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Intorno all'aforisma

Riflessione a partire dal volume Federico Magrin, Il ritorno del soggetto. Accuse e scuse, Collana Candide, puntoacapo Editrice 2023, pp. 96, € 15,00

 





 

L’aforisma, pur se trascurato editorialmente e, ancor più, a livello di riscontri commerciali, è invece ricco di proposte originali. Il genere è difficilmente definibile in quanto proteiforme (come la poesia, del resto): anche se è chiaro che si tratta di una scrittura breve, non diaristica né narrativa, ci si trova davanti a una ampia gamma di soluzioni tematiche, stilistiche e tonali che definiscono le voci più interessanti, e che spaziano dalla battuta rapida e salace all’ironia e al sarcasmo, dalla riflessione filosofica pur se frammentaria all’invenzione surreale – sempre presentando quello scarto, quel balzo intuitivo, quel salto di isotopia che stimolano la mente. Del resto, l’aforisma come genere ha una sua nobiltà e una tradizione antichissima che ha attecchito in ogni Paese e cultura, ma anche una funzione di purificazione linguistica ed etica: nel rumore di fondo della postmodernità, in cui siamo bombardati da notizie, claim, pettegolezzo e vacuità, l’aforisma, come la miglior poesia, è un antidoto intelligente per il linguaggio e il pensiero.

Ovvio, mai e poi mai l’aforisma deve tentare la sistematicità della filosofia, che non è solo una cosa diversa per quanto collaterale, ma a volte quasi l’opposto, puntando alla staticità di un sistema che diventa dogmaticità di un pensiero che si vuole forte ma che si scontra con i limiti umani nel suo approccio con il mondo.

 

Il ritorno del soggetto, il libro del giovane Federico Magrin che appare in una collana puntoacapo di riferimento assoluto come Candide, è assolutamente emblematico. Ognuno dei suoi aforismi (ma qui la definizione è davvero molto stretta) lancia una sciabolata di luce nel buio ma, pur virando al largo della sistematicità, confluisce in nuclei ben delineati, a volte raggruppati in sequenze segnalate da parole-spia. Evidenziamo almeno tre o quattro aree, che non di rado si sovrappongono, rappresentate da spie quali:

Pensiero/pensieri/pensare: 64 occorrenze

Volontà: 50 occorrenze più 1 volere

Morale: 57 occorrenze

Confine: 17 occorrenze

Soprattutto, pur in assenza – fortunatamente – di una rigida sistematicità, la coerenza interna è molto forte, a rivelare un’impostazione filosofica di fondo, o meglio una visione della vita, espressa con stringatezza ed eleganza, mai andando alla ricerca dell’effetto facile da battuta, ad esempio ironica (che in molti autori anche importanti è invece caratteristica centrale); alcune chiuse gnomiche, tuttavia, sono di straordinaria efficacia perché esaltano il salto intuitivo che in Magrin è elemento portante.

 

Il merito principale di questa scrittura è dovuto alla compattezza e alla coerenza del pensiero, che sullo sfondo lascia intravedere il Nietzsche di Aurora e Kierkegaard, ma anche lo scetticismo di scuola greca e contemporanea.

Il nemico, o meglio il bersaglio, è la mancanza di quello spirito critico che apre proprio la raccolta dandole il la (“Lo spirito critico si risveglia al calare sepolcrale della notte”, p. 3): un attacco perfetto, che richiama la nottola di Minerva, la quale “inizia il suo volo sul far del crepuscolo» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto): troppo tardi per la Storia, certo, ma anche in opposizione alla luce razionale del giorno, per favorire una riflessione più umbratile e mobile, più umana, basata sulla volontà e al cospetto dei nostri limiti creaturali: si pensi a tanta poesia romantica, da Thomas Gray a Novalis al Foscolo.

Il bersaglio è identificato in buona parte con la metafisica (p. 42 , 3), cioè il contrario di “una filosofia che metta al centro la vita” con le sue aporie e concretezze (p. 28).

I contorni del pensiero di Magrin, a rischio di banalizzare tanta ricchezza? Il soggetto del titolo (quello che ritorna dopo l’emarginazione di tanto pensiero moderno, è una monade centrata su di sé, e solo una finzione, quella della fede e dell’ottimismo, ci offre la consolazione di una comunicazione con gli altri e con il mondo, o persino una facile via di uscita (p. 8: “l’imago del paradiso cristiano...”); il dubbio (p. 74, 3) e il sospetto sono esercizio di una ragione che però non può non muoversi nell’ambito dei confini e dei limiti umani; la morale poi non fa che erigere confini dogmatici che l’Io deve combattere (p. 22 1-2): pare quindi di sentire l’influsso di Michel Onfray, fra i nomi citati en passant nel libro, o almeno la sua parte più individualista, libertaria, cinica: la volontà “è mossa dal mareggiare dell’oceano“ (p. 7). L’idea stessa che si possa pensare in termini che oltrepassano un frammento, che sia il soggetto o l’immagine della realtà, è indecidibile e fallace (p. 9, 3-4  p. 17, 1); la visione socio-antropologica di fondo fa riferimento alla critica del tecnopolio (si veda almeno il blocco a p. 71), il quale nasce dalla falsa utopia che la tecnologia (e la burocrazia, suo braccio armato) abbia tutte le soluzioni, ma che parte da un fallace assunto universalistico, cioè che i frammenti vadano a costituire una unità gestibile e soprattutto controllabile. Persino il linguaggio – e qui spunta Wittgenstein – non fa che velare la realtà ma anche pungolare al superamento dei limiti (p. 11, 1; p. 40,2)

Quale è quindi la soluzione, o almeno la via? L’esercizio di una ragione che parta da questi assunti, rifiuti il dogma, esalti l’individuo con i suoi limiti e la creatività, contro ogni conservatorismo (inteso in senso lato: p. 55, 3).

 

Federico Magrin ci consegna insomma un grande libro di intelligenza sorgiva e non pretenziosa, ma originale e innestato nel più avanzato pensiero contemporaneo.

 

Mauro Ferrari

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