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Mauro Ferrari, Pertosa e Isacco. Su Parola di Isacco di Alessandro Pertosa

Alessandro Pertosa, Parola di Isacco: lettura molto personale


Alessandro Pertosa, Parola di Isacco, Prefazione di Cristiana Santini, puntacapo Editrice, Pasturana 2023, pp. 114, € 15,00 ISBN 978-88-6679-390-8


Ora so di cosa è capace jahvè

...

Ora so di cosa è capace un padre (p. 37)


Siamo al cospetto di “Un padre che sacrifica il figlio / su mandato espresso di dio” (p. 74). Ecco, partirei di qui per rilevare i due livelli – o almeno, due dei livelli – di lettura di Parola di Isacco, la nuova raccolta di Alessandro Pertosa, poeta e filosofo.

Quella che potremmo definire la fabula, basata sul mito biblico, ricostruisce la vicenda del sacrificio di Isacco ad opera di suo padre Abramo (Genesi 22,1-19). Se ci si sposta sul piano allegorico, invece, come suggerisce Cristiana Santini nella dotta prefazione (che affronta il tema dal punto di vista lacaniano), il vero tema è l’affrancamento dal padre da parte del figlio, visto attraverso il dissidio fra obbedienza e ribellione, tra legge e libertà.

Un vero poeta che colga e affronti spunti biblici (specie oggi, dopo tanti predecessori e in un momento di profonda e rivoluzionaria rilettura della Bibbia) deve per forza avere una forte motivazione interiore, diciamo pure personale, che però tramite il mezzo artistico prescelto sappia elevarsi all’universale: i miti della Bibbia, i valori morali che propugnerebbe con la sua lista infinita di ordini, prescrizioni, stermini e punizioni atroci da parte di un dio che nulla chiede se non ubbidienza cieca e terrorizzata (e che contempla solo ricompense materiali e su questa terra: pozzi, cammelli, schiavi) sono infatti lontanissime dalla sensibilità umana, non solo di oggi – ma concedono comunque da sempre infiniti e fertili spunti di rielaborazione e soprattutto decostruzione. E in un momento in cui i fanatismi religiosi sembrano riguardare minoranze sempre più agguerrite, è bene riflettere su alcune cose, che vanno dette fuori dai denti.


Abramo esegue l’ordine di Jahvé, e si ferma solo quando Jahvé ha avuto la prova della sua “ubbidienza cieca” (p. 57). Sì: Abramo, accecato dal fanatismo, avrebbe davvero ucciso il figlio. Ubbidienza cieca, amore per il trascendente? In realtà padre e figlio sono due vittime, per cui la vita non potrà più essere la stessa. Certo, la fedeltà di Abramo permette – grazie agli innumerevoli stermini di buona parte della Genesi – la fortuna della sua discendenza: “Io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici” (Genesi 22,17).

Basterebbe porsi un solo istante nei panni del genitore per capire la situazione, al di là delle spiegazioni teologiche a posteriori: come reagirebbe chiunque di noi di fronte a un simile comando, supponiamo pure di origine divina? Del resto, lo stesso Isacco/Pertosa confessa: “l’ho capito solo adesso / che ho un bimbo tutto mio / cosa davvero / ti ha chiesto dio” (p. 64).

Però, al contempo, questo gesto folle libera Isacco: dopo il padre, oltre il padre (“Io ti accuso / di aver lasciato il cuore dentro un barile gelato”, p. 39) il figlio sarà libero, anche se nel “rancore” verso di lui, come tornando “ a casa da una guerra” (p. 45). “Dimmi cosa devo pensare di un dio / che voleva darmi in pasto alle stelle” (p. 48) dice Isacco nel momento dell’esplicita ribellione.


Nella seconda parte Isacco, adesso padre (in cui Pertosa, come figlio e come padre, si rispecchia), riflette sugli eventi e sul loro significato. “Il paradiso terrestre è caduto d’un fiato / elohim ha perso la sfida” (p. 83). Isacco è ora un uomo, un uomo moderno libero (non solo da dio) e disperato, perché con la sconfitta e la morte di Dio sono svaniti il principio di autorità, l’autorevolezza della Legge, il riferimento a un sistema di valori certo, immutabile e indiscutibile. Pertosa si apre a riferimenti di storia e cronaca che sanno di apocalisse, di inferno, di “follia degli umani” (p. 87, con il lemma “follia” che significativamente era prima accostato a dio (p. 50) e ora si riferisce all’uomo: “in principio era la fede / e adesso che nessuno ci crede” (p. 85) “ci prende la paura” (p. 105) – perché, dice Pertosa/Isacco, “senza uno sguardo rivolto al cielo / frana il terreno sotto i piedi” (ivi).


Qui, ognuno reagirà in modo assolutamente personale: cosa si intende per “cielo”? L’elemento divino, appunto quello di cui tratta la superficie del libro di Pertosa? Una idea di spiritualità non necessariamente religiosa e men che meno dogmatica? Un insieme di valori etici e morali che trascende il particulare in nome di un’idea laica di umanità?

Il poeta – e Pertosa è poeta vero e finissimo, profondo nella riflessione e nella fusione poetica del materiale – ci consegna un finale aperto, anzi aperto al dubbio, con due versi che condensano il senso della nostra modernità: “non della certezza andiamo in cerca / ma del dubbio” (p. 113), dice quasi in chiusura.


Mauro Ferrari







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