top of page

#pietredifiume - Novembre 2023

Gianfranco Lauretano



Questo intervento prende spunto da quello stimolante di Matteo Fantuzzi pubblicato su “Almanacco Punto” il 14 ottobre e intende proseguire alcune problematiche legate alla pubblicazione del primo libro di poesia italiana scritto dall’intelligenza artificiale (da adesso “IA”), intitolato Clone 2.0 e “organizzato” (“ordinato”, “predisposto”…? Bisognerà trovare un verbo per indicare l’operazione di chi fa fare all’IA un libro) da Vincenzo Della Mea (Pordenonelegge ed., 2023). Il tema è di moda, forse è il tema principale: può l’intelligenza artificiale scrivere vera poesia? E qualora accadesse, serviranno ancora i poeti? L’allarme viene da lontano: oltre a citare le profezie cinematografiche infatti, daBlade runner a Terminator, tutti corrono a dimostrare che non è possibile; è lo stesso Matteo Fantuzzi a rassicurarci che ci sarà sempre uno “scarto semantico”: “Quello che manca e che sarà estremamente difficile trovare in un meccanismo sintetico anche in futuro va sotto il nome di scarto semantico, quella spinta alla difformità che in tempi di omologazione, anche nel campo della scrittura, definisce le opere in grado di rimanere”. Io non posso esserne sicuro, forse per cattiva competenza. Gian Mario Villalta, il precipuo patrocinatore di questa edizione che esce col marchio del Festival Pordenonelegge, ha dichiarato come “istruire una macchina e dialogare con essa (…) sia un modo di fare arte”, e poi: “Lavorare con queste macchine ci rivela qualcosa su di noi, e ci mette di fronte al fatto che forse i processi che ci muovono non sono poi così dissimili da quelli che governano computer e intelligenze artificiali”. E allora forse anche lo scarto semantico sarà raggiungibile con un algoritmo dello scarto semantico, come paventa qualcuno.

Bisogna cercare di capire il processo, pur non essendo competenti: prima Vincenzo Della Mea, considerato da Fantuzzi un “ottimo” poeta, ha caricato il computer con dodicimila poesie, ma pure con istruzioni algoritmiche, di neuroscienze e quant’altro; ottenuti i testi, li ha selezionati e persino corretti. Allo stato attuale dei lavori, dunque, l’IA non sembra avere ancora abbastanza autonomia. È inoltre facile dimostrare che i testi ottenuti sono, dal punto di vista stilistico e letterario, considerevolmente scarsi, anzi brutti; evidentemente, dato che del giudizio di Fantuzzi ci fidiamo, le poesie che Della Mea scrive senza ricorrere all’AI sono decisamente un’altra cosa. I testi di questo libro danno l’impressione abbastanza comica di essere fatti con quello che chiamerei il metodo della snowball: ricorro al termine inglese perché in italiano non esiste una parola per nominare quelle piccole bocce di vetro piene d’acqua, di fiocchi di simil-neve e della sagoma di un monumento, o spesso di Babbo Natale, sollucchero per i turisti della domenica. Il turista scuote la snowball, magari la rovescia, e provoca per qualche secondo una nevicata sulla sagoma, su cui i fiocchetti si posano in modo ogni volta differente sotto il suo sguardo emozionato. Le poesie di questo libro sembrano fatte allo stesso modo: i fiocchi sono le parole e i testi immessi; le istruzioni del programma li scuotono, il risultato sono le poesie che si appoggiano sulla sagoma, sempre quelle (tutto sommato il numero di dodicimila non è molto elevato: poesie di quale autore poi? di quale stile? di quale epoca?), appena un po’ dislocate nella frase e nel verso.

Si ottiene qualcosa che suona così: “L’universo è un solo intreccio di mani/e mappe per il mondo./La verità è una stilla/che si apre alle cose, alla luce/che lentamente si cela”. Il lettore che non abbia del tutto rinunciato alla sua intelligenza non artificiale si chiede subito cosa diavolo stia leggendo, quale sia non tanto il senso (è ovvio che l’IA non ha senso, cioè non è in grado di produrne, perché non ha destino) ma il significato di questa roba. Siamo al trionfo dell’allusività: combinazioni di parole che sembrano voler dire qualcosa, invece no. Si potrebbe citare quella che Giorgio Manganelli chiamava “sgradevole, anche ripugnante allusività di ciò che ci siamo ridotti a chiamare arte”, ma l’impressione è che si scomodi qualcosa di troppo intelligente per queste robette.

Si tratta però solo del primo tentativo, col sospetto che i promotori di questa edizione l’abbiano fatto per poter usufruire di una fascetta tipo “primo libro di poesie dell’IA” un po’ come la fascetta dello Strega et similia. Non dimentichiamo che il vero regista anche dell’editoria di poesia è sempre più il mercato. Certamente il denaro che già si spende per queste ricerche porterà a testi meno allusivi, a caricare milioni di poesie anziché qualche migliaio, a istruire meglio il programma, a produrre lo scarto linguistico. Arriveremo dove ci vogliono portare: libri di poesia scritti con l’IA che, in assenza di indicazioni, prenderemo come “umani”. Ho letto infatti questo libro col pregiudizio di saperne già l’origine; non sapendolo, però, l’avrei comunque giudicato opera di un pessimo e dilettante poeta, che non sa neppure scopiazzare. Ma in futuro potrei benissimo essere imbrogliato come tutti. Avviene già in narrativa, suppongo, soprattutto in America, tanto da portare Fantuzzi a informarci che autori come John Grisham e George R. R. Martin protestano perché i modelli linguistici «mettono in pericolo la capacità degli scrittori di narrativa di guadagnarsi da vivere, in quanto consentono a chiunque di generare automaticamente e gratuitamente (o a costi molto bassi) testi per i quali altrimenti dovrebbero pagare gli autori». Obiezione strana, ma anche significativa, quella del denaro, ancora una volta.

A proposito dello scarto semantico, una cosa che si può dire senz’altro è che, per quanti progressi si possano fare, l’IA non scarterà mai abbastanza da compiere certe scoperte fondamentali, tipiche di un geniale poeta umano. Si potrebbe riempire il programma con tutte le poesie di Montale delle prime tre raccolte, quelle della stagione ermetica, e il risultato non sarebbe mai Satura; o, sfida più difficile, si potrebbe dire che pur fornendo all’IA tutte le poesie che Mario Luzi aveva scritto fino a quel momento, il Viaggio celeste e terrestre di Simone Martini le sarebbe impossibile; o ancora, possiamo riempire il programma con i primi 99 canti della Divina Commedia e la macchina non ci darebbe mai il XXXIII del Paradiso, tantomeno l'Inno alla Vergine di San Bernardo, figuriamoci. Tutta l’operazione è quindi palesemente in perdita.

Ma le dichiarazioni di Villalta possono essere fruttuosamente impiegate: non tanto il dire che anche questo è un modo di fare arte (Jean Baudrillard ha ragione, ormai l'arte si è infilata dappertutto e non si capisce più nulla) quanto il fatto che “i processi che ci muovono non sono poi così dissimili da quelli che governano computer e intelligenze artificiali”. Già le scoperte di questo primo test potrebbero portarci a un utilizzo del metodo non tanto per fare poesia, infatti, ma critica letteraria; non tanto ad agitare la snowball in modo sempre più preciso,ma a riconoscere chi lo fa già, agitando la snowball di sé stesso. Non sono ancora sicuro che l'IA arriverà a dirci definitivamente come agisce la nostra mente quando crea poesie, ma a dirci come non deve agire sì: ciò che non siamo ciò che non vogliamo.

Ecco l'ultima cosa di cui non sono sicuro: vuoi vedere che ci sono poeti che agiscono già così? Cosa cambia ad esempio nella poesia di Maurizio Cucchi dalla prima comparsa di Glenn in poi? Il Milo De Angelis, soprattutto a quello che inizia da Biografia sommaria istruendo sé stesso con un nuovo afflato epico, dopo un decennio di silenzio editoriale, non potrebbe essere riprodotto trovando facilmente un nuovo vezzeggiativo femminile, per clonare le avventure funebri di Donatella o Lauretta? Nell'ultimo libro di Cesare Viviani, fresco di stampa e purtroppo non dimenticato in un prato, quanta IA sospetta di sé stesso contiene? Ho esemplificato con i più difficili, per non sparare sulla croce rossa della poesia di un Arminio o una Gualtieri, Nove o Magrelli, persino della fase ultima di Merini... Il dubbio è che una volta l'IA si chiamasse manierismo, tutto qui. Il che spiega la caterva di raccolte, le migliaiate di poesie, che forse qualcuno si incaricherà di caricare sul programma, per riprodurre quello che alla fine è sempre e solo l'identico nulla. 



I commenti più significativi e articolati raccolti sui social o giunti tramite email:


Bruno Di Pietro: Mi trovo in sintonia con tutto il contenuto dell'intervento. La cosa che vorrei sottolineare è, in questo discorso, la centralità della questione "mercato". Infatti a me è sembrato - e sul punto sono intervenuto a gamba tesa - più discutibile l'operazione dell'editore che non dell'autore. E ho, se così si può dire, litigato con Canzian e semplicemente declassato Villalta. Su questo mi sono battuto più volte a partire dalla mia radicale opposizione alla operazione "Bottega" di Repubblica. E infatti sono rimasto io e la mia anima. Per scelta sia chiaro, non avendo mai inviato nemmeno una cartolina. Dietro tutto c'è, ha ragione Gianfranco Lauretano, "il Denaro", la precisa scelta editoriale di produrre "merce poetica". La provocazione dell'intervento ha colto nel segno. Era una tendenza in atto.



Nadia Chiaverini: Questo post mi da’ l’occasione di scrivere della mia partecipazione all’interessante incontro organizzato da ReclaimTheTech a Bologna nel maggio di quest’anno, dal titolo: “esclusione digitale: ingiustizie distributive e digital divide sulla base della razza, genere, età , abilità , dopo la lettura del libro di Lilia GiugniLa rete non ci salverà. In quell’occasione ho partecipato a due panel , uno relativo all’esclusione originata dall’età e dalla “incompetenza”generazionale , e l’altro ad un laboratorio di ibridazione arte/ tecnologia, in cui abbiamo discusso della intelligenza artificiale applicata alla scrittura. E quindi l’operazione di cui state parlando non mi risulta nuova , perché già esiste una raccolta di “poesie” scritte da PoAItry, che appunto tende a replicare la “funzione poetica “ . Può l’IA creare poesia?? Mi sono pure informata su Image2poem, che è’ un programma ( non so usare il linguaggio tecnico, per questo sinora non ne ho mai scritto) di Microsoft che usa L’IA per tradurre le immagini in versi . E potrei andare oltre ( se solo ritrovo i miei appunti) . Alla fine semplificando, ma siamo veramente sicuri che saremmo in grado di riconoscere dei versi , parole scritte da una IA ? Onestamente credo di no, data la pluralità di forme e linguaggiche rintracciamo nella poesia contemporanea, vedi la molteplicità di parole spacciate per poesia sul web . Ma , citando wislawa, “ io non lo so , non lo so , ma mi aggrappo ad essa come alla salvezza di un corrimano “La poesia c’è, il / la / poeta la incontra, la pratica, la “ sente” ma non può esistere poesia senza l’anima."


Simone Migliazza: Molto interessante l’intervento. Sono d’accordo con l’autore: la qualità dei risultati raggiungibili tramite AI in alcuni casi è sovrapponibile al manierismo maturato nell’esperienza di alcuni autori, di imitatori o semplicemente di chi ritiene di scrivere poesie usando una lingua genericamente “poetica”. Si pone il problema dell’attribuzione di paternità, questione che a mio avviso darà filo da torcere e non poco: le cantonate non mancheranno.

Non c’è che da sperare che i poeti artificiali non diventino troppo più bravi dei poeti umani: anche se, secondo me, in alcuni casi accadrà…


Massimo Ridolfi: La divulgazione della poesia italiana non si è mai basata su una seria ricerca indipendente ma sulle relazioni; oggi continua le sue schifezze attraverso dei dottorandi senza un briciolo di vita vera alle spalle che continuano a basarsi solo sulle relazioni, vale a dire che scambiano per poeti tutti quelli che hanno segnati sulla rubrica del telefono.







Post in evidenza
Post recenti
Archivio
Cerca per tag
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page