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Federico Dell’Agnese Carlis parla di ADAMO in VIRTUALITY

La condizione umana sarà destinata a rimanere immutata attraverso i secoli, o le nuove conquiste della scienza e della tecnologia saranno in grado di trasformarla in maniera radicale nei prossimi decenni? In altre parole, la maledizione biblica di Adamo ha ancora qualche significato nell’attuale concezione della vita umana o si tratta solamente di antichi miti e di trasfigurazioni di atavici sensi di colpa che hanno oramai perduto ogni effettiva presa sulla realtà?

L’allungamento della vita umana oltre i confini posti dalla natura è davvero una prospettiva così allettante, o dobbiamo rassegnarci al fatto che sia invece una strada non autenticamente praticabile? E la morte, intesa come fine della vita, possiede in sé una necessità che la rende indispensabile e irrinunciabile, o è un qualcosa che in un prossimo futuro potremo felicemente lasciarci dietro le spalle continuando a vivere indefinitamente nel mondo fisico?

Se esistono solo materia ed energia, e nulla al di fuori della natura, una natura omnicomprensiva, in grado di originare ogni cosa e di spiegare esaurientemente se stessa, da dove deriverebbero tutte le strane e inspiegabili coincidenze di cui abbiamo esperienza nelle nostre vite?

Ma allora, la stessa realtà che ci circonda, la realtà fisica che percepiamo come costituita da oggetti ed eventi materiali che occupano uno spazio fisico e che si proiettano nel tempo dal passato verso il futuro, esiste veramente o la nostra esistenza, e con essa quella dell’intero universo, non trae invece la sua vera origine altrove, rendendo così di fatto la realtà nel suo livello ultimo almeno parzialmente virtuale?

E infine, che cosa è veramente reale nell’universo e che cosa è invece solamente frutto di una proiezione antropomorfica condivisa nata nelle nostre menti, proiezione che siamo abituati a dare per scontata, ma che non rispecchierebbe invece nulla di effettivamente reale appartenente a questo universo?


Nobile decaduto nato in una grande tenuta in Lucchesia, dove tutto lascia pensare che ci si trovi ancora nel diciannovesimo secolo, e che conduce una vita indecisa vagando alla ricerca di se stesso tra esistenze, epoche e luoghi diversi - la Toscana, Milano, New York e Los Angeles - Drago, nella sua autobiografia, si propone anche di affrontare questi temi. Da sempre poco in sintonia con l’ambiente della borghesia milanese, dopo un grave incidente decide di abbandonare la professione di avvocato e di fare il musicista, realizzando il sogno della sua giovinezza. Ma è indeciso su quale strada intraprendere e, sia pur in momenti successivi, passerà da un genere all’altro, dalla musica classica contemporanea al jazz e al bebop, al pop, al country per dedicarsi infine alle colonne sonore cinematografiche a Hollywood. Ma il suo grande problema è qualcosa che si trova inscritto nei suoi documenti anagrafici: si tratta di una macchia impresentabile e per nulla accettata dalla nostra società, sempre alla ricerca di qualche nuova forma di discriminazione, si tratta di un’infamia che condizionerà tutta la sua esistenza e che lo costringerà a vivere nella menzogna e a fare scelte estreme, contrarie alla sua indole, ponendosi al di fuori della legge e di tutto quello che viene solitamente considerato onesto e praticabile. Ma Drago, conducendo un’esistenza così particolare, quasi ai limiti di quella che è normalmente definita una tipica condizione umana, si sente in qualche modo forzato a fare delle riflessioni e ad almeno tentare di darsi delle risposte. In un mondo concepito solo come una raffinata organizzazione di materia ed energia, non gli riesce di trovare posto o giustificazione per un’esperienza come quella che sta vivendo, e tanto meno una spiegazione plausibile per le improbabili coincidenze e per quei sogni premonitori che hanno preceduto o accompagnato fasi salienti della sua vita, e nemmeno per quella strana affinità che, sin dalla prima volta che l’ha vista, lo ha legato a Lavinia, una ragazza di bellezza estrema e di umili origini conosciuta in un locale a Livorno durante il servizio militare e che gli ha scatenato una passione devastante. Nel corso di tutta la sua esistenza, non uscirà mai dai suoi pensieri, rendendogli difficile abbandonarsi o anche solo intraprendere relazioni con altre donne.

Al termine di questa lunga analisi alla ricerca di quel se stesso di cui aveva perduto ogni traccia, finirà con il ricongiungersi al punto da cui era partito e a ritrovare il nucleo più profondo della sua anima. Si dedicherà a suonare il pianoforte come faceva da ragazzo, ritirandosi in Toscana nella vecchia villa di famiglia ove non c’è più nessuno, e in quell’assoluto isolamento dal resto del mondo cercherà di intraprendere una sorta di personale via mistica attraverso il sublime estetico da ricercarsi nella perfezione e nella profondità delle sue solitarie esecuzioni. Un compito al quale si era sempre sentito chiamato, ma una vocazione che aveva costantemente tradito.


È confessione senza maschera quella di Drago, la confessione di una vita con tutte le sue luci e le sue ombre, senza nascondere nulla di sé. Forse questo è per lui l’unico modo di attenuare i suoi sensi di colpa, o di cercare di capire chi in verità sia, di ritrovare quel nucleo originario di se stesso che aveva perduto nell’intrecciarsi e sovrapporsi di esistenze che non aveva mai avvertito davvero come sue. Forse è anche un modo di non perdere l’intensità delle esperienze vissute che già gli appaiono sfumarsi nella sfocatura di ricordi sempre più flebili.


Delle domande che si era posto all’inizio, Drago ha l’impressione di trovare forse qualche risposta, ben consapevole che si tratterà in ogni caso di una sua visione soggettiva. Si rende conto che la sua vicenda umana può essere interpretata come un esperimento su quell’allungamento della vita che secondo alcuni pensatori e scienziati sarebbe quasi alle porte. Ma nel suo caso l’esito non è positivo: dalla sua esperienza Drago è come forzato a trarre la conclusione che la nostra psiche non sembrerebbe adatta a supportare una simile eventualità. Rimane colpito dal fatto che, anche dopo così tanti anni, i sogni di quasi ogni notte lo riportino sempre agli anni della giovinezza ed alle figure cardine della prima parte della sua vita. Il peso delle emozioni e dei ricordi dell’infanzia e della giovinezza sembrerebbe gravare così sul resto della sua intera esistenza: i vissuti non si possono riscrivere all’infinito e non si possono cancellare i ricordi per far posto alla registrazione di altre esperienze senza per questo intaccare la personalità individuale nella sua più profonda autenticità e singolarità. La nostra capienza mnemonica apparirebbe essere limitata e così la capacità di apprendere e di incorporare nuove esperienze, di implementare nuove strategie di comportamento, di abbracciare nuove visioni del mondo e di restare costantemente aggiornati per tenere il passo con un mondo in costante e sempre più rapida evoluzione. La differenza tra la nostra mente ed un computer consisterebbe anche in questo: nel computer le memorie si possono cancellare e riscrivere ed i programmi aggiornare. Ancor meno la nostra psiche sembrerebbe adatta a una fusione con sistemi super-performanti di Intelligenza Artificiale Senziente, e quindi a questo punto risulta naturale interrogarsi sulla effettiva opportunità e praticabilità di alcuni scenari prospettati dai teorici del Transumanesimo. La sensazione che ne deriva è che, nonostante i prevedibili sviluppi della tecnologia ed il costante tentativo di migliorare la qualità della vita, la condizione umana nella sua tragicità non sia destinata a cambiare nemmeno in futuro e che la felicità non sia compatibile con l’essenza stessa del divenire.


Seguendo l’impostazione di alcune tendenze sorte negli ultimi decenni nell’ambito della fisica teorica - la realtà come costituita principalmente da informazione (Wheeler), la Grande Simulazione (Bostrom) il principio olografico (Susskind, Maldacena e Bekenstein) e il neoplatonismo matematico integrale (Tegmark) - Drago avanza anche l’ipotesi che la realtà sia almeno in parte virtuale. Che la realtà percepita non coincida di fatti con il livello ultimo cui sarebbe collocata l’informazione che la origina, ma che tutto quello di cui abbiamo esperienza altro non sia che la proiezione di uno strato più profondo, forse destinato a rimanere per sempre inconoscibile. E che il nostro interagire con un mondo fatto di informazione malleabile sia paragonabile alla lettura di testine di un lettore di CD, che legge un programma parzialmente già scritto, che in ogni sua parte, come in un autentico ologramma, ha la capacità di riflettere in qualche modo tutto l’universo. Avverrebbe come in un gioco interattivo, ciascuno di noi, come una monade leibniziana ingigantita, potrebbe non solo decodificare l’informazione, ma anche interagire con essa e modificarla attraverso le sue scelte, parzialmente libere. Anche il tempo non esisterebbe in sé come flusso unidirezionale dal passato al futuro, ma deriverebbe dalla lettura di dati sequenziali che sarebbero la descrizione matematica di uno spaziotempo con una dimensione in meno (bidimensionale e non più tridimensionale) proiettata su qualche supporto fisico paragonabile ad un foglio senza spessore. Questa realtà fatta di informazione sarebbe flessibile, indipendente dalla sua collocazione fisica, e consentirebbe anche a tutto quello che a noi appare estraneo o contrario alle leggi fisiche di esistere. Troverebbero così spiegazione le strane coincidenze che un po’ tutti abbiamo nella nostra vita e che appaiono troppo numerose o troppo improbabili per essere attribuite al caso, qualsiasi cosa esso sia, e che trovando “scomode” o incompatibili con la nostra mentalità razionale finiamo fatalmente per ignorare. O anche la sensazione cha a volte ci accompagna che almeno alcuni passaggi cardine delle nostre esistenze sembrino pilotate da una mano invisibile. Per non parlare di tutti i fenomeni inspiegabili di cui la scienza nega l’esistenza ma che ci capita almeno qualche volta di incrociare nel corso della vita.

Ma se la realtà è costituita da informazione, e nasce dall’interazione biunivoca tra osservatore e cosa osservata, alla realtà apparterrebbe solamente quanto sia stato fatto oggetto di attualizzazione da parte di un osservatore autocosciente. Anche questa impostazione trae i suoi presupposti da alcune visioni di fisica teorica e di cosmologia quantistica, in particolare dalla rivalutazione del ruolo fondamentale della coscienza (Linde e Wigner). Ne deriva che tutto quello che non è mai stato attualizzato da un osservatore autocosciente non può far parte dell’informazione presente in questo universo e a questo punto nemmeno della realtà. Si tratta solo di proiezioni antropomorfiche delle nostre menti, estrapolazioni collettive che, anche se condivise dalla maggior parte degli esseri umani, non descrivono ugualmente alcuna realtà effettivamente esistente nell’universo.

L’esistenza di un osservatore universale, anche al di fuori dell’universo che fosse garante dell’oggettività del reale, consentirebbe però di fornire un’attualizzazione dall’esterno e ad un altro livello a tutto quello che siamo ingenuamente abituati a considerare reale. Questo osservatore fuori dal mondo fisico e dallo spazio e dal tempo potrebbe solo essere la mente di Dio o l’Artefice di un programma di Grande Simulazione. Ma ogni considerazione che ci possa portare a pensare di far parte di un simile programma ricade fatalmente nella tautologia, per cui resterebbe in gioco solo la mente di Dio. Oppure, in alternativa, se Dio non dovesse esistere, e di conseguenza nessun garante della realtà non osservata, dovremmo per forza rassegnarci alla non esistenza di alcuna realtà (o verità) oggettiva nell’universo. Per quanto paradossale possa sembrare, non esisterebbe alcuna oggettività della realtà, anche se si trattasse di informazione attualizzata, ma solamente una realtà condivisa, e questo indipendentemente dal fatto che corrisponda o meno a quanto accaduto, o in potenza esistente da qualche parte, ma non ancora attualizzato.

Dovremmo quindi includere nel non-reale, gran parte dell’universo osservabile, il passato del nostro pianeta e del cosmo e soprattutto il suo futuro, quando si troverà privo di individui autocoscienti al suo interno, per non parlare poi del multiverso e di tutto ciò che si estenderebbe al di fuori dei confini dell’universo osservabile. Per uscire da questo doppio vicolo cieco, per cui tutto quello che non è oggettivato o attualizzato da un osservatore autocosciente non apparterrebbe alla realtà, e anche tutto quello che alla realtà appartiene, perché informazione attualizzata, non sia però oggettivo ma semplicemente condiviso, Drago, novello Adamo alle prese con un mondo virtuale, decide di optare per l’assoluta necessità della mente di Dio. Se Dio non esistesse, tutto l’immenso e meraviglioso cosmo che ci sovrasta e che è solo in minima parte attualizzato dalla nostra osservazione, sarebbe solo simile ad una trasmissione televisiva digitale destinata a non venir mai decodificata. Questa prospettiva non può che apparirgli come un abisso di frustrazione e di angoscia.



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