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Questionario sulla poesia: Francesco Macciò

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  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 8 min

Francesco Macciò durante la performance del 7 aprile 2025 a La Granda in Rivolta, al Vitriol di Fossano. Foto di Enzo Fornione photographer
Francesco Macciò durante la performance del 7 aprile 2025 a La Granda in Rivolta, al Vitriol di Fossano. Foto di Enzo Fornione photographer

 

 

Sappiamo che la Poesia è, per definizione, indefinibile, cioè non distinguibile per temi o stili. Tuttavia, nella pratica quotidiana e nel nostro confronto con il Canone (concetto sfuggente e controverso ma sempre all’orizzonte di qualunque discorso critico), parliamo senza farci troppi problemi di Poesia. Da sempre, essa si gioca sulla tensione tra l’esigenza di riconoscibilità di un testo e l’indispensabile ricerca personale del singolo autore, cioè la necessità di trovare la propria voce all’interno di questo territorio difficilmente mappabile.

 

Quale è oggi, nella tua esperienza, il punto di equilibrio fra queste diverse esigenze, che possiamo forse definire Tradizione e Innovazione?

 

Non vedo in termini di opposizione il rapporto tra tradizione e innovazione. Ogni esperienza poetica si lascia attraversare dalle voci del presente e del passato, ma, per rendersi necessaria, deve trovare necessariamente la propria identità e la propria voce. La poesia nasce dentro, se si vuole da una voce che risuona dentro di noi, una voce connessa con il ritmo e con la musica e che tiene sempre fissa la barra del timone sul presente: è “figura in fieri”, scriveva Mary de Rachewiltz, creazione in movimento, che si esprime con gli strumenti acquisiti mediante quell’amorevole apprendistato di conoscenza dell’arte di scrivere in versi che definiamo col termine téchne.

Un procedere naturale e non artefatto segna il percorso di ricerca e di ascolto di chi, senza dimenticare la lezione di coloro che lo hanno preceduto, si incammina sulla propria strada e non su strade battute da altri. Ricalcare viete forme già elaborate da altri ha poco o niente a che fare con la poesia e decade in un esercizio simile a quello di certi pittori che dipingono copie d’autore o delle cover band che scimmiottano creazioni altrui. All’esigenza di un rinnovamento del linguaggio, che coincide, senza forzature, con l’originalità di un percorso poetico, si abbina poi la necessità di accomunare il lettore all’opera, che soltanto così, in questa circolarità, trova una compiuta attuazione. Si potrà anche obiettare, e non a torto, che questa attenzione verso il lettore sia estranea alla creazione artistica, eppure, anziché specchiarsi narcisisticamente in essa, solo slontanandosene, mettendo in atto, cioè, una procedura di inappartenenza, di spossessamento, si riesce a capire meglio la necessità di quanto si è fatto e fino a che punto esso possa estendersi agli altri. Chi mescola parole desemantizzate, giocando a effetto, ma non sempre, sui significanti o su accostamenti di termini tanto imprevedibili quanto incomprensibili, può vellicare i pruriti di qualche critico a caccia di stramberie, ma allontana sé stesso dalla poesia, oltreché la già risicata platea dei lettori.

In fondo, a ben guardare, nel rinnovamento delle poetiche del secolo scorso, sono stati molto più incisivi autori come Gozzano, che rimodula con distacco ironico il linguaggio poetico sul presente, facendo i conti con “signorine”, e non con attrici o principesse, o, ancor più, Ungaretti, che ritrova, nell’esigenza di comunicare, una parola scarnificata, ridotta all’osso, aderente alla realtà, essenziale come è essenziale il colpo del cecchino austriaco nelle trincee del Carso, che non i conati poetici preordinati dai manifesti tecnici della letteratura futurista di Marinetti, capaci sì di distruggere il linguaggio, ma non di ricostruirlo. Non si può chiudere la poesia in una gabbia e decidere a priori dove essa debba andare: la poesia è spoglia, sovversiva e ribelle, fa sempre i conti con la realtà, e ciascun poeta procede sulla sua strada che interseca altre strade con la voce e il linguaggio che gli sono propri, con il proprio vissuto e il proprio bagaglio di forme metriche e costruzioni stilistiche e sintattiche.

 

 

Quale è, secondo te, il senso e la possibile direzione del lavoro poetico oggi?

 

Mi pare che nel mare magnum di versi o pseudo-versi che ci sommergono, il tracciato più interessante su cui si incammina oggi la poesia, con risultati discontinui e non sempre convincenti, sia contrassegnato dalla sua riconoscibilità e fruibilità, destinate a trovare maggiori aperture e crescenti consensi. Il consegnarsi al “formato poesia” conduce fuori dalle secche della crittografia, delle espansioni prosastiche, delle costruzioni cifrate che suonano retrive e perfino irritanti, e reca con sé, in modo naturale e non passatista, il recupero, in una veste rinnovata, di generi disattesi che qualcuno, crogiolandosi nel minimalismo o nello sperimentalismo, vorrebbe liquidare.

Non saprei dire quanto terreno riescano a riguadagnare, rinnovandosi, forme poetiche tra le più difficili e rischiose (l’enfasi è sempre dietro l’angolo), ma anche appaganti, come, ad esempio, la poesia lirica, che prende avvio dalla musica, in origine proprio dal ritmo dettato dalle corde della lira, e riallaccia quell’intraducibile “legame musaico”, di cui ci parla Dante, che costituisce l’identità più sicura dello scrivere in versi.

Riguardo alla lirica, che potrebbe pure celarsi o riformularsi oggi in nuove modalità espressive, meriterebbe una più marcata sottolineatura una conclusione di Montale che, in una dinamica di sommersione e insorgenza, affermava: «la grande lirica può morire, rinascere, rimorire, ma resterà sempre una delle vette dell’anima umana». Si consideri infine, molto tralasciando di ciò che andrebbe detto in merito ad altri aspetti dell’odierna poesia italiana, come la rima, unita a richiami ritmici e a equilibri metrici, abbia preso campo nella produzione più recente di autori che in passato non ne avvertivano la necessità. Rima che si attesta soprattutto in clausola, non come “gioiello da un soldo”, secondo la nota definizione di Verlaine, bensì come aggancio musicale che carica di senso i termini correlati, conferendo efficacia e compiutezza alla chiusa di ogni singolo testo.

 

 

In quale modo pensi che il tuo lavoro si inserisca in questo ambito, alla luce delle tue più recenti pubblicazioni?

 

Con quello scarto, quel “beneficio di inventario” che si deve accordare a chi viene invitato a parlare della propria attività letteraria, mi pare che quanto ho reso pubblico di ciò che ho scritto in versi si configuri in un percorso preciso, sia all’interno dei singoli libri, che già Luigi Surdich considerava non tanto come sillogi, come raccolte di singoli componimenti, ma piuttosto, per la loro strutturazione in nuclei tematici compatti, come “libri di poesia”, sia nel raccordo mediato da richiami intertestuali e scelte metriche e stilistiche che, per quanto posso cogliere oggi,  conduce da Sotto notti altissime di stelle ad Abitare l’attesa, a L’oscuro di ogni sostanza, fino a Ritratto di donna al mare con bambino.

Quest’ultimo recente libro, a una prima lettura, non sembrerebbe rispondere a questi requisiti strutturali, ma, oltre ad altre ricorrenti tematiche civili e sociali, forse anche il semplice ricalco delle parole madre e bambino, declinate in tutte le sezioni, potrebbe richiamare allacci più profondi e una trama più o meno fitta di corrispondenze e connessioni tra i testi. Vorrei solo precisare che il personaggio della madre, che si staglia, trasfigurato nella memoria, sul fondale di un paesaggio ligure, marino e montano, è figura più “di carta” che “di carne”, quanto meno nella sezione iniziale, in cui il prevalere del discorso diretto prende forma di prosopopea.

Non saprei dire se anche per me il verso possa accordarsi al tempo del respiro nell’immediatezza della scrittura, come sosteneva Charles Olson, ma certamente la mia idea di poesia non rinuncia alla lira, ovvero a quella componente musicale che qualifica il discorso in versi. Come ho scritto ne L’universo in periferia, un legame indissolubile unisce la poesia alla musica e la musica alla memoria in una stretta interrelazione che rende memorabili le immagini e i pensieri consegnati a un assetto prosodico che filtra la parola e la fa decantare. Così, in questa percezione ritmica e sonora, cui va ricondotta l’identità della poesia, prendono forma nella memoria immagini e contenuti, e trovano una loro necessità nel timbro e nell’espressione che li sostanzia, allorché le opzioni metriche, stilistiche, sintattiche, linguistiche si prestano a un intreccio, a uno scambio, mi auguro fecondo, tra tradizione e innovazione.

 

 

Postilla

(Poesia e Musica)

 

Sappiamo che la poesia nasce dalla musica o con la musica, ma di questa remota origine non abbiamo che una percezione sfuocata, ripercorrendo tracce prosodiche, sistemi metrici, modulando la quantità delle sillabe, ottemperando al ritmo, agli accenti.

Certamente la poesia si esprime oggi attraverso i propri meccanismi interni, offrendosi nuda all’ascolto, ma un’idea musicale può combinarsi con la lettura o la recitazione di testi poetici, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, solo volgendosi al recupero di suoni aurorali, o concepiti come tali, ricercando e calando nell’hic et nunc della prassi performativa un fraseggio musicale che, destrutturato o ridotto alla suggestione di un suono, faccia da bordone o, in certe evenienze di possibili congiunzioni, contrappunti felicemente la scansione dei versi.

 

Genova, maggio 2025

Francesco Macciò

 

 

 

 

Notizie da Volterra I

 

 

Mi sei venuta incontro

nel riflusso di una veglia,

il letto era una vela tra le onde

che inghiottivano la città di pietra.

Stavo per afferrarti in un gorgo,

strapparti alla rabbia del mare.

 

A mezzanotte nell’interstizio

di un varco murato la grazia

percussiva di una martinella.

Ho contato tutti i rintocchi

e il vento a folate nell’intervallo

di ogni cadenza. I tuoi occhi,

i miei, tra i lentischi aggrappati

a ogni spicchio di terra.

 

È quasi giorno ormai. Il tuo,

il mio, è il solo volto vivo

che io ricordi. Sai bene

quanto mi costa alzarmi,

fare in fretta, lasciare

in questa stanza d’albergo

tutto quello che resta.

 

 

 

 

Ritratto di donna al mare con bambino è un ottimo libro, che contiene memoria quotidiana, infanzia, maturità, dolcezza, malinconia, mito sin dalla prima sezione che dà il titolo al libro, con quel declinarsi fuori del tempo, di un tempo preciso, con oggetti che lo connotano, l’alberghetto, la sabbia, il pitosforo, il juke-box, la Millecento caffellatte, davvero struggente.

(Dalla Nota di Giuseppe Conte)

 

“Forse è là che ogni cosa / si consuma e ci attende”, recita un bel distico conclusivo in Dai prati del Castello; e se l’ho notato è perché mi sembra definire l’intonazione maggiormente presente in questa raccolta, che suggerisce il senso di uno svanire, di un passato... che sfuma nel buio e nell’oblio. (Dalla Nota di Fabio Pusterla)

 

Non sono solo evocazioni memoriali; sono largamente condizioni dell’essere dell’io lirico, che è all’interno delle relazioni con i genitori e con i figli: il suo esserci è largamente un esserci in famiglia. Questa modalità comporta anche inversione dei ruoli... e incide sulla temporalità.

(Dalla Nota di Davide Conrieri)

 

 

 

Nota bio-bibliografica


 

Francesco Macciò è nato a Torriglia e vive a Genova.  Ha curato il volume di studi su Giorgio Caproni «Queste nostre zone montane», introduzione di Giovanni Giudici, La Quercia Edizioni, 1995. Ha pubblicato il volume di saggistica L’universo in periferia. S-Oggetti sparsi intorno alla Poesia, prefazione di Marco Ercolani, Moretti&Vitali, 2023 e, sotto lo pseudonimo di Giacomo di Witzell, il romanzo Come dentro la notte, Manni, 2006.

Libri di poesia: Sotto notti altissime di stelle, prefazione di Luigi Surdich, Agorà, 2003 - Matisklo, 2013, introduzione di Mirko Servetti; L’ombra che intorno riunisce le cose, Manni, 2008; Abitare l’attesa, prefazione di Gabriela Fantato, La Vita Felice, 2011 (finalista Premio Volterra Ultima Frontiera 2012, finalista Premio Internazionale Mario Luzi 2014-2015); Giglio di mare, tempera di A. Borioli, Il Robot Adorabile, 2013; L’oscuro di ogni sostanza, prefazione di Luigi Surdich, La Vita Felice, 2017 (finalista con menzione di merito Premio Guido Gozzano); Viața ca pământul / La vita come la terra, Editura Cosmopoli, 2023; Ritratto di donna al mare con bambino (puntoacapo 2025).

Suoi testi sono inclusi in riviste e antologie pubblicate in Italia e all’estero. Ha vinto il Premio Cordici di poesia mistica e religiosa (2009), il Satura - Città di Genova (2012), il Carlo Bo - Giovanni De Scalzo (2024). Ha ideato e conduce la rassegna Incontri con gli scrittori presso il liceo Sandro Pertini di Genova.

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