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Fernanda Caprilli su Carla Malerba, Poesie future, puntoacapo Editrice, 2020

Nell’ormai lontano 2010 ebbi modo di recensire per il Settimanale di Arezzo il libro di Carla Malerba Di terre straniere e fu quella l’occasione per me di ascoltare una voce nuova, distinta dal coro in cui si confondono ormai i molti “poeti” del nostro tempo. Diceva quella voce di una giovinezza felice trascorsa in Libia sua terra natale, e di una separazione dolorosa, la cui frattura non si era mai del tutto ricomposta. Avevo già allora avuto modo di osservare come la tensione poetica della Malerba, partendo da una situazione esistenziale, realizzi quasi sempre un’espansione, proiettandosi in un “altrove” in cui è racchiuso tutto il suo mondo onirico.

A distanza di tempo mi piace constatare che alcuni elementi di questa ricerca sono rimasti costanti, mentre altri si sono aperti ad una visione della vita più ampia e complessa, in cui entrano in gioco sentimenti e speranze di cui si attende il frutto: “Sono in atto le attese / già da ora. / Anticipare i giorni / che verranno / è nel rapido pensarli”. In questo senso, come osserva Ivan Fedeli nella Prefazione, Poesie Future rappresenta un punto di svolta significativo nella ricerca della Malerba. Non a caso, nella prima sezione intitolata Straniamenti tornano temi cari all’Autrice, primo fra tutti il ricordo della terra natale che suscita “una solitudine amara, / un doloroso straniamento”. Questo senso di irrimediabile perdita nasce, come si legge nella poesia in exergo, dall’opposizione fra mondo esterno e mondo interiore, fra la festa che si agita per le strade e l’estraneità della poetessa a se stessa e al mondo: “Lontana mi appare e irraggiungibile / l’essenza dell’anima mia”. Ma, d’improvviso, la mancanza diventa «fattore vitale» che porta inevitabilmente l’Io in primo piano e torna a dare consistenza al reale anche se, a mio avviso, fra l’Io e la realtà la Malerba frappone sempre un invisibile schermo: “Che strano gioco / quest’aria senza vento / e questa luce piena nella stanza. / L’estate spande intero / il suo colore / e s’inoltra / il silenzio nelle cose. / Giallo il sole, / lontano un abbaiare, / una sedia nel mezzo della stanza”. E ancora: “Le parole / si perdano pure / nel riciclo / della carta straccia, / lì rimarrà il sogno perfetto / …” fino ad approdare ad una delle poesie più significative di tutta la raccolta che ha per titolo Come un’arancia la luna: “Così bianca e nebbiosa / la luna / deve sapere di trielina. / Non lo sanno gli innamorati, / quelli che si aggirano sotto gli alberi. / Pensano che sappia di panna / la luna.”

L’ultima poesia di questa sezione apre al tema dell’amore: “Mi hai assegnato la notte / e per te hai preso i raggi / la vittoria del giorno. // Simile alla fuga del capriolo incauto / è quella del cuore / per sottrarsi ai sortilegi dell’ombra.” Tema che sarà il filo conduttore delle due successive, intitolate rispettivamente Dove nulla si perde e Se vuoi ti cerco. Sono presenti in queste il tema del distacco e della ricerca, rievocati come frammenti che non consentono più di ricostruire una storia: “Di te ora i frammenti / dispongo incerta: / dai giorni chiari / si è compiuto il distacco, / ne prendo atto / e cerco / la parola che non dica.”

I giorni scivolano uno sull’altro “come fogli caduti d’almanacco”: fra l’Io e il tempo che scorre si frappone “un lembo di tenda” e tutto quello che era vita amata si concretizza in oggetti abbandonati (“la sedia che scolora”, “la vestaglia rossa abbandonata” ecc.). Ma d’improvviso il cuore si apre alla speranza ed ecco il canto della Malerba schiudersi al miracolo della vita e delle sue infinite trasformazioni: “Tu sei / dove nulla si perde del vissuto / e di vissuti diversi ti alimenti, / - dice la poetessa – non qui nei luoghi dove vengo a cercarti “ma nell’anima del mondo / con tutto ciò che è stato dato / di pollini, di suoni e di silenzi, / di tempeste e di quiete, / di tempi e mutamenti / come dono.”

A questo Tu indeterminato sono rivolte alcune poesie che parlano delle persone care. Si veda Se vuoi ti cerco in cui, come osserva Fedeli, «la mancanza si trasforma in fattore vitale»: “Ecco ti trovo / in questi scarti di attimi / in questo mio imperfetto accudimento / spesso avaro di abbandoni”, anche se a volte la Malerba sembra prestarsi al gioco delle inversioni, così caro alla sua scrittura: “Senti, facciamo che ognuno / va per la sua strada. / Senti, facciamo che io / nel tuo animo non sono. […] Essere due non è che un’avventura, / lo decidono gli astri o un temporale.”, al quale si contrappone in exergo l’incipit “Siamo due, nell’eternità” a ribadire la persistenza di questo amore nonostante le difficoltà che si possono incontrare nel cammino. Infine, in Ritorni, la sezione che chiude la raccolta, si riafferma il tema della poesia, centrale nella ricerca di Carla Malerba, cui si accompagna una progettualità nuova che vede l’Io inserito nella realtà e aperto a una dimensione umana più autentica e solidale.

È noto che l’Autrice affida alla forza della parola la capacità di rendere l’ispirazione. Ne consegue la scelta di versi brevi e limpidi in cui realtà e oniriche visioni si confondono per restituirci una concezione della vita in cui “io” e “noi” possano riconoscersi. Respinta l’idea di farsi dominare “dalla perversità della rima / o dalle immagini aperte”, Carla Malerba approda nella poesia che apre tutta la raccolta (Cercherò la parola mare) a una poetica di sicura ascendenza montaliana che solo a volte si presta a un aspetto consolatorio: “Meglio la chiusa parola / che travesta il mistero / meglio celare il pensiero / di ciò che tocca a ciascuno”. E ancora nella poesia dedicata ad A.T. si legge: “Se tu potessi accompagnarmi / per le vie della poesia / ti chiederei di districare / le mie parole / da intrichi di rami / secchi e distorti …” Ma se ferma rimane la certezza del difficile incontro tra la parola e il sentire da cui nasce l’ispirazione, la poesia di Carla Malerba nel suo recente approdo raggiunge momenti di incantevole bellezza: “Quella notte mi persi / in una solitudine di stelle // Dall’alto mi spioveva / un senso vitale, la mia forza, / il mio dolore umano”. E ancora: “La sera con la sua dolcezza / ingombra l’animo di pace, / […] Noi qui // siamo sospesi / come finestre spalancate sulla notte”.

Vorrei concludere citando una delle tre poesie che hanno ottenuto nella sezione B il Gran Premio della Giuria de Le Occasioni 2020: La notte come uno sposo / mi accudisce / mi circonda / col suo silenzio / mi regala spazi lucenti. / Ma vita e notte nulla sarebbero / - ancelle amanti fra le più care - / se non ci fosse poesia / a suggerirmi parole / che si posano / sulle nervature delle foglie / tremanti / sull’orlo evanescente del sogno / (del sogno che è la vita). Per questa via, la vita si fa sogno, attesa e speranza, certezza del nostro fragile esistere qui sulla terra.


Arezzo, 2020



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