Marisa Napoli su "La consistenza dell’aria" di Claudia Ambrosini
Interessante è il modo di dare inizio al romanzo esplicitando la contestualizzazione, quasi per una necessità di definire, da una parte i contorni e i limiti e dall’altra le dinamiche di movimento e di crescita dei personaggi oltre che del rapporto tra di loro e col mondo circostante.
Come in un’opera drammaturgica, vengono elencati i personaggi principali, la loro rete di relazioni, le tappe della vita della protagonista, Vera, i suoi spostamenti geografici dall’Oltrepò pavese, all’Appennino tosco emiliano, fino all’approdo in una zona fuori Pavia: in questo ampio scenario si svolgono vite di donne, tratteggiate minuziosamente nella loro quotidianità, con un’attenzione minimalistica al loro fare, al rapporto tra di loro, con gli uomini, con la casa, con la terra. Chi legge viene catapultato in modo empatico nella vita di queste donne ed è in grado di cogliere il loro universo, la loro sensibilità, la loro visione del mondo. Tipica scrittura al femminile, tracciata da un punto di vista femminile, con la delicatezza femminile di uno sguardo di donna su donne.
Un altro elemento strutturale singolare, è l’apparato dei titoli, strettamente collegati alle epigrafi, all’inizio di ogni capitolo. Mi è sempre piaciuto scoprire dietro ogni scrittore il lettore, rilevando i suoi punti di riferimento, gli autori amati, soprattutto quelli che hanno lasciato una traccia, con una espressione, un verso, un’idea. Con Claudia Ambrosini qui il gioco si fa esplicito, nel mentre vengono selezionati versi o frasi dalla sua personale biblioteca.
Spesso nella narrazione s’incastonano, come medaglioni, micro testi narrativi, come quello di Sant’Antonio Abate, il Prometeo cristiano, raccontato ai bambini dalla maestra Vera. O ancora la ministoria del posteggiatore con la cornacchia (p. 65), quando si parla di barboni/nomadi/senza tetto.
Il lettore è trascinato da una scrittura scattante, sintetica, essenziale, prevalentemente paratattica. Lo slittamento temporale mantiene desta l’attenzione. La narrazione di Vera passa continuamente senza soluzione di continuità dal suo presente di ottuagenaria ai vari stadi del suo passato attraverso lucidi flashback, dall’infanzia alla crescita professionale e umana, al matrimonio, alla nascita della figlia, agli anni della perdita delle persone più care, alla scoperta di aspetti oscuri e nascosti in persone che credeva di conoscere, nella seconda parte del romanzo, dove le vicende di susseguono nella dimensione del giallo.
La curiosità è sollecitata anche da una notevole varietà stilistica. Ci s’imbatte nel registro tecnologico o in soluzioni poetico-metaforiche: “Era poliedrico e stratificato, un millefoglie di interessi, capacità e sentimenti. Siamo tutti così?”; o in proverbi in dialetto, quando si evoca con una certa ebbrezza emotiva la vita dei primitivi allo stato naturale; o ancora nel registro giornalistico, quando si focalizza il tema della violenza sulle donne, riportando la cronaca del femminicidio della marchesa Casati.
Certo è che i temi che stanno a cuore all’autrice emergono con evidente forza argomentativa quando, per esempio, si ripercorre la linea matrilineare della trasmissione dei modelli educativi. Vera, nel suo rapporto con l’adolescente Linda, opera una rivalutazione dei modelli educativi della madre, la quale ha sempre offerto, anche con insistenza, cibo agli ospiti, dimostrando così in concreto il concetto di accudimento. La presenza del materno viene messo in evidenza anche nella rievocazione della protagonista circa la gestione del lavoro nell’orto con la mamma e la nonna. Il modello familiare, nel bene o nel male, rimane forgiato in Vera bambina come un imprinting indelebile, che solo la saggezza della maturità e la distanza della vecchiaia possono rivalutare senza remore.
La scrittura assume l’andamento meditativo Zen quando, soprattutto nel rapporto di Vera con Delia, anche il lettore è sollecitato ad ascoltare “il respiro della terra”, durante il lavoro in giardino e il contatto con la natura. Spesso un frase sintetica chiude un ragionamento a mo’ di sentenza, in cui è racchiuso un principio etico da affidare al lettore: “Chi è vivo, richiede cura”, se si vuole salvare l’ecosistema.
L’intreccio tra storie individuali e storia esterna viene espresso in modo sempre diverso e stilisticamente variegato. Il discorso del capo partigiano, detto il Pirata, pronunciato con parole semplici ma sincere e sostenuto da una fervente e genuina foga oratoria, denuncia le atrocità della guerra e del regime fascista e alla fine riesce a persuadere i presenti a costituirsi in una brigata di resistenza. Altre volte il mondo esterno traspare a distanza in contrasto con l’attimo vissuto intensamente dai personaggi, come quando si evocano le esplosioni delle lotte operaie a Torino o l’inizio della strategia della tensione, proprio nel momento in cui Vera e Pino prendono consapevolezza del loro amore. Altre volte, quasi en passant, si accenna con leggerezza che si colora di ironia o autoironia a temi anche impegnativi: “L’origano viene dalle terre confiscate alla mafia. Non si dica che non faccio la mia parte come cittadina!”
Lo spessore culturale di Claudia Ambrosini traspare senza saccenteria ma con solidità, quando soprattutto la protagonista fa emergere il suo background di maestra competente e informata, grazie a letture e studi letterari o scientifici, relativi al mondo occidentale o orientale, al passato o all’attualità. Spesso capita che Vera, per interpretare il suo presente, ricorra ad immagini letterarie, che diventano chiave di lettura delle sue associazioni mentali: “Dicevano i greci conosci te stesso, solo così Ulisse può superare l’isola delle Sirene. Parlo di Ulisse o di Pino?”.
Comunque prevale sempre l’attenzione alla fisicità dell’essere, sottolineando “l’importanza del corpo, quando la consistenza dell’aria non basta” e si manifesta il desiderio di un figlio.
Oppure si ricorre poeticamente al metro della corporeità per valutare il corso della vita: “Le mie mani sono mappe di un viaggio durato troppo a lungo”.
La valutazione che Vera fa delle proprie esperienze di sesso, in una narrazione cronologica espressa con seria-ironica leggerezza, assume quasi un valore didascalico nel mostrare la ricerca di sé e di una più soddisfacente realizzazione della propria vita sessuale.
La storia di Alma, la diversa, diventa emblematica di tutto un processo di liberazione della donna, perché proprio nei limiti della sua condizione, della sua reclusione, della sua diversità riesce a conquistare una pienezza di vita in cui esprimere la potenzialità della sua gioiosa vitalità, proprio scoprendo un proprio soddisfacente modo di fare sesso.
La visita di Vera e Pino alla palazzina che poi sarebbe diventata la loro casa offre l’occasione per riflettere sugli oggetti, presentati da Ambrosini con minuziosa attenzione attraverso uno stile elencatorio, volto a scrutare in particolare gli oggetti personali d’uso dei precedenti proprietari nella loro quotidianità all’apparenza banale ma intrisa di tanta personalissima intimità.
A tal proposito è proprio vero quanto scrive Angela Passarello a proposito della potenza della scrittura: "persino gli oggetti si mostrano, e, chi, non c'è più, ci appare non come ombra fugace dell'apparire, ma come ombra dell’esserci, in quel sempre presente, reso possibile dalla scrittura”. Ambrosini, infatti, scrive: “– Geniale! – disse Pino. Era in sintonia con quella coppia. Dall’aldilà, ci stava passando il testimone? E questo, che rimane delle nostre esistenze dopo che ce ne siamo andati (p.84)”. Si sottolinea qua il tema del rapporto con i morti, che diventa l’occasione per una vera e propria riflessione filosofica; è il tema che pervade il romanzo fino alla fine: quello della morte e dell’elaborazione del lutto, attraverso l’autoanalisi di percorsi di vita provati da dolori, sofferenze, tragici lutti ma soprattutto sensi di colpa e autopunizioni e limitazioni della propria vita.
Psicoanalitica è la trattazione del tema del senso di colpa: “Allora ho messo a tacere i pensieri, soprattutto quelli che dicevano dei sentimenti. Sostituire la morte con il silenzio. Avrei voluto morire al posto loro. Sai quante volte ho desiderato di morire? Mai abbastanza, se sono ancora qui. Ci sono giorni in cui il senso di colpa mi annienta.“. Pratiche come agopuntura, yoga , meditazione aiutano a prendere consapevolezza e a gestire malattie le del corpo e le sofferenze dell’anima. Vera trova sempre sostegno nei gruppi di autocoscienza femministi e nel sostegno solidale di altre donne.
“Dato che ho deciso di vivere, solo perché non riesco a morire, ho pensato che fosse opportuno avere da fare. Ed ecco perché leggo, faccio yoga, bevo te, mi occupo di giardino, orto e di ricette. Sono rimasta incastrata nella vita”.
Di forte impatto emotivo è l’episodio dello stupro.
Claudia Ambrosini si dimostra un’esperta affabulatrice nel trovare un efficace meccanismo narrativo che porta il lettore a “navigare” nella storia dei personaggi, di questa che è una vera e propria saga, uno dietro l’altro, a mano a mano che si presentano (magari attraverso la scrittura di un diario che accoglie vicende e desideri altrimenti inesprimibili, come quello di Elsa o anche di Pino) oppure che vengono presentati sotto i suoi occhi attraverso il filtro della memoria o lo sguardo critico di Vera o di altri personaggi.
La bellissima spiegazione scientifica e nello stesso tempo poetica della pressione atmosferica conclude la riflessione sul rapporto tra i vivi e i morti, tra vita e morte, nella consapevolezza delle parole di Vera: “Oggi vorrei dire ai miei alunni che la consistenza dell’aria è data dai morti che la abitano.”.
Il concetto che la morte non sia un “mancare, ma un diverso modo di essere presente è mutuato dalla cultura cinese “che la morte sia una continua trasformazione in altro infinito di variazioni di stato fisico e chimico”
La conclusione è affidata al potere della scrittura: sono le pagine scritte del diario di Delia che chiudono la narrazione ed è proprio l’ultima immagine che fa riflettere sulla funzione della scrittura “L’ho trovata a scrivere. Con il computer. Doveva scrivere. Lasciare una parola”: prima dell’oblio, prima di andare Vera stessa a rafforzare “la consistenza dell’aria”.
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