prolifica è in media AltreScritture: diretta da me e Ivan Fedeli (200 titoli in 14 anni), ha vinto circa 100 premi letterari: so bene quanto ciò sia opinabile, ma penso provi qualcosa, anche solo verificando i titoli usciti, i nomi dei prefatori ecc. L’altra collana accostabile per numero di uscite è Intersezioni (88 titoli in 8 anni) da me diretta: contiene alcuni dei titoli più premiati ... e venduti. Le altre (ad esempio la dialettale AltreLingue) hanno da una a tre uscite all’anno. Se una trentina di uscite di poesia, a questo livello, fanno storcere il naso a qualcuno, sarebbe bene verificare quanto pubblicano editori di livello paragonabile all’estero: (due soli esempi: sia Carcanet che Bloodaxe, in Inghilterra, sono tra i 35 e i 40 libri annui).
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Fatta questa precisazione, ribadisco una cosa a cui teniamo molto: puntoacapo, che è del tutto indipendente sotto ogni aspetto, è un unicum: ditta individuale (appunto: puntoacapo Editrice di Cristina Daglio), ma NON PICCOLA Casa editrice, meno che mai di quelle che vantano collaboratori inesistenti, hanno il magazzino in cantina, non fanno attività di promozione, non hanno social, aggiornano il sito ogni sei mesi... Noi pubblichiamo il numero di titoli che possiamo gestire, ad esempio con circa 200 eventi annui organizzati direttamente, in presenza e online. Ed è tutto sul sito, verificabile, dove (visto che ci si lamenta della poca trasparenza di alcune sigle) noi indichiamo anche chiaramente, nel catalogo e nella pagine di ogni collana, le pubblicazioni già definite. Per trasparenza. Noi.
Altro punto emerso: si pubblica troppa poesia? Alcuni interventi mi sembrano contraddittori: da un lato qualcuno dice che occorrerebbe non pubblicare poesia per dieci anni, dall’altro c’è chi lamenta la difficoltà di accesso a certe collane “di prestigio” (vero o supposto), perché troppo striminzite ed elitarie. Quindi è chiaro: qualcuno pubblica troppo (e di bassa qualità) altri troppo poco (e non è detto che sia indice di selezione qualitativa). Tutto lì, ed è normale. Se un editore pubblica tre titoli all’anno, vuol dire che non può o non vuole fare di più, e la qualità delle uscite c’entra fino a un certo punto. Se un altro pubblica cento titoli di sola poesia, è altrettanto chiaro che non fa alcuna selezione, il che sarà anche evidente da ciò che pubblica e da mille altri dettagli.
Vero, molti autori scrivono (e pubblicano) troppo: noi, che abbiamo la fortuna di avere una certa continuità con tanti autori, chiediamo almeno due o meglio tre anni di intervallo tra una raccolta e l’altra, e scoraggiamo i volumi troppo esigui, a meno che non costituiscano un progetto completo e credibile.
Ultimo appunto (in cauda...) su quanti sparano sentenze sulla purezza etica, sull’editoria come missione ecc., tutti soddisfatti della propria anima bianchissima (fino a prova contraria almeno) e del panorama che si gode dal balcone a vedere i treni che passano – con grande nobiltà d’animo (forse), ma totalmente al di fuori del panorama letterario, magari producendo la propria rivistina semi-ciclostilata e pochi titoli all’anno – purissimi ma ahimé invisibili... Tutto lecito, per carità: però non è la nostra strada, come dicevo, né quella di chi fa editoria come mestiere, e fa ogni giorno i conti (in senso anche letterale) su cosa sia la produzione (occhio alla parola) di cultura in questo Paese... Senza fare polemiche, ma lavorando. E sodo.
(Nota: vorrei approfondire il discorso con un post successivo, un po’ noioso perché basato su numeri autentici, riguardo ai costi di una Casa editrice. Sarebbe molto utile fare chiarezza una volta per tutta e dire quello che nessuno dice. Vedremo...)
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