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Lucrezia Lombardo, Mauro Macario, il poeta del disincanto

Una delle voci più originali del nostro tempo

Tratto da Lucrezia Lombardo, Una vita di lampo (Eretica ed.).

L’articolo è stato pubblicato anche in francese su La Bibliotheque Italienne

(Il disegno è di Josip Miskovic).


Ho conosciuto Mauro Macario alcuni anni fa. La nostra non è stata una conoscenza “ordinaria”, bensì una corrispondenza d’altri tempi, basata su uno scambio epistolare sorprendente.

Da poetessa desiderosa di potersi confrontare con una delle maggiori voci del panorama letterario odierno, ho voluto contattare uno dei pochi autori che scrivono, ancora oggi, versi liberi e che non si piegano alle mode, né al gusto dominante.

A differenza di molti nomi in voga, ma privi di qualsiasi spessore autentico, Macario è un intellettuale vero, e lo è nel senso esistenzialistico del termine: la sua scrittura, infatti, racconta senza censure la portata assurda dell’esistenza, dando forma ad uno stile poetico che si radica nella vita vera, creando immagini vorticose che affondano “nella carne” come spine pungenti, con lo scopo di portare sulla scena delle strofe quell’universo che la morale benpensante evita di guardare.

Nei versi anticonformistici dell’autore, l’esistenza viene sviscerata sino all’osso e descritta senza lirismi, nella sua crudeltà e durezza, dalla quale, spesso, ci si rialza a pezzi: il poeta, in fondo, chi altri è, se non un individuo solo? Chi altri è, se non colui che, per la sua incapacità d’integrarsi ed omologarsi, è destinato a schiantarsi contro il muro dell’insensibilità collettiva?

La voce anarchica di questo autore si lega così a quella di Rimbaud ed a quella degli esponenti della Beat Generation che, con le loro vite vagabonde e inquiete, c’han- no consegnato i ritratti più autentici dell’uomo contemporaneo che la letteratura abbia mai prodotto.

Lo stile di Macario è in continua evoluzione ed i suoi versi, in un crescendo, smontano ogni certezza a cui il nostro tempo si aggrappa, sino a sconfessare quella concezione della poesia che vede in essa “un canto angelico disincarnato”, che sorvola la vita, invece di penetrarla.

Fedele alla terra, Macario sceglie di dare alla scrittura una forma corporea, che ha il volto di uomini e donne, di esperienze vissute fino in fondo. Fino alla solitudine, fino alla tragedia e alla dissoluzione dei sensi.

Macario fa dunque propria la “poetica della crudeltà”, una poetica che decostruisce i miti e i valori bigotti del nostro tempo, funzionali a far sentire in pace con sé stessa la coscienza e dietro ai quali si cela, in realtà, solo un perbenismo egoistico, che custodisce il recinto sacro del potere, continuando a castigare l’immaginazione e gli uomini d’ingegno con secolari sensi di colpa, indotti da “un sistema” che non vuole la libertà di pensiero.

Nel mondo conformistico odierno, dominato dalla manipolazione e dall’assenza di pensiero critico, la poesia di questo autore è “un linguaggio resistente”, che non si piega alla logica consumistica, né al gusto di quel pubblico medio che pretenderebbe dalla poesia un conforto.

E proprio nell’antologia -ch’è poi opera omnia- “Le trame del disincanto”, Macario mette a nudo sé stesso, mediante i versi che ripercorrono gli anni della sua intera produzione, durante la quale l’autore ha conferito alla scrittura un nuovo volto; un volto diretto, senza schermi, capace di andare dritto all’essenza delle cose e dell’uomo, sino a toccarne le continue contraddizioni.

Tuttavia, nonostante la sua vicinanza ai poeti maledetti ed agli autori della Beat Generation, Macario supera quel modo di scrivere, creando immagini ancor più radicali e stridenti, che s’imprimono nella mente e lasciano il lettore con interrogativi irrisolti. La poesia dell’autore, del resto, non vuole fornirci risposte, né precetti, ma in- tende piuttosto lasciarci sbigottiti, disincantati -appunto- dinnanzi alla portata assurda della vita.

Nella tradizione poetica italiana, Macario è una voce fuori dal coro, che non abbraccia il lirismo sdolcinato di certi autori, né la loro concezione letteraria che ha come intento quello di sublimare, tramite la poesia, insegnamenti di vita; al contrario, con coraggio e spiazzando il lettore, le strofe di questo grande poeta vogliono cantare l’esistenza nelle sue cadute, nei suoi fallimenti, nei suoi dolori, senza che occorra distaccarsi da essi, o che oc- corra distogliere lo sguardo dalla bassezza umana, poiché non v’è, in Macario, l’esigenza di elaborare alcun precetto morale, né tantomeno quella di nobilitare la disobbedienza e l’impenitenza, che vengono invece attraversate nel loro travaglio, facendosi strofe.

In una delle liriche più belle che il poeta abbia composto, Schumann non sapeva nuotare, in maniera esemplare prende dunque forma la “filosofia esistenzialista” del- l’autore e la parola è lasciata a coloro che, come Schumann o Rimbaud, hanno vissuto coerentemente con la loro arte e, per questo, sono stati condannati dalla socie- tà a loro contemporanea, poiché incompresi per la loro troppa “verità”, per la loro troppa “lungimiranza”.

Con versi straordinari, Macario ci svela, così, l’amara sorte che la società qualunquistica ed omologante desti- na ai veri intellettuali, alle menti migliori che, tuttavia, sopravvivono all’oblio che “il pensiero dominante” vorrebbe infligger loro, grazie alle cose inapparse, grazie, cioè, a quelle cose di cui il poeta si ciba, riuscendo a sovvertire l’ordine del reale.

Scrive a questo proposito, in modo emblematico, l’autore: “Tu non saprai mai/ cosa vuol dire passare lei stazioni/ e non scendere da se stessi a nessuna/ rimanendo sul posto con un biglietto scaduto/ sul maltempo che imperversa al di là del corpo caduco/ Schumann lo sa/ salvato dai barcaioli e internato/ nel manicomio a Endenich/ morendo in sinfonia con le cose inapparse...”, consegnandoci, con queste parole, la sintesi di cosa significhi “fare poesia”.


Ritratto di Mauro Macario, di Josip Miskovic

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