Carlo Giacobbi - Inediti
- almanacco
- 30 apr
- Tempo di lettura: 3 min

LE NUVOLE E I GIORNI
I – Le voci dei rinuncianti
la mescola delle acque buie
dove le voci dei rinuncianti invocano
memoria; non di giudizio sia il riguardo
ora per noi, solo d’orecchio –
ciò che fu pronunciato in segni di flessione
saputo bene e per scandalo rimosso –
qui furono vendette alla luce
ruminate in un logoro trascinio di passi
con il lumino tenuto nella mano –
qui si è restati nell’ignoto seme
della lingua amara –
nell’offesa della primula
e del raggio
II – Alchimia degli elementi
forse fu alchimia degli elementi
un già dato; né merito
né pecca; e tu nelle stanzine
degli archeologi, narri di radici e terre
dove affondarono –
di grandine e assolate sui rami –
ma è mappa di glifi neri su fogli neri
ai curiosanti più muta che a te –
dove comprendi
non esperibile il volere –
alterco fossile
lo stato
III – Un incantesimo di pupille
inizia così
nel sovrappensiero di un sospiro d’angeli –
letargia delle intenzioni svilite
nel crescere di nebbie dai fossati –
un incantesimo di pupille
tra le erbe e i ciclamini, cielo perlaceo –
le acque fine del mese crudele
le loro nenie; avvertirsi
non propri, una mendicanza –
un giro d’aria
IV – Le febbri del volere
smemorarsi –
nella resa della busta animata dal vento –
una miseria di coriandoli
e marciapiedi; tu così lontano –
più in là esultano i mandorli fioriti
nel grido dell’azzurro –
una specie di tumulto corre il sangue –
a te in visita ritorna
ancòra vivo, il ragazzo –
le febbri del volere
annuvolato
V - La sua figura d’ometto
ci sono giorni che parli
a nessuno; il pensiero è nebbia di fossi –
stai lì, nell’umida piana, stai lì –
cresce in un’acqua molle, luminosa –
la sua figura d’ometto –
fiocco bianco, grembiule blu –
o il pallone ai piedi e le gambette scorticate –
un fiato a salti dal torace in subbuglio
ti lacera nel dire: <<eccomi –
ora rimediamo>>
VI – Ozio dello sguardo
mi chiedi
e non so dire cosa –
erano le quattordici e trenta
i muri facevano scorte di sole –
l’ora del riposo, quella che la domenica
senti gli aerei, le falciatrici –
non posso sapere se l’urlo della luce fu troppo –
le tumefazioni, le corsie; da che ricordo
erano spesso vapori all’alba sulle piastrelle –
quei vetri leggeri
tipo fischiare con la carta gli spifferi –
o certi cieli bianchi, forse –
cianosi dell’aria, l’ozio dello sguardo
sui pali dei campi –
mi tornano alla mente
i fogli porno, raccolti nella cunetta –
la miseria delle giostre di paese, i circhi –
e poi quei silenzi di pioppi
tu che venivi, e il luogo che non sai
se gli vai bene, tipo stare indietro, di lato –
che non c’è punto che dici
si capisce, non saprei –
non viene a dirlo
Carlo Giacobbi è nato a Rieti nel 1974. Nella città natale risiede e lavora. Ha manifestato, sin dalla giovinezza, interesse per la poesia, la letteratura, il teatro, la musica e il canto. È nelle redazioni di Arcipelago Itaca e Versante Ripido. Collabora con Macabor editore. Ha pubblicato, da ultimo, Erbe d'esilio (portosepolto peQuod), Abitare il transito (Arcipelago Itaca), Vicende e chiarimenti (Puntoacapo), Anche quando è malora (Arcipelago Itaca).
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