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Luca Atzori - Due inediti



Fotografia tratta dal volume voluto da Fondazione del Teatro Grande di Brescia nel 2019 nel quale sono immagini scattate negli anni da nove fotografi bresciani dell'Associazione "Il Biancoenero": Tiziana Arici, Donata Bini, Vincenzo Cottinelli, Marco Febbrari, Gino Ferri, Eros Fiammetti, Michele Gusmeri, Giovanna Pedroni, Rosetta Zampedrini. Abitando gli spazi del Teatro, i fotografi hanno catturato il fascino misterioso e "non visto" della "fabbrica del Teatro Grande", svelandone un punto di vista privilegiato.






Bartoque



BARTOQUE Benvenuto, si sieda pure. Su parli, mi dica... Oh forse lei è... è timido? desidera un bicchiere d'acqua? Oh scherzavo dai... va bene lo so che non faceva ridere. Ho capito, lei vorrebbe capire chi sono io. Ma è inutile cercare di capirlo, lei tanto lo sa già. Scusi sono io, Bartoque, che c'è qualche problema? Mi immaginava diverso, vero? Lo so. Lei si immaginava di trovarsi davanti a un ciccione col mento in avanti, qualcosa del genere, vero? E su, parli! MUSICHIATRA Si.

BARTOQUE Oh, voilà! E invece vede? Guardi che bel figurino che sono. Oh beh sa perché noi ci incontriamo? Non lo sa... glielo dico io. Noi ci incontriamo perché fuggiamo l'uno dall'altro. Le sembrerà che io usi facili paradossi, ma mi deve credere, faccia molta attenzione perché abbiamo poco tempo eh....

MUSICHIATRA Voglio firmare un contratto, troviamo un accordo. Voglio porre fine a quest' Epoque Bartoque.

BARTOQUE Ma (ride) Musichiatra. Esca da quella porta, no? Secondo lei dove si svolgono le epoche? Basta aprire una porta? Oppure cacciare di casa qualcuno? La verità caro Musichiatra, è che lei è soffocato dalle azioni altrui. È poco reattivo per loro. Sono come zecche che le si posano addosso.

MUSICHIATRA Perché non gridi? Perché non digrigni i denti? Perché non sbatti la tua testa contro il muro? Perché? Perché?

BARTOQUE Perché io sono quello che risponde sempre pronto. Quello che ha la moglie felice. Che sa come non farsi fregare da nessuno. Quello in giacca e cravatta che sa sempre come vendicarsi. E tu, invece, permettimi di darti del tu... tu sei loro. Sei quelli che provano invidia. Che digrignano i denti. Quelli che vengono ricoverati. Quelli che vorrebbero ammazzare uno come me, perché la vita non darà mai loro quel che invece ha dato a me. Oh e hai scoperto che in fondo, tu sei tutti quegli altri. Oh si se lo ha capito. Che siano poveri o meno, caro musichiatra, tutti quegli altri sono te. Eppure non ti perdonerai mai di averli odiati, anche solo per un istante. E di avere amato invece sempre solo me. Fino al punto da non potermi più raggiungere. E avanti così sino a sprofondare nella miseria.

MUSICHIATRA Ma tu possiedi poco... io possiedo tutto.. possiedo la dolcezza degli occhi di Delfina, la fratellanza di Mario, l'aiuto di quell'altro, l'amore di mia madre, e poi la mia musica e tutto il resto, la vita...

BARTOQUE E allora, che vuoi da me?

MUSICHIATRA Voglio quel che mi manca per continuare a vivere...

BARTOQUE Ma una volta trovato questo, perderesti tutto il resto!

MUSICHIATRA Non si può arrivare a un compromesso? Potremmo fare come il dottor Faust BARTOQUE Oh ma io non sono certo qui per ingannarti. Perché vuoi a tutti i costi farti ingannare? Hai qualche problema?

MUSICHIATRA Perché voglio a tutti i costi farmi ingannare? Perché voglio a tutti i costi farmi ingannare? Perché voglio a tutti i costi farmi ingannare?


Era da ore che si guardava allo specchio, blaterando come se riflesso ci fosse il volto di qualcun altro. Non appena poggiava il suo sguardo altrove, non vedeva nulla, e questo non era capace di sopportarlo. Erano i suoi affetti, tutti accumulati, la notte era importante. Li serbava dentro di sé per costruire il suo giardino, il suo palazzo. Se non ci fossero stati, sarebbe stato lui a prendere il sopravvento, Bartoque, e tutto il sentimento sarebbe sfiorito. E l'amore era per lui un prendere distanze per conservare sé stesso. Un modo per proteggersi. Un modo che quella mamma aveva per tenere in braccio il suo bambino, per poi potersi putrefare, ma danzando, lasciando che il bambino potesse inseguirla e dirle mamma vengo con te... mamma... e poi un abbraccio celeste e tutti commossi. Tutti gli oggetti, il giorno in cui lei fosse morta, sarebbero stati i resti. Mentre invece loro li hanno presi apposta quei resti, perché di lui potesse non rimanere più nulla, e potessero cancellarsi le sue orme nella memoria celeste. Questo è Bartoque. È tutto quanto è fuori. E che una volta che ti entra in casa e spazza via tutto, ti costringe a una più dura resistenza. Resistere il che non significa voler essere libero eh, proprio no. Liberarsi è dimenticarsi e questo il musichiatra lo sapeva bene... perché se in un'orchestra nel mezzo di una sinfonia tutti i violini smettessero di suonare (pausa poi riprende) ci sarebbe un silenzio improvviso, impossibile da sopportare. Sarebbe il silenzio di quel fuori, pronto a congelarti. Simile a una finestra che si spalanca in inverno, si ma ancora peggio. Nessuno ricorda la propria nascita Bartoque è questo. Nient'altro che questo.






 

Casa Bartoque



Sulla via trovi un arco da cui si sporge una lampada antica fatta di superfici vitree frantumate ai bordi. Camminando vai verso un portoncino che da su un largo androne. Da lì le mura si fondono fino a deturparsi, come riflesse in uno specchio deformante. Nel cortiletto è possibile perdersi. E' un mistero come ci si possa perdere in un'area così ristretta. Può capitare di trovarsi davanti ad un portone che porta verso l'altra estremità della città. Poi tornando indietro si riesce facilmente a ripercorre la via e ci si trova, salendo le scale, al piano ammezzato. Non appena aperta la porta trovi un cumulo di oggetti, misti a resti di muro, cartoni, fogli, pagine strappate di giornale. Davanti c'è una finestrella stretta a fianco della quale c'è un tavolino. Il soffitto è basso, fino quasi a toccare la testa, il pavimento è sporco, ricoperto di polvere e cenere. Se ti volti a destra trovi sul muro una citazione di Tristan Tzara: Urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo urlo E ancora una volta io mi trovo veramente simpatico. Poi, camminando avanti, fra le due stanze comunicanti, trovi segni cancellati di tarsie anch'esse semi-incenerite, rivestite di firme e di scritte lasciate da chi passando di lì ha voluto lasciare la sua traccia. La stanza in cui ci si trova è vuota, stretta. Solo un tavolo al centro. Un caminetto. Poi voltandosi a destra una finestra più grande, ma difficile ad aprirsi. Se si cammina verso il caminetto, voltandosi a sinistra, si può scorgere la stanza del bagno, coperta da una tenda. Se si prova a spiare non si trova niente. La stanza è completamente vuota. Solo macerie, buchi, scarti di masserizie, cenere e cenere, sempre cenere. Voltandosi indietro si trova un'altra soglia che porta a un'altra stanza. E' la stanza dove poggiato a terra trovi un materasso sottile. Due finestrelle. Alcune sedie, uno sgabello messo lì apposta per farci sedere le donne, perché mostrino bene le gambe. E poi un pianoforte, nudo, con le corde messe in vista. A suonarlo è il musichiatra. Vibra sottile nella casa la frequenza delle note che danno il nome: Bartoque. E in quelle note, in fondo, se chiudessimo forte gli occhi e ci accostassimo alle pareti, ci sentiremmo come immersi in quelle acque amniotiche di una volta. Un liquido da non abbandonare mai. Dove ogni solidità si piomba davanti al nostro immaginario come una minaccia, quasi fossimo noi l'argilla e quelle le mani di un artigiano crudele, meschino. È forse probabile che in fondo si tratti solo di un artigiano quando parliamo di Bartok. Un artigiano silenzioso che scolpisce usando la materia del tempo, lontano dalle nostre orecchie, lontano dai pietrini sulle strade del centro di Torino, lontano dalle case. Calmo, anche perché è un lavoro molto delicato il suo. Bisogna fare silenzio. Che poi gli va tutto stretto. I vestiti. Si, probabile che in realtà sia un po' grassoccio. Eh ma quest'umiltà gli piace e se l'è scelta apposta questa casa dove tutti i pezzi mancanti svuotano ogni soddisfazione, e meno male perché potrebbe essere nociva per la comparsa delle frequenze, delle note, gli accordi, gli intervalli, le seste, le settime, le ottave, le armonie tonali quelle atonali. Forse quell'artigiano vuole solo fare spazio, darsi pace, ascoltare. Bisogna solo saperci trattare, ma bisogna saperlo fare con l'abilità propria dei migliori affaristi. Così fino a dedicargli una casa, addirittura la propria, sino a farla ancora più propria, e poi darle un nome: casa Bartoque, ed è fatta.

 



 

Luca Atzori, ex direttore artistico del Teatro Piccolo Piccolo e membro fondatore del Mad Pride di Torino. Drammaturgo, attore, poeta, cantautore. Autore dei libri: Un uomo dagli occhi rotti (Rizomi 2015) Gli Aberranti (Anankelab 2019), Teorema della stupidità (Esemble 2019) Vangelo degli infami e Apocatastasi (Eretica 2020 e 2022) e dei dischi Chi si addormenta da solo lenzuola da solo (2017), Mama Roque de Barriera (2019) Insekten (2020) Iperrealismo magico (2020) Almagesto (2021) disco per l'estate (2022) la fine dei tempi (2023) Camillo trash can (2023) Volti, perché s'incontrano (2024)

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