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Jacopo Pignatiello - nuovi Inediti

  • almanacco
  • 24 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

Epitaphium


il silenzio s’imprime sulla terra

e tutto si schiaccia col suo peso

la sera va mi toglie un altro giorno

nel buio resta il tempo che non vivo





Asfissia


la notte sa di ferro e di saliva

stringe con la morsa un fello fiato

stritola l’atra pressa punitiva

la bocca spasma un nome non sfiatato

la trista ombra strangola ogni promessa

la vita si contorce e poi si arresta

(così morì la sua bella voce

lasciando il silenzio boia feroce)




Alba


le labbra sfiorano il bordo

della tazza rossa bollente

il suo fiato caldo mi bacia

e gioca come una bimba

appannandomi gli occhiali

è il suo buondì

osservo assonnato

il vapore danzare lento

scorrere con garbo

sfaldarsi informe

tenue tremula bruma che vagando

imita la mente intorpidita

ed evoca l’eco

di un pensiero che non torna

forse perché devo destarmi

ma sento di voler dire

qualcosa che ho perso

è come un’ombra che indugia

con passo esitante sulla porta

rossa anche quella

fisso per un po’ un punto nel vuoto

il nescafé si sta raffreddando

il velo acqueo si dirada

assaporo gli ultimi sorsi

osservo l’immagine sul fondo

e la trovo indecifrabile

la luce si affaccia

bussando piano sui vetri

prima di stendersi sul tavolo

e illuminare

le briciole di ieri sera

il tempo si piega

ma il giorno

seppur senza fretta

senza scuse

s’incammina comunque

prima di me

 

 


Scale


Tutti i giorni

affronto dei gradini

con la schiena dritta

e l’anima piegata a L.

A volte, ti vedo.

Andavamo a teatro,

ma lo spettacolo eravamo noi:

tu, attrice tragica delle incertezze,

io, comico con le gambe tremanti.

Salisti delle scale con me,

aspirando l’aria

espirando timori.

Ti lamentavi,

un po’ buffa,

adorabile,

prendendotela con il fiato.

Io rallentavo,

per cavalleria, per amore...

e per mancanza allenamento,

fingendomi più aitante

di quello che sono.

Ora salgo senza ammirarti accanto.

Tu sei rimasta

al pianerottolo del ricordo,

con quel sorriso a metà

tra l’affanno e il desiderio.

Da allora, le scale

sono diventate un giudizio:

mi valutano,

mi contano i passi,

mi ricordano che il batticuore

lo si sconta restando fermi.

Ogni rampa è una domanda

che finisce col fiatone.



 

*


mi doni il mattino

ma la luce che porti

ha odore di cenere

eri mia

sei mia

però quando il buio ti prese

gli apristi la veste

ora mi siedi accanto

con le mani pulite

eppure io sento il taglio

delle tue ombre

quando non ci sei

il cuore è troppo grande

per il petto

ed è continua asfissia

ora aiutami

e se dovrò partire

accompagnami almeno

verso il porto

tenendomi la mano

 



Alla Vergine

 

La chiesa è ancora chiusa,

ma tu ci sei,

alabastra effigie

con quel bimbo che ti contempla

mentre rivolgi

a me

il tuo sguardo dolce e severo.

Plumbeo il cielo

macina silenzi,

la mia voce

è una supplica atterrita.

Ti chiedo

senza parole

di non lasciarmi

cadere nell’assenza.

Fammi intero

nel buio che cola

sul passato,

sul presente,

fermalo tu

mentre dilaga

sul futuro.

Rendimi

la mia luce quotidiana.

 

 

 

 

 


Jacopo Pignatiello si è laureato in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi in Letterature comparate. Attualmente insegna discipline storiche e letterarie nelle scuole superiori. Ha curato contributi di ricerca letteraria e storica pubblicati in periodici, atti di convegni e miscellanee. Alcuni suoi componimenti sono apparsi su delle riviste online e in delle antologie poetiche.

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