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Gianni Caccia, su Erano le ombre degli eroi, di Donatella Bisutti

Donatella Bisutti, Erano le ombre degli eroi, Passigli Editore, Bagno a Ripoli (FI) 2023, pp. 208, € 20,00


Erano le ombre degli eroi, ultima fatica letteraria della poetessa, scrittrice e critica Donatella Bisutti, si presenta come un poemetto articolato in sette sezioni, a loro volta divise in atti, il che denota già la struttura composita dell’opera: se infatti dal lato della struttura il riferimento più immediato è a La terra desolata di Eliot, la scansione in atti non può non far pensare alla tragedia, del resto già riecheggiata dalle vicende oggetto del testo, che partono dal mito greco, ma i vari atti possono essere anche letti come poesie autonome, avendo ciascuna in sé una compiutezza, anche se tutte si legano all’insieme a formare un testo potentemente unitario.

Del resto alla tragedia e al mito rimanda già il titolo dell’opera: tragedia nel senso stretto di testo teatrale (e alcuni atti sono infatti strutturati come cori a più voci), ma anche, nel senso più comune del termine, come rovina di un’umanità che va incontro, consapevolmente o no, alla propria catastrofe. La Bisutti parte dalla saga forse più truce della mitologia greca, quella tebana, che diventa nei suoi versi un paradigma universale, valido per ogni tempo, come del resto è il mito greco: la Tebe descritta dall’autrice assurge a modello dell’intero cosmo, di un’intera umanità degradata, imbarbarita dalla brama di denaro e di potere che travolge tutto e tutti e scava un solco sempre più incolmabile tra vincitori e vinti, tra potenti e reietti, tra ricchi ed emarginati.

Funzionali in questo contesto sono i frequenti cortocircuiti temporali, in cui si passa dalla dimensione metatemporale del mito a scenari quotidiani di violenza, miseria, sfruttamento, una cronaca che non è più cronaca ma si fa dolorosa, drammatica storia: i migranti, i cambiamenti climatici, la guerra, un sistema di potere che riduce sempre più l’uomo a macchina e a schiavo appagato, il malessere dell’occidente derivante dal suo stesso benessere. Tebe diventa quindi la città simbolo di questo occidente che non contempla più una salvezza, un messaggio salvifico, tanto che degli dèi, come recita il titolo, restano solo ombre vuote.

Che ruolo hanno infatti, in questo scenario, gli antichi dèi? Essi paiono essersi ritratti in qualche regno intermondano abbandonando l’umanità al suo destino, o se compaiono lo fanno per esercitare violenza e sopraffazione, come il furto dei pomi delle Esperidi operato da Eracle, letto non come episodio eroico ma come atto di forza in nome del possesso. Ma anche quando provano a tornare sulla terra per tentare di riscattare l’umanità gli dèi vengono ignorati, rimossi, rifiutati: il male compiuto dall’uomo è ormai irredimibile e l’uomo può solo continuare a procedere verso il baratro che da sé si è costruito.

Lo stile del poemetto è teso, duro e allo stesso tempo fluido, a tratti persino colloquiale, pur nella ricchezza di immagini crude inerenti la violenza, l’eros, spesso proprio la violenza esercitata attraverso l’eros. Abbondano i rimandi storico-mitologici, frutto dell’intenso studio e della straordinaria cultura della Bisutti, puntualmente spiegati in un ricco apparato di note posto al termine del testo, che guida il lettore nella comprensione di alcuni passaggi in cui mito e contemporaneità si fondono perché quanto è stato elaborato in Grecia oltre duemila anni non è solo è nostro patrimonio comune, ma è universale ed eterno.

Gianni Caccia




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