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Mauro Ferrari, Il fiato metafisico di Claudio Borghi

Claudio Borghi, Fiato metafisico. Poesie e prose 1998-2017, Prefazione di Zena Roncada, Postfazione di Claudio Fraccari, pp. 322, puntoacapo 2023.



La corposa antologia di Claudio Borghi, mantovano classe 1960, raccoglie tutta la sua produzione in poesia, attestata in tre raccolte abbastanza ravvicinate nel tempo (2014, 2016, 2021) qui raccolte con significative varianti. A queste si accostano saggi filosofici che, con modalità diverse, insistono sullo stesso nucleo tematico, afferente al tempo, che si situa alla confluenza tra filosofia e scienza (e poesia).


Il libro ci mostra una voce davvero originale: la sua è una poesia che senza esitazione si può connotare con l’aggettivo “metafisica” del titolo; per meglio dire, e non cadere nell’equivoco, questa è poesia di inesausta e coerente riflessione sulla vita, per usare il termine più inclusivo. E credo che questo, a meno di non pensare alla poesia come uno sfogo sentimentale, è il compito della poesia vera oggi come ieri, e quello che in fondo contraddistingue una collana che non vuole essere di linea, ma ha appunto questi connotati: una poesia di pensiero ma mai di riflessione astratta, che presenti una testualità personale e forte che sfrutti a fondo le specificità espressive tipiche ma senza rifugiarsi nell’indicibile più opaco.


Lo strumento espressivo più tipico di Borghi è una riflessione che si distende nel poematico, con ampie volute sintattiche e con una quota importante di testi in prosa, i quali rappresentano incursioni in territori che confinano con una maggior narratività o una riflessione più schiettamente filosofica. Quello di Borghi è comunque un eloquio disteso che si situa alla congiunzione fra la cultura umanistica e quella fisica, perché la sua formazione di fondo è appunto scientifica, il che gli permette una riflessione (termine per me centrale) completa, ricchissima, davvero poco comune anche nelle modalità di esposizione. Al proposito si veda questo estratto da Il tempo immemore (p. 172):


Avanza in linea retta si riproduce il suono, sa

come prolungarsi dal punto che l’ha generato, sa

l’energia come irradiarsi lontano, come far vibrare,

aprire i sensi. Gli occhi benedicono l’invenzione

sgorgata dal divino accendersi, gli orecchi

accolgono la cattedrale armonica e tutto sa,

nel pieno che coglie la coscienza,

che la presenza sopravvive solo nel suo dono

istantaneo, senza futuro necessario. Il tempo

ha solo profumo. L’immagine non si può toccare,

[. . .]


Versi ipermetri, la cui densità forza la gabbia metrica, di cui rimane spia l’anafora di fine verso “sa”, intensificata dal rimando puramente fonico in Consonante+ a che ricorre 22 volte in dieci versi. In questo breve estratto vediamo all’opera sia la componente filosofica che quella scientifica (ammesso che le due si possano scindere). Ma è un lacerto come “Il tempo / ha solo profumo” che attiva la consapevolezza di un sentire poetico che linguisticamente accoglie e armonizza il tutto.


Il tema del Tempo, come si diceva il fulcro della poesia di Borghi è, dai presocratici a oggi (pensiamo solo a Eraclito) uno dei cardini del pensiero umano, sempre più centrale nella nostra modernità, che ne sonda la complessità, le aporie, e in definitiva arriva a negare la sua esistenza.

La fisica moderna, dal secondo Ottocento in poi, scopre i concetti centrali della termodinamica e dell’entropia con Maxwell, Clausius, Boltzmann; Eddington produce il concetto di freccia del tempo (siamo nel 1927). Il portato filosofico di queste idee è immenso, e si va a innestare sulle altre idee portanti: la relatività del tempo (Einstein 1905), la teoria quantistica di Planck, l’indeterminazione (lo stesso 1927), l’incompletezza-indecidibilità (1930). Sein und Zeit di Heidegger, tanto per dire, è sempre del 1927. Intanto, per non citare astrattismo e cubismo, Pound inizia i Cantos nel 1917, Yeats scrive The Second Coming (“The centre cannot hold”) nel 1919, di Eliot pubblica The Waste Land nel 1922 (“These fragments I have shored against may ruins”); per non dire dell’impianto generale dei successivi Four Quartets, dominati dal confronto fra i vari livelli del tempo (presente vs. passato, immanenza vs. trascendenza, ecc.).


Il mondo va verso il nulla, la realtà non è quella che esperiamo con i nostri sensi e quindi occorre una ri/sintonizzazione delle nostre capacità e delle nostre modalità di rappresentazione per scovare, al limite, il montaliano “anello che non tiene” (tanto per dire, scritta nel 1921).


Siamo alle basi di una postmodernità che pone come dato ineludibile l’incertezza, ma anche della tensione agonica verso la conoscenza, il dissidio – e vengo in chiusura al punto più alto del libro di Borghi, cioè l’ultima sezione del libro, Dialogo della coscienza e della polvere (2014-2017) che mette proprio in scena il dissidio e l’incertezza della conoscenza dell’uomo moderno, il dialogo incessante tra percezione e coscienza, tra immanenza e trascendenza alla luce del tempo, cioè appunto il nostro andare in nulla.


Mauro Ferrari





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