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“Poeta? No, grazie”

Giuseppe Carlo Airaghi

Intervento Piovera 28 Aprile 2024

 



 

Nell’ottobre dello scorso anno si è tenuta al Castello Visconteo di Legnano una giornata di incontri e letture poetiche dal titolo “Poeta? No, grazie”. A questi incontri era presente, come relatore, anche Mauro Ferrari, al quale, immagino, sia piaciuta sia la giornata che l’argomento tanto da aver pensato di riproporli oggi, con un taglio personale. In quell’occasione, come del resto oggi, mi ero trovato a dover rompere il ghiaccio aprendo la sequenza degli interventi perché nel momento in cui, come gruppo officine letterarie poesie 33, avevamo pensato di organizzare la kermesse, avevo propinato agli altri componenti del gruppo un testo di una ventina di pagine livorose in cui pontificavo e indicavo presuntuosamente alcune di quelle che, per me, erano le cause che hanno portato la poesia ad avere assunto un ruolo tanto marginale oggi in Italia, non solo da un punto di vista sociale e politico ma pure letterario e editoriale.

Era parso quindi naturale agli altri componenti del gruppo farmi assumere il ruolo del provocatore in linea con il titolo “Poeta? No, grazie”.

In quelle venti pagine, mi scagliavo contro i programmi scolastici che non stimolano la curiosità dello studente nei confronti della poesia, che si soffermano troppo a lungo su versi scritti in una lingua che ai ragazzi appare arcaica, respingente e anacronistica, trascurando quasi completamente la letteratura contemporanea, quella che potrebbe parlare direttamente al loro bisogno di scoperta del mondo.

Mi scagliavo contro i social, con le “instagrampoem” da bigliettino dei Baci Perugina, con il “poetese” decorativo, con il “pretese”, con le profetesse.

Mi scagliavo contro la poesia degli eccessi sentimentalistici, della prosopopea anacronistica, dei piagnistei, della pia retorica, dei sussurri che timidamente si fanno cullare dalla brezza al chiaror di luna.

Mi scagliavo contro la poesia enigmistica, eccessivamente oscura, che non concede appigli di senso al lettore, caratterizzata da accostamenti semantici e concettuali che ai miei occhi appaiono legati a una ricerca di originalità talmente fine a sé stessa da diventare manieristica.

Mi scagliavo contro il self-publishing, con la vanity press degli editori a pagamento, stampatori che fanno pagare i costi di pubblicazione agli autori senza effettuare la minima selezione.

Mi scagliavo contro i concorsifici in cui non si nega a nessuno il lauro e una calorosa pacca sulle spalle.

Non pensiate che non mi avesse attraversato il dubbio di essere io quello che non era in grado di capire e ancor più di giudicare, di essere io quello non sufficientemente attrezzato per accogliere senza pregiudizi testi che non mi somigliano, condizionato come sono dai miei gusti discutibili e dalle mie vaste lacune. Tanto più che ero consapevole che certi modi espressivi che ho appena elencato e criticato sono, mio malgrado, ben presenti nella mia scrittura.

 

Comunque già a ottobre mi ero reso conto che quello sfogo andava contro i miei principi democratici e per quanto avessi deciso di recitare la parte del polemico, non me la sono sentita di mostrarmi così poco indulgente e così tanto assertivo.

Insomma, mi scagliavo contro tante manifestazioni interne alla poesia senza considerare che le cause andrebbero cercate anche all’esterno, in una società che si modifica velocemente e che ritiene la cultura un lusso marginale o al meglio uno svago, un intrattenimento per perditempo.

Quelle venti pagine erano il risultato di alcune mie frustrazioni.

Frustrazioni derivanti dalla presa di coscienza che in una società utilitaristica e capitalistica come la nostra, dove ad ogni gesto deve corrispondere un risultato concreto e monetizzabile, rimane poco posto per un gesto all’apparenza senza utilità pratica e misurabile come è la poesia.

Frustrazioni derivanti dalla presa di coscienza che, in qualsiasi store di grandi case editrici, lo scaffale della poesia è più striminzito di quello dedicato al giardinaggio.

Se nella nostra società è il mercato che detta la linea, le regole e le tendenza, questi piccoli scaffali rappresentano un paradigma. In un’economia di mercato come la nostra, questa mancanza di interesse è il risultato di un rapporto domanda-offerta deficitario. Nessuno chiede libri di poesia forse perché la domanda di esplorazione del reale e di ciò che gli sta dietro è soddisfatta da altre offerte, forse più attuali, più attraenti o di più facile fruizione?

Di converso a una tale evidente scarsa propensione alla lettura di libri di poesia esiste paradossalmente una enorme produzione di voci che gridano nel deserto, che si parlano addosso, talvolta senza ascoltarsi, nel rumore di fondo di un caotico karaoke poetico di cui, ben inteso, io pure faccio parte integrante.

Quindi mi limiterò a constatare un dato di fatto. La poesia in Italia svolge un ruolo marginale nel dibattito culturale e letterario e ancor più marginale nel dibattito civile o politico malgrado i numerosi eventi, le tante iniziative, i tanti libri pubblicati perché, a ben vedere, la fruizione della poesia è quasi esclusivamente di pertinenza di chi si occupa di poesia, degli addetti ai lavori, dei poeti, degli aspiranti tali; in sporadici casi di qualche amico o parente paziente e curioso. I poeti si leggono, forse, e si mangiano tra loro, tra di loro si accarezzano, tra di loro si complimentano, incrociando le dita, e rincuorano, come vestali che mantengono accesa a stento la sacra fiammella all’interno di un tempio andato deserto.

 

Ad ottobre quindi mi limitai a esporre un intervento critico sì ma non severo, desolato ma speranzoso, aperto ma non spalancato, insomma l’intervento di una persona nata e cresciuta in un’Italia democristiana e che certi pavidi atteggiamenti cerchiobottisti se li porta inscritti nel carattere.

Anche questa volta non voglio puntare il dito contro niente e nessuno, consapevole del fatto che il gesto che spinge ognuno di noi verso la scrittura è un gesto che va rispettato, una passione, una necessità verso la quale è necessario essere indulgenti.

Vorrei quindi limitarmi a dare voce a poeti che hanno scritto testi che mi pare calzino perfettamente con l’argomento di questo incontro:

 


 

L’albatros - Charles Baudelaire

 

 

Spesso per passatempo gli uomini dell’equipaggio

catturano gli albatri, maestosi uccelli dei mari,

che accompagnano, indolenti compagni di viaggio,

le navi che navigano sugli abissi amari.

 

Appena deposto sulla tolda della nave

il re dell’azzurro, imbarazzato e greve

trascina pietosamente le grandi ali bianche

come remi abbandonati lungo i fianchi

 

Come è goffo e debosciato questo viaggiatore alato.

Lassù così bello, ora così ridicolo e sgraziato

Uno gli stuzzica il becco con la pipa

un altro scimmiotta, zoppicando, questo storpio che prima volava.

 

Il poeta somiglia a questo principe dei cieli

che cavalca la tempesta, che ride dell’arciere;

Esiliato sulla terra tra fischi e derisione

le sue ali da giganti gli intralciano il cammino.

 

 


 

Eugenio Montale

 

 

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco

lo dichiari e risplenda come un croco

Perduto in mezzo a un polveroso prato.

 

Ah l’uomo che se ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l’ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!

 

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti

sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

 

 


 

E intanto scrivo - Maria Luisa Spaziani

 

 

La vita è breve e l’arte lunga,

pure può esser breve l’arte, e interminata.

 

Questa treccia di luce che si annoda

tra stella e stella, in cerca del suo porto.

 

So che ho vissuto già più di cent’anni

e sto sull’alto della torre e scruto

ogni giorno l’arrivo del messia.

 

Di dove non lo so, né chi egli sia,

so che giro all’intorno la lanterna

quando fa notte, e intanto scrivo e scrivo

in ogni pausa, per scaldarmi la mano.

 

Venne un giorno un profeta mussulmano

e mi disse una cosa amara e strana,

che proprio qui, fra queste oziose carte,

il mio messia s’è fatto la tana.

 


 

 

Ad alcuni piace la poesia - Wislawa Szymborska

 

 

Ad alcuni?

cioè non a tutti.

E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza.

Senza contare le scuole, dov’è un obbligo,

e i poeti stessi,

ce ne saranno forse due su mille.

 

Piace?

ma piace anche la pasta in brodo,

piacciono i complimenti e il colore azzurro,

piace una vecchia sciarpa,

piace averla vinta,

piace accarezzare un cane.

 

La poesia?

ma cos’è mai la poesia?

Più d’una risposta incerta

è stata già data in proposito.

Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo

come all’àncora d’un corrimano.

 

 


 

Autopsicografia - Ferdinando Pessoa


 

Il poeta è un fingitore.

Finge così completamente

che arriva a fingere che è dolore

il dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,

nel dolore letto sentono proprio

non i due che egli ha provato,

ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondo

gira, illudendo la ragione,

questo trenino a molla

che si chiama cuore.

 


 

 

Traducendo Brecht - Franco Fortini

 

 

Un grande temporale

per tutto il pomeriggio si è attorcigliato

sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.

Fissavo versi di cemento e di vetro

dov’erano grida e piaghe murate e membra

anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando

ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,

ascoltavo morire

la parola d’un poeta o mutarsi

in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi

sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli

parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso

credo di non sapere più di chi è la colpa.

 

Scrivi mi dico, odia

chi con dolcezza guida al niente

gli uomini e le donne che con te si accompagnano

e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici

scrivi anche il tuo nome. Il temporale

è sparito con enfasi. La natura

per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia

non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

 

 




 

Giuseppe Carlo Airaghi è nato e vive in provincia di Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesia Quello che ancora restava da dire (Fara Editore, 2020), La somma imperfetta delle parti (Ladolfi Editore, 2021), il poemetto Monologo dell’angelo caduto (Fara Editore, 2022) e il romanzo I sorrisi fraintesi dei ballerini (Fara Editore, 2021). Del 2023 è la raccolta Ora che tutto mi appare più chiaro (puntoacapo).

È stato finalista o vincitore dei concorsi letterari “Lorenzo Montano”, “Europa in versi”, “Terre di Virgilio”, “Città di Monza”, “Poesia a Napoli”, “Versante ripido”, “Città di Arcore”, “Prestigiacomo” e “Lago Gerundo”.

 

 

 

 

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