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#pietredifiume - Ottobre 2023

Intelligenza reale a partire da "Clone 2.0"

Matteo Fantuzzi


All’interno del dibattito sull’intelligenza artificiale e il suo utilizzo in letteratura si è inserito con notevole interesse l’esperimento di Vincenzo Della Mea, Clone 2.0, pubblicato dalla collana Gialla di Pordenonelegge, curato da Samuele Editore e dato alle stampe in occasione della sua più recente edizione. I testi di Clone (si legge della nota tecnica dell’autore) «sono stati generati con reti neurali addestrate […] su un corpus di poesie italiane. L’Autore ha poi filtrato gli esiti con altro software appositamente sviluppato, e infine ha selezionato a suo gusto i testi ritenuti più significativi, inclusi gli esergo. Il modello utilizzato è basato sull’architettura GPT-2 di OpenAI, partendo da un modello preaddestrato sulla lingua italiana da L. De Mattei et al. Addestramento e generazione di testi sono stati effettuati utilizzando il software Aitextgen di Max Woolf ».

Va doverosamente ricordato che Vincenzo Della Mea oltre a essere un ottimo poeta (in grado quindi di compiere un’accurata selezione sia dei testi da proporre alla macchina, sia del suo prodotto finale), è anche professore associato di Informatica Medica presso l’Università di Udine e ha quindi tutte le competenze per addestrare la macchina permettendo di immagazzinare dati e creare sinapsi, un poco come avviene nella formazione cognitiva del nostro cervello.

È un dato e una sorta di preoccupazione collettiva che oggi molte professioni di intelletto possano e in parte siano già state soppiantate dalla scrittura artificiale, si guardi a esempio la produzione di manuali o le traduzioni in ambito scientifico, ma non solo: da più parti è stato rimarcato l’allarme delle tesi compilative generate nelle Università tramite l’intelligenza artificiale. Certo sono lontani i tempi delle costruzioni enciclopediche pagina per pagina, interconnessione per interconnessione ma la paura di essere soppiantati nel ruolo intellettuale collettivo è evidentemente tanta.

È solo di poche settimane fa la class action verso OpenAI intrapresa da un lungo elenco di scrittori americani tra i cui i noti John Grisham e George R. R. Martin. I modelli linguistici «mettono in pericolo la capacità degli scrittori di narrativa di guadagnarsi da vivere, in quanto consentono a chiunque di generare automaticamente e gratuitamente (o a costi molto bassi) testi per i quali altrimenti dovrebbero pagare gli autori», sostengono gli avvocati nella denuncia.

Ma tornando al tema di partenza cosa ha prodotto l’esperimento di Della Mea? Dal punto di vista dei testi potrei ragionevolmente osservare come la densità non sia dissimile o inferiore a quella presente nella buona parte delle riviste online o sui social (con doverose distinzioni), ma questo non dipende dalla capacità ingegneristica del nostro e nemmeno dalla qualità dei testi proposti all’intelligenza artificiale per creare la propria base operativa. Quello che manca e che sarà estremamente difficile trovare in un meccanismo sintetico anche in futuro va sotto il nome di scarto semantico, quella spinta alla difformità che in tempi di omologazione, anche nel campo della scrittura, definisce le opere in grado di rimanere.

Ci aiuta in questo senso Lorenzo Renzi in Come leggere la poesia (Il Mulino, 1985) ricordandoci che «La poesia è finzione come il gioco». Renzi si appoggia alla teoria dei giochi di Roger Callois rammentando che quelle regole che creano la base dell’operato poetico sono «principalmente costruite da scelte e restrizioni sugli aspetti fonetici ritornanti (come rime, accenti, ecc.). E forse sono da interpretare come regole, vertenti questa volta sul contenuto quelle restrizioni, sia generali che specifiche a ogni genere, il cui studio è oggetto della narratologia. Così nascono la poesia da un lato e la prosa narrativa dall’altro e in base a una combinazione dei due principi l’epopea in versi. […] La poesia appare allora come illusione soggetta a regole, gioco normato; sintesi degli aspetti antinomici del gioco definiti da Callois. E si capisce a questo punto che il gioco non è più veramente gioco (come in Pessoa o nelle poesie di Carmen Gallo, N.d.A.)» pp. 52-55

È comprensibile dunque tanta apprensione in narrativa, perché diversi meccanismi artificiali possono essere ricreati e sono già in ottima parte stati rigenerati negli anni ad esempio con l’utilizzo dei ghost writer che in carne ed ossa hanno riproposto, aumentato, elaborato nelle fredde stanze delle grandi case editrici quello che oggi promette un programma fruibile a tutti.

L’avanzamento tecnologico, è bene ricordare, dipende innanzitutto dal rapporto che si ha con la tecnologia. Un rapporto passivo porta necessariamente a un impoverimento e a una sottomissione del fruitore, non solo in letteratura, ma in ogni campo della vita umana. Diversamente un collegamento consapevole non solo non produce effetti ma potrà addirittura rafforzare alcuni aspetti di percezione mantenendo saldo e umano il core di partenza.

In Biologia della letteratura (Il Saggiatore, 2018) Alberto Casadei definisce molto bene questo passaggio: «Nella rivalutazione delle opere artistiche il potenziale dell’inventio continua ad essere attivo attraverso gli effetti di una stilizzazione non stereotipata, in ambiti socio-culturali differenziati e lontani nel tempo: certamente agiscono vari fattori (il prestigio, i temi affrontati ecc.), ma per giustificare una volontà di rilettura o riscrittura occorrono aspetti che mantengono una valenza cognitivamente attiva. […] La volontà di indagare il rapporto degli individui con la realtà, letta secondo un grado crescente di complessità in particolare nell’ambito delle varie trasformazioni antropiche dell’Umwelt (la città e i suoi intrighi al posto della campagna e la sua naturalezza), ha comportato la prevalenza della costruzione a intreccio finalizzato, che però al suo interno mantiene nuclei di senso espliciti o impliciti.» pp. 173,174.

Su questo passaggio bisogna insistere considerando le varie forme di ibridazione o scrittura sperimentali non ideate al fine di rafforzare le tematiche sostanziali come più accreditate a rientrare nella galassia di una riproducibilità sintetica, come un qualsiasi testo di scarsa presenza poetica, magari ampiamente condiviso sui social, ma lontano dalle regole del gioco poetico sopra citato. Dunque allontanandosi dalla solidità della base letteraria maggiore è il rischio della vertigine e della caduta, minore è la conoscenza della complessità poetica, sempre maggiore è la possibilità della produzione di un’opera poetica fragile e inconsistente.

Ci viene in aiuto ancora un’analisi di alcuni anni fa, quindi fuori dalla galassia dell’immediato, quella di Alberto Bertoni in La poesia contemporanea. (Il Mulino, 2012) «Il passaggio sempre meno immediato e diretto del grafema che costituisce la parola scritta al fonema che la esegue, risuonando nella mente del lettore prima che nella sua bocca, innesca un processo sempre meno fluido e – per contrasto – sempre più precario di astrazione, comprensione e memorizzazione. L’udito è assai più empatico ed emotivo della vista, ma assai meno persistente. E il leggere, di conseguenza, diviene sempre più rapsodico e frammentario. Tuttavia, anche da questo punto di vista, la poesia – se trasmessa con competenza e passione – può essere un genere tutt’altro che estraneo alle nuove modalità ricettive: tanto per la sua oralità costitutiva, quanto per quell’insieme di brevità e concisione che ne la qualità di messaggio concentrato e icastico.

Un punto cruciale, infatti, è determinare quale modello di testo venga delineandosi dentro la nuova società dell’informatizzazione e della digitalizzazione estese: e anche riconoscere la specificità comunicativa dei dispositivi e degli ambienti che veicolano contenuti culturali o artistici, prendendo le mosse dalla constatazione elementare che – entro i nuovi contesti mediatici – un oggetto testuale dà vita a una serie praticamente illimitata di processi, dalla fruizione “tradizionale” a finalità conoscitiva fino a un insieme sempre più complesso di procedure d’interazione e riscrittura.» pp. 12, 13.

L’unico modello perseguibile in un panorama dove la proposta letteraria si è ingigantita e langue invece la consapevolezza è quello di lavorare non sulla scrittura bensì sulla lettura. Alberto Bertoni in un recente intervento guardava in maniera positiva la creazione di scuole di lettura, là dove al contrario esponenzialmente crescono quelle di scrittura. Ed è questo il punto nodale: ogni invasione tecnologica, per quanto non possieda ad oggi i requisiti per sostituirsi allo scarto necessario per produrre poesia reale se non almeno onesta, passa inevitabilmente da una fruizione cosciente e non dogmatica, figlia di una costante consapevolezza di quello che definisce da un lato la parola e dall’altro l’opera poetica. Ogni gradino che viene compiuto verso il basso in favore della destrutturazione delle regole del gioco poetico è una sistematica diminuzione della forbice che segna lo spazio tra la poesia e l’artificio sintetico.

Affinché questo accada è necessario che a partire dalla scuola (di ogni ordine e grado, ognuno con i livelli di apprendimento competenti) venga riconquistata la consapevolezza della realtà letteraria e in particolare della fragile identità poetica, e questo accade dando modo anche ai docenti di usufruire di un adeguato corredo di informazioni e testi atti a prepararli, come e più della macchina che tanto ci fa paura, con un’intelligenza questa volta reale che non potrà che aiutare il nostro sistema letterario e la nostra società ad avere persone più consce e non solo nell’ambito dei libri.




I commenti significativi e articolati racconti sui social e quelli giunti tramite mail:


Chiara Materazzo: ho amato la poetica della macchina umana nell’arte e nel cinema. Segnalo link in cui il dibattito è’ stato affrontato da scrittori e artisti che hanno recentemente affrontato il tema dell’intelligenza artificiale









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