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Silvio Aman, Il poeta incantatore. La poesia di Silvio Raffo

La conchiglia sottile

cela crepe profonde

ma persiste gentile

la voce delle onde.

Nel panorama attuale, dove occorre cercare con la lanterna di Diogene poesie dotate di grazia, melodia e bellezza, Silvio Raffo è rimasto uno dei rari poeti a offrirci questi doni, cui va aggiunta la leggibilità di un percorso esistenziale in forme classiche: uso delle strofe, sia pure non continuo, e rispetto dei versi rimati – generalmente l’endecasillabo – ma in cui l’abbondanza degli enjambemens ne riduce l’autonomia favorendo il flusso narrativo costellato da soluzioni immaginarie di grande fascino. Proprio per questo non insisterei su simili forme (classiche sì, ma estranee a neoclassicismi di tipo accademico) che di quel flusso non limitano mai l’ondosità, né i toni felpati dove anche le rime e le rimalmezzo fungono da arpeggio. La misura c’è, però sempre in favore del lirismo di chi trasfigura con scioltezza, e a volte in modo apparentemente spensierato, il peso delle vicende esistenziali.

Col titolo di Poeta incantatore mi riferisco allo charme di queste poesie senza scordare la finzione e la sua problematica tenuta:

Prossima la catastrofe si annuncia.

Sì, devo prepararmi all’infallibile

débacle d’ogni ambizione, alla rinuncia,

a ciò che parve sempre incomparabile

col mio destino. La degradazione

della bellezza, l’annichilimento

d’ogni energia. Maestro di finzione,

quale maschera reggerà al cimento?1

Il poeta è un fingitore, scrisse Fernando Pessoa, e prima di lui Nietzsche, il filosofo del sospetto, che aveva preceduto Freud nel metterci anche in guardia sui suoi presunti dolori2 – ci si dimentica però di completare l’enunciato: egli finge nell’enunciare la verità, e questa, nel gioco delle maschere, non è fatta per nascondersi. In Raffo, poeta autobiografico par excellence, la finzione ottiene lo scopo di trasfigurare i momenti affettivi vincolati a un destino avverso con la sublime svagatezza dell’uomo colto, e con che differenza! – esclusi i poeti degni di questo nome – dai dispacci né in versi né in prosa di chi enuncia il male per scelta strategica, senza intima necessità, o secondo la consuetudine di preferirlo al bene!

Libero da molta poesia selvaggia e omologata, egli non teme di accostarsi – in filigrana – agli autori cui ha rivolto il proprio interesse: non dunque filiazioni bensì empatie, mentre l’incontro di tante parole greche, latine, francesi e inglesi, nelle sue composizioni, ha lo scopo di animare il linguaggio e avvalersi di determinati riferimenti. Lo stile è l’uomo, scrisse Buffon, imitabile solo da chi manca di una sufficiente singolarità, di un nucleo ideativo che Raffo ha invece mostrato fin da subito: egli può quindi fraternizzare senza alcun timore con altri poeti, citarli e avvertire simpatia per una certa Stimmung, perché in tal caso si tratta di moti affettivi, riconoscimenti, echi “da cuore a cuore”. Del resto, passando dalla poesia alla prosa, nel racconto Der Tod in Venedig di Thomas Mann uno studioso ha identificato decine di citazioni nascoste! Non contiamo poi quelle palesi nelle sinfonie di Gustav Mahler, oltretutto da parte di chi – com’è stato scritto – intendeva essere tutti i nomi della storia…

Li ho già incontrati tutti o manca ancora

qualcuno, mi domando. I miei compagni:

quelli che riconobbi senza inganno

al primo sguardo, che il mio stesso segno

– celeste prigionia, terreno esilio –

inciso dentro l’anima serbavano,

timorosi che ad altri si svelasse

quelli con cui m’è stata eletta in sorte

opera di paziente muratura

(pilastri, archi, portali d’alabastro)

senza che d’un sol volto sia memoria

la ricreata immagine del Tempio3

Certo, perché qui la memoria (di cui il poeta auspica l’oblio: Ebbra di soli e pioggie la memoria / chiede ormai stanca un po’ di ricreazione: / fuori del tempo, ingenua, senza storia…4) è capace di trattenere solo il profumo di ciò che avvenne…

I

Mnemosyne, se in te faccio soggiorno

è per un chiaro equivoco.

La tua veste profuma di quel tempo

immemoriale

(odor di foglie, fumo

cenere e fuochi in morbido languire) –

ma la sostanza?

So che non hai corpo,

sei ombra vana fuor che ne l’oggetto

(che non rendi). Per semplice stanchezza

mi adagio in te, nella tua blanda forma.5

L’aggettivo “immemoriale” riferito alla memoria, stupisce se si pensa a precisi ricordi, mentre qui è escluso ogni aspetto fotografico: Mnemosyne, ridotta al profumo (al fumo e alla cenere) ha lasciato soltanto un’imago senza oggetti, l’atmosferica culla dove lo stanco poeta si adagia.

Nelle composizioni di Raffo, prossime alla grande tradizione decadente (non del tutto chiusa, come parrebbe a prima vista) manca la cosiddetta spersonalizzazione, attiva ad esempio in Pessoa, Baudelaire e in alcuni poeti odierni, perché se in lui troviamo sezioni tematizzate, l’eco continua delle vicende personali reca – come in un diario – data, luogo e ora di composizione. Le sue raccolte mantengono dunque sempre il contatto con l’autobiografia, e proprio per questo appaiono vincolate al nucleo atemporale del destino cui rispondono i termini di “intertempo” e “interspazio” o – con maggior suggestione – l’immagine riflessa nel fiume: esso scorre lasciandone tremare la stregata immobilità. Riguardo al dramma, la differenza da altri poeti, dove il nesso fra esistenza e poesia può darsi molto più stretto e crudo (come in Lady Lazarus di Silvya Plath) qui dipende – sia pure con discontinuità – dalla levitas legata a un certo edonismo estetico (“soffro, ma lo dico con elegante melanconia”) e dalla cognizione di aver vissuto la favola bella in modo romanzesco6 come si nota nelle sue raccolte, per cui, riguardo al fingere mi domando se esse non vadano intese secondo la sottile definizione del critico Giacomo Debenedetti, che rovesciando l’idea del Painter – secondo il quale la Recherche è una biografia romanzata – parla del romanzo proustiano come biografia.7 Infatti, la specificità di certe esperienze (definizione del proprio pensiero, aspetti simbolici, carattere dell’immaginario, mutamenti, amplificazioni…) costituisce la vera biografia dell’artista, cioè del suo io segreto… e Corpo segreto suona appunto il titolo di un’ampia raccolta di Raffo. A questo punto, se si tratta di leggere, assieme alla “storia di un’anima” anche quella dell’io come molteplicità di identificazioni, amore del bello melodico, fantasia, richiami diretti o velati al mondo fiabesco e altro ancora, non stupisce che agli esiti sperimentali e sovvertitori del linguaggio egli prediliga la sovversione del reale tramite l’“esorcismo” della fiaba e la trasfigurazione: Certe magie sovvertono il reale… è esorcismo che sgomina ogni male…8

Che tanta luce si dissolva in niente

ancora non riesci ad accettare,

da sempre avezzo al tuo trasfigurare9

I richiami al destino – qui davvero ricorrenti – mi riportano a una frase di Nietzsche, dov’egli specifica che con esso prima si combatte, poi occorre condurlo per mano come un bambino: si diventa, insomma, ciò che si è – se si può. Nella prefazione a Il fantastico abisso, leggo: “Accettando pienamente il proprio destino, il poeta diventa muto giardiniere di un’alta serra, colui che costantemente va alla ricerca della parola splendida…” Generalmente parlando, non mi pare si possa far discendere da tale accettazione l’“alta serra” e la “splendida parola” senza i doni naturali: chi manca di orecchio può accettare il proprio destino… ma sarà anche quello di non potersi dedicare alla musica. Ricordiamo il rapporto che Giorgio Graziosi stabilisce fra studio, genialità e natura:

“La voce di Tamagno, le mani di Paganini e la forza del braccio di Liszt, checché si voglia dire, son doti di natura: sì, siamo perfettamente d’accordo che le corde vocali di Tamagno o le falangi di Liszt a nulla valevano se non c’erano quel sentimento e quel genio, ma, viceversa, è ovvio che senza quelle corde e quelle falangi Tamagno e Liszt non sarebbero stati quello che furono. La velocità di ottave ribattute o in scala che udimmo da Horowitz e che suscitavano sonorità che vorremmo dire apocalittiche (insomma un caso di tecnica straordinaria che di per sé evocava un infocato clima lirico), ha la sua origine in una struttura ed elasticità di polso e di mano che, crediamo, nessun studio o tenace volontà di pianista potrà uguagliare”.10

Alla splendida parola Raffo giunge col suo finissimo orecchio, il culto innato della bellezza e il sentimento romantico espresso in termini delicatamente parnassiani, mentre il destino (la lingua che batte dove la vita duole) può certo informare di sé un percorso di scrittura, anche se qui la sua accettazione è relativa e a doppio volto: mahleur esistenziale da una parte e chance del talento dall’altra. In questa divergenza la chance non elimina il malheur, ma gli offre la bella coppa in cui raccogliersi. Del resto, l’ideale dell’io, volto a raggiungere l’io ideale, produce una continua dissonanza, e la loro poco auspicabile indifferenziazione11 tocca all’io del fanciullo in braccio alla madre, cioè non ancora formato, o – sul piano del tempo in rapporto ai vissuti – a certi effetti prodotti dalla memoria involontaria. Ne abbiamo una prova con le impressions retrouvée di Proust,12 mentre nel Nostro, assieme alla rievocazione dell’infanzia (non si sa se realmente felice, valutati i compiti non lievi che il bambino si trova a risolvere fra mamma, papà e fratelli) domina il permanente riflesso della propria immagine affascinate. Il Poeta è dunque l’opposto di Dorian Gray: il Corpo segreto manterrà la sua fragranza, mentre la degradazione della bellezza colpisce l’evidenza fisica. Il grande assente, nelle poesie di Raffo, è la serenità dell’uomo vecchio e saggio, perché ciò che vi domina è in fondo l’auspicio di Gozzano, quando scrive: L’immagine di me voglio che sia / sempre ventenne, come in un ritratto.

Distilla la dolcezza un lievito immortale,

gusto di frutto esotico, proibito

A delibarlo l’anima, nell’attimo fatale,

presente uno sgomento indefinito

Nessun sapore sarà a quello uguale:

l’ambrosia disamora l’appetito13

Hai amato sempre e solo il tuo riflesso,

larva elusiva al tuo tempo presente

e senza tregua t’ingannò lo stesso

sorriso di fanciullo evanescente.

I numi a te nemmeno hanno concesso

di vivere l’amore più innocente.14

Perfetto come sempre,

come sempre incompiuto:

di queste sole tempre

si marchia il tuo vissuto.

Se in qualcosa hai sbagliato

è d’essere sempre stato

troppo a te stesso eguale

nel combattere il male.15

Non ti sei mai spostato

dal punto di partenza16

Queste due poesie, in cui “perfetto” e “incompiuto” sono due facce della stessa medaglia, conducono a un enunciato della poesia Dittico dei grilli:

(i grilli di Barasso)

II

… Che dicevano i grilli dal giardino

nell’assiduo frinire melodioso

quel tenero notturno settembrino?

Sussurravano dolci al mio riposo:

“Non crescere, non crescere, bambino”17

Crescita e maturazione (Benedetto Croce invitava la gioventù a maturare e invecchiare presto) non si accordano certo con il culto dell’eterna giovinezza, tantomeno con la conservazione dell’autonomia narcisistica, destinata fatalmente a guastarsi.18 Occorre però evitare l’errore di certi studiosi, che in base alla norma hanno definito il Pascoli non cresciuto, mentre è vero che non voleva crescere, e il suo Fanciullino, se letto non unicamente sul piano letterario, dice pur qualcosa al riguardo. Egli era ben coscio di non essersi sviluppato, ma ciò contraddice solo in parte la dichiarazione negativa, se pensiamo a due impulsi fra loro contrari: svilupparsi, secondo natura (questo l’auspicio) e restare l’infante capace di rendere poetiche le cose, se sogno e fantasia gli impediscono di ridurle a ciò che esse sono in realtà. D’altra parte, esistono studi dedicati al fanciullo ascendente come richiamo alla primavera – oltre all’hölderliniano passare e indugiare e alla figura del puer canuto – non certo in contrasto con l’opera dei poeti poco attuali.

Nella poesia di Silvio Raffo scopriamo – oltre ai riflessi dannunziani – qualche analogia col sentimento animatore pascoliano,19 ma con un più ampio spettro delle parvenze idriche ed eteree: angeli, fate, luna, onde, ali, nubi, luce e ombra – sebbene il culto della luce gli faccia poi scrivere, con versi davvero stupendi…

Più che la luce mi seduce l’ombra,

il velo trasparente d’una soglia

la voce che nell’eco s’assottiglia20

Ma il mio unico fuoco ha da restare

la fiammella dell’angelo-lanterna

che di me s’alimenta per brillare

e sul mio sonno blando s’addormenta21

Fiammella nell’ombra alimentata dal combustibile del dormiente, per poi addormentarsi anche lei sul suo sonno… Immagine davvero riuscita! Del resto, nel volume Corpo segreto, il poeta ha dedicato un trittico all’ombra – ma anche la luna è un’ombra, sia pure fosforescente, se rapportata al sole,

e riguardo al punctum dolens del mancato amore…

Quanto a me, devo ammettere con sgomento

che non conobbi mai questo tormento:

anche in amore sono sempre stato

poco profondo, molto smemorato22

(l’amore)

l’ho talvolta intravvisto –

ma solo da distanze siderali,

in uno scialbato alore23

Fanciullo, in te si sposa il come e il quando

del mio tempo irreale.

Eternamente

resistiamo congiunti nell’uguale

muto abbraccio dell’anima.

Né d’altri amori m’agita il rimpianto.24

Costante infanzia, magico alimento

di fragranze perenni, come posso

ricordarti se “mai” tu sei “trascorsa”?25

Infanzia unita alla poesia, naturalmente!... e così leggiamo in Annuncio di nozze, scherzosamente fiabesca per evitare pesanti prosopopee, ma con metaforici e precisi riferimenti al connubio solitario e alla leggerezza della sposa, il cui “abito di tulle” con-fuso col paesaggio(poesia) non le permette rilievi…

Io

e Madamigella Poesia

ci siamo sposati

stasera

alla Casina Valadier

senza grandi cerimonie

proprio all’ora del tè.

Ci siamo sposati

da soli, senza invitati.

Lei era

di una eleganza leggiera:

indossava un abito di tulle

che si con-fondeva col paesaggio…

Ora non avrò più il complesso

dell’amore, o del sesso:

non sarò più

un inconiugabile

… e mio dio come sembrano ridicole

confrontate a noi due le altre coppie,

così affettate, così vulnerabili,

con le loro effusioni così doppie…26

Per riprendere la questione dell’amore, potremmo, con l’ausilio di alcuni riferimenti, risalire al suo oggetto nell’inclinazione del poeta per attrici, poetesse27, personaggi mitologico-astronomici (Andromeda)28 e letterari come Coppelia e Melisandre sul letto di morte, cui il poeta fa dire:

Nelle notti di luna al mio castello

il silenzio ha l’immobile spessore

dello specchio che invetra le pareti.

Non ho che specchi intorno a me: dal fondo

fulgido e cupo pulsa un sonnolento

scintillio di riflessi, e se protendo

la mano oltre le coltri arde e lampeggia

la penombra iridata di barbagli

per l’anello che il dito mi sigilla.

Chiusa nell’inviolabile giaciglio,

le palpebre serrate, seguo il lento

corteo di luminosi paggi erranti

e trafitta di luci mi addormento.29

Certo, la voce prestata da Raffo alla debussyana Melisandre evita i punti salienti della tragedia (solo la parola “giaciglio” vi si riferisce, e lo stesso “mi addormento” attenua l’idea della morte) favorendo gli effetti speculari di cui è maestro. Voce iridata dai riverberi presenti nelle continue “i”, ma in una smorzata sonorità dovuta alla sua caratteristica tastiera (con omoteleuti verlainiani a volte assonanti come in sonnolento:protendo:lento:addormento). In quanto a Coppelia, ricordo il suo interesse per il romanzo gotico, la fiaba, il mistero, l’artificio e le presenze soprannaturali adombrate anche nei suoi componimenti poetici. La poesia (Resta con me per sempre, Solitudine) ci offre qualche indizio in più per chiarire la virginale tonalità di quest’amore, perché qui il suo nume non è Afrodite – come ci si aspetterebbe – e nemmeno Apollo (egli, al posto dell’arco e della lira, tiene “una verga di duttile betulla”, rimante, non a caso, con “fanciulla”) bensì Diana, e così fu per il personaggio di Ippolito in Fedra di Racine. Artemide, potnia degli animali, specialmente dell’orso lunare (secondo certi studiosi Artemide potrebbe derivare da arktos: orso) è la dea delle ragazze, le sue orse, e identificata con la casta luna tanto presente nelle raccolte del Nostro…

Le avevo già perdute, a quei begli anni,

le figurine delle dive? Sacre

icone del mio solo monastero:

divine incantatrici, sibille di un mistero

che non poteva sciogliere un oracolo,

non intaccare il tempo. A cui fedele

dovevo rimanere come a un voto,30

Apollo dall’amore m’ha affrancato

con sua verga di duttile betulla

e alla tutela m’ha riconsegnato

di sua sorella Diana. La fanciulla

tra i silenzi del bosco mi conduce

al dorato recinto delle Ninfe

dove l’ombra si sposa con la luce.31

A incantarci, oltre alla sorprendente composizione di queste poesie ricche di effetti imprevedibili, è il flusso melodioso con cui l’Autore declina la propria vicenda nel duplice aspetto della fissità – dovuta all’elemento strutturale – e della variazione: tutto ritorna, ma nella piega, come scrisse Gilles Deleuze.32 Fissità snodata in pensieri di morte33 e declino, se non si può respingere impunemente la natura (come ha fatto Baudelaire con i suoi omaggi all’artificiosa sterilità, e in parte Katherine Mansfield, quando si legge in Una pensione tedesca: “Ma io considero il fare figli la più ignominiosa delle professioni” e nel Diario: “Come la natura si fa beffe di noi! A che scopo amare qualcuno, se anche una lavandaia può fare esattamente la stessa cosa? Inganno della natura per assicurare la continuazione della specie”34 – mentre in Raffo troviamo: Ha il contatto dei corpi una glaciale / terribile irrealtà. Non c’è magia / nell’aspro e cieco insistere animale/ […] L’aspirazione a fondersi in realtà / è qualcosa di assurdo e innaturale35). Egli esclude la manipolazione che accompagna il rapporto amoroso, e ciò si capisce, se si pensa al suo oggetto scevro da implicazioni fisiche, definite “innaturali” perché estranee alla relazione in cui il fanciullo rappresenta, qui, un ideale di purezza lontana dalle ricerche di Freud attorno alla sessualità del bambino.

Cito questi elementi pensando ai poeti dalla libido autunnale vel primaverile attratti dalle cose nascenti o rese fanée dal loro gentile addio, e alla scarsa attrazione del Nostro nei riguardi della sessualità36 (seguo i suoi enunciati) che lo porta a prediligere gli angeli, le fate e la luna, il cui virginale pallore – già frutto di un riflesso – si specchia nelle acque… Quelle energiche e saline oppure lacustri? Dopo aver nominato il mare, il poeta dedica molti versi alla staticità dei laghi, specialmente nei giorni di nebbia in cui rivelano aspetti spettrali. E la vita?... Non certo quella di chi vive per vivere. La vera vita, scrisse Proust, sta nella letteratura, e ci crediamo, vista l’esperienza di pensiero e l’inesausta ricchezza della Recherche!... purché si superi la pregiudiziale dicotomia fra vita e scrittura (Raffo, in La vita vera, cita le sorelle Brontë: “La vita vera è quella che si scrive”37). Chi confida nel primum vivere non si trova di sicuro nelle migliori condizioni per trasformare il disagio di esistenza e civiltà in simili esperienze, quand’anche non siano strazianti come quelle di Sylvia Plath, Anne Sexton e Alejandra Pizarnik. Poeticamente mite ma sicuro di sé e dotato di una magnetica verve – ecco l’altro aspetto interessante della sua personalità – Raffo riesce a distillare il negativo in bellezza musicali38, a volte dolcemente ironiche e – come ho accennato – maggiormente assimilabili a Verlaine, a certi componimenti “materni” e lunari di Jules Laforghe, certo a Ximenes, e un poco a Corazzini, se escludiamo il tragico destino del poeta romano…

Ha certi giorni l’arido sapore

dell’acquasantiera, degli ossi di morto,

dei veli inamidati delle suore39

Ironia sì, ma estranea alla funzione di abbassare l’oggetto… semmai più vicina all’idea espressa da Thomas Mann: cedere il passo con nostalgia a posizioni superate o comunque non più accettabili, mentre qui permangono quelle fomiti di disagio e solitudine più volte razionalizzate dal poeta chiaroveggente, conscio di possedere la forza del diamante e la natura di un vegetale…

Anima mia sei punta di diamante,

astro che un dio ha forgiato al calor bianco –

sei sorella segreta delle piante

ma la tua linfa ha più salda radice.

Non ti scalfisce il palpito incessante

né il grumo oscuro del cuore infelice40

Parrebbe non averti mai tradito

la qualità della chiaroveggenza,

ma quante volte avresti preferito

poterne fare senza…

Il fato con te fu scortese

privandoti di dubbi e di sorprese41

Gli elementi sottesi al canto sublime sono l’inganno legato all’amore (la prosa Eros degli inganni dice appunto questo) la percezione che non accada più nulla, il conseguente senso di dissoluzione e il relativo desiderio della fine già implicito nell’economia libidica cui la confessione del poeta ci ha edotti…

A mancare alle nostre esili vite

di artisti, esteti e asceti solitari

fu la forza di una passione vera,

di un folle volo, di un accecamento:

fummo sempre a noi stessi sufficienti,

fugace e sempre scarso il desiderio

dell’altro, di qualcosa che non fosse

l’arte, o un traguardo nobile e lontano.

Mancò la brama ardente dell’umano42

anche se – sul piano artistico – preferiremmo parlare di duré contemplativo-produttiva della fine col suo fantastico Ersatz. Simili tratti comportano, tramite le ben note correspondances e i richiami analogici, una forte simpatia per ambienti e città da cui spira un dolce senso di abbandono, ad esempio Bruges, Salice Terme e le opere di certi pittori simbolisti e decadenti come Khnopff, ma non, secondo certe attese, tramite la cupa tristezza autunnale di Rodenbach – piuttosto con la melanconica recita dall’attore…

Forse non la realtà, l’arte è la sola

mia vocazione. Io sono l’attore

della mia vita, e per rappresentarla

nelle maschere il volto mi dipingo.

La finzione, del vero in parte amica,

di sé sola mi nutre e appaga – mentre

vivere è un’illusione che affatica.43

L’autentico disgusto

che provo per il mondo

non è così profondo

da indurmi ad abdicare

Nel regno delle ombre

permango a interpretare

il mio ruolo di divo

tardo-crepuscolare

Una ristretta schiera

m’applaude silenziosa

in dono riserbandomi

qualche pallida rosa…

A pargoli e zitelle

dispenso il mio sorriso:

non ha che queste stelle

in terra il paradiso44

Detto in termini musicali, l’intima disposizione al crepuscolarismo – psichica prima che letteraria – determina il modo, non sempre in minore, e la tonalità di queste poesie magnetizzate da fantasmi di declino (capaci di rendere così melanconico Rilke, durante la sua passeggiata con Freud45) ma senza escludere il piacere: quello di rendere bella la lamentazione e vagheggiare lo stesso declino come soave congedo da certe forme di nefasta vitalità.

Il crepuscolo, nei suoi aspetti più attraenti (per chi lo avverte) arreca il venir meno d’ogni coartante attivismo o dover essere, perché solo così è possibile tornare in sé, all’ascolto della propria anima. Lo stesso effetto di pensosa melanconia lo raggiungono i parchi negletti, l’ondeggio delle rive solitarie e i “luoghi di un tempo” già colmi di vita, un po’ come in Gozzano Villa Amarena…

Qui si parlano i morti: è un regno muto

dove non ha più luogo la Parola.

Ma s’intendono l’ombre mormoranti

a fremiti e sussulti, come d’acque

increspate di brezza o foglie scosse

dai vibratili palpiti di un volo…46

Vivo sul lago, in una solitudine –

ecco la parola che mancava –

mia fidanzata, sposa, madre, schiava –

che nessuno interrompe d’abitudine,

che nessuno ha il coraggio di violare.

Il coraggio? Diciamo il desiderio.

Del resto, che cos’ha da guadagnare

chi s’avventura nel mio l a b i r i n t o?

senza prendermi troppo sul serio –

i sani si rifiutano d’instinto47

Al Paese del Sonno attracca languido

un battello chiamato Paradiso

Non ne discende un solo passeggero

Ma sorride d’un complice sorriso

la piazza muta dell’imbarcadero

[…]

Più che il paesaggio dalle molli forme

già un po’ sbiadite, ottuse dalla nebbia,

m’affascinava il pallido riflesso

nell’urna d’acque, tremolante avello –

ombre d’un’ombra, liquescenti larve –

e un timido bagliore che scomparve48

E in Feuilles mortes et ma délice…

Sul busto in marmo del patrizio austero

plana uno stormo devoto e leggero.

Altre increspano il morbido tappeto

di arabeschi gentili. È un sepolcreto

di foglie il parco che ha nome Avventura,

di nebbia e sogno sono le sue mura.

“Inter casura vivimus”… ma inizia

un giorno, qui, di perfetta letizia.49

Il soave sfarfallio accarezza l’ostinata staticità dell’effige e produce un contrasto agogico: le foglie staccate planano senza pena, addirittura con devozione, rendendo implicitamente enigmatico il nome del parco, come se l’Autore – da Whitman a rovescio – smorzando ogni esistenza ne chiedesse l’ora autunnale… non tanto la morte garante, quanto il perdurare indefinito dell’addio in cui le sonorità, smessa ogni percussione, affiorano ovattate. Il declino, se tragico, può certo trasporsi in forme di potenza tacita, spettrale stupore, disfacimento e irrimediabilità, ma queste le troviamo nei versi paratattici di Georg Trakl. In Raffo prevale la felpata e iridescente narrazione di chi parla a se stesso con toni funerei, ma che – seguendo i suoi continui capovolgimenti – non esclude il possibile implicito nell’attesa…

Fin quando mi sarà dato d’avere

quest’aria vaga d’angelo eremita?

Confesso d’aver complice una scaltra

quotidiana cosmesi, ma di certo

non si tratta soltanto dell’aspetto:

m’è naturale un fatuo ondeggiamento,

lo svolazzare aereo delle piume…

Anche quando l’uncino del dolore

mi scarnifica lento in ogni fibra,

so che non può raggiungere le ali:

so che rivolerò, sempre nel vuoto

vuota sostanza viva senza vita.50

“Esili vite” mancanza “di una passione vera” “fummo sempre a noi stessi sufficienti” “mancò la brama ardente dell’umano…” Serie di enunciati esistenziali di cui si nutre questa poesia a quando a quando ombrosa, alata e fosforescente… Eppure, chi conosce – come accennavo – la capacità affabulatrice del poeta, la smagliante sicurezza da attore con cui affronta il pubblico e l’assenza di ondeggiamenti (chiusi nel melanconico cesello delle sue composizioni) non potrebbe immaginarlo triste sulle abbandonate vie dei beghinaggi a Bruges…

Mi segue ovunque e astuto si riplasma

dai più oscuri meandri del pensiero

il mio inesausto e tenero fantasma

(io di lui, o lui di me prigioniero?)

Invisibile ci congiunge un nastro,

suggello di distinte identità:

lui è il demone cupo del disastro,

io la stella della vitalità51

e qui si apre di nuovo la questione del poeta fingitore cui il nostro da credito, ma fino a un certo punto, allorché definisce la finzione “del vero in parte amica.

Di ciò riterrei responsabile prima di tutto il piacere della féerie: la fata Berliquette m’ha tramutato / in una statuina di diaspro52 poi la scissione fra esistenza privata e presenza pubblica in cui il poeta – contrariamente alla Plath, che giungeva al punto di svenire – può recitare i suoi versi nel modo più brillante, forse perché i contenuti affettivi rimangono temporaneamente sopraffatti dall’ars dicendi. Riguardo all’autenticità non si dovrebbe poi perdere di vista l’eventuale fissazione a certi contenuti53 – che pur accattivanti possono risultare deboli – cioè la difficoltà di superare la coazione a ripetere come destino. Ne sapeva qualcosa Katherine Mansfield col suo tormento di scrivere senza sentirsi vera.54 Anche in Raffo la domanda preme: Quando sentirò, finalmente, di essere vero?... ma citando la fosca comare lui non la formula nel senso in cui Blanchot e Heidegger intendevano, rilkianamente, la frase “essere per la morte” come il punto in cui la vita assume importanza per effetto retroattivo, ciò secondo l’uso del futuro anteriore sarò stato. Egli invoca la morte come portatrice di brivido e choc…

Poiché il vero piacere della vita

è tutto nella semplice finzione

di giocare per bene una partita,

di restare all’altezza del copione,

è tutto cinema, letteratura,

è commedia dell’arte e pantomima.

E per godermi quest’ultima rima,

Morte, quando verrai, fammi paura.

Dammi il brivido tu della passione

che scardina le porte del mistero

Siamo vissuti di pura illusione.

Sii finalmente qualcosa di vero.55

Che il Nostro inganni il sopraggiungere del vero – demandato alla morte – lo testimonia la disseminazione dei motivi (o formule rituali ritardanti?) i quali contengono momenti di condensazione (generalmente muliebre) ma appunto come se il poeta si dicesse: “In attesa del vero mi diverto a escogitarne sempre di nuovi”. Non va insomma dimenticato l’aspetto ludico, nel tormento, il piacere di variegare l’attesa con gli sciami dei volti ingannevoli, eppure ridenti, tramite simulazioni, dissimulazioni e garbate ironie:

Ridenti e fuggitivi sciameranno

per la via nel rigoglio di un istante

perfetto i cari volti dell’inganno.56

(si noti la citazione leopardiana) oppure:

sono le tenui gemme di un sudario,

smeraldi d’arsa luce immemoriale

alle vetrate della cattedrale

ove è dipinto il tuo dolce calvario.57

Nonostante le insidie del maligno

e la volgare torbida violenza

del suo perenne agguato,

tutto sarà perfetto. Azzurro cigno

trasvolerai le tenebre inviolato,

splendido di divina (in)differenza.58

La “differenza” di Narciso, il quale non sente Eco, e neppure si accorge di come il suo volto riflesso si sia trasformato in Medusa, produce “(in)differenza” non però l’impossibilità di provare interesse per gli altri, sia pure nel limite imposto al dolore dall’edonismo. L’economia dell’esteta comporta grande cura per la forma in cui si depositano sensazioni, sentimenti e immagini, ma esclude – generalmente parlando – l’agognata passione e il contatto da cui potrebbe sorgere l’evento: rimane la bellezza scissa da cui traspare, come suo fondo, la morte. Narciso che guarda la propria immagine (e, in un’accezione più estesa, impara a conoscersi) lo dice chiaramente, benché il lettore in grado di distinguere amare e voler bene – c’è, infatti, chi ama senza voler bene – non tarderà a scoprire in lui sinceri moti di affetto, adesione e simpatia.

[…] Quel “noli me tangere”

imposto a ogni dolore troppo intenso

che non avrei potuto sopportare

ha inaridito il gusto della vita.

Ho vinto il male, e perso la partita59

Ma in Al fantastico abisso abbiamo:

Il dolore mi dura in prevalenza

l’istante in cui s’incide la ferita

vibrato il colpo. Provvida esperienza

al peggio mi preserva, inerme sfida.

Così vinco col male la partita.60

A questo punto mi parrebbe più utile sostituire il termine “finzione” con l’arte immaginifica di trasfigurare e rendere bella la dolorosa condizione d’intangibilità. Siamo, insomma, di fronte a una tecnica difensiva: il disagio angaria, ma è assunto in dosi tollerabili per non soffrire troppo a causa dell’amore, tuttavia richiesto e onnipresente – e come? Qui viene in mente Gozzano, la cui poesia è sommamente caratterizzata dal rimpianto di non poter amare se non dopo, cioè fuori tempo e per mezzo del rimorso – dando il giusto valore alla frase “ciò che poteva essere non è stato” – dalla finzione di essere quel che non si è. Raffo si camuffa e distilla la torbida sostanza per estrarne l’essenza, ma l’alambicco resta, e con lui i fondi vischiosi della distillazione, perché i segni della vittoria (relativa) devono pur mostrare cosa si è vinto o superato, come in certi quadri dove ai piedi del santo giace il demonio inerme.

Perché tu l’assapori in solitudine

in lunghissime notti quest’amara

coppa ti è riservata.

Sarà la tua più tenera abitudine.

Abbila dunque dolcemente cara,

da te solo vuole essere gustata.61

Il miele del tormento

va distillato in coppe

finissime d’argento

(Non devono essere troppe

le gocce del veleno)62

“Tenera abitudine” e “amara coppa” per il suo contenuto di veleno, purché misurato a gocce, come si fa con le medicine, altrimenti l’alchimia del poeta non può trasformare il tormento in miele – e che queste coppe rappresentino la forma armoniosa della sostanza, è facilmente intuibile. Nei due esempi qua sopra abbiamo il principale contrasto su cui si modella la poesia del Nostro, ricchissima di spunti, fioriture e sfumature in continua metamorfosi. Rimane da chiedersi perché qui manchi la facoltà di sovvertire il destino come coazione a ripetere (Wiederholungszwang). La risposta può solo offrirla il poeta “pallido cinedo” col verso già ricordato: “fummo sempre a noi stessi sufficienti”… il “figlio smarrito di una notte bella // cieca d’astri lucenti” il cui tormento è “di non sentire appartenenza alcuna – / figlio del vento, di un’oscura luna…”63. Il mite “dolorismo” di Raffo ha per compagna una Musa capace di renderglielo iridescente (vorrei anche ricordare il magico aggettivo “fosforescente”) e remoto da quello di molti poeti con le loro fastidiose e ordinarie querele da flagranti usurai del tema “male di vivere”. Questo male lo conosciamo, e Raffo vi rimedia a suo modo, offrendo bellezza e disagio abbracciati.

Proseguendo la lettura a ritroso in cerca della genealogia della sua poiesi (cioè da Al fantastico abisso fino alla raccolta antologica Il canto silenzioso) mi sembra che le prime poesie della raccolta, risalenti al 1967, siano più aperte al mondo e anche più spontanee…

Così va la notte – pian piano

si sfuma nell’alba

dai monti.

Pensare è soltanto fatica

in questo silenzio.

Ho in mente la tua casa,

Adriana –

il tuo presepio di cocci

a settembre –

e te che scendi quieta dalle scale

con la tua mamma piccola

alle spalle64

Ma ritorniamo, zia, fuori da queste

troppe luci gridate

e queste voci

che non sanno il silenzio

(gli aeroplani, i giri vorticosi,

il tirassegno,

la bimba focomelica, i serpenti).

Andiamo via. Mi fa paura il mondo

che non è il nostro.

Ritorniamo, zia,

dove è la vita quieta dei ricordi

e la speranza muta si rassegna –

dove le cose sono senza tempo

e pochi i sogni da sognare,

piano.65

La ragione della loro maggior scioltezza e ricchezza di mondo dipende dal loro trovarsi ancora libere dalla poetica, mentre le poesie degli ultimi volumi potrebbero esserne il frutto. Il poeta, ampiamente produttivo, è sempre lo stesso – non c’è dubbio – ma come se la poetica, cristallizzando e depurando il dettato precedente, abbia, sia pure in parte, trasformato la fresca musa giovanile in una musa-medusa, certo col suo indiscutibile fascino. Oppure, considerata l’estensione numerica delle sue poesie, si può pensare che Raffo, dal 1984 in poi (dove inizia a farsi sentire la rima, che li caratterizzerà in modo sempre più raffinato e sorprendente) pur restando fedele alla propria ispirazione, abbia cesellato in qualità di orafo i momenti più esemplari del proprio percorso.

Nota biografica

Silvio raffo, nato a Roma, ha insegnato a Varese al Liceo Classico e all’Istituto Universitario per Traduttori e Interpreti. Narratore (finalista al Strega col romanzo La voce della pietra, da cui è stato tratto il film di produzione americana Voice from the stone con Emilia Clarke) poeta autore di dodici sillogi (vincitrici dei Premi Cardarelli, Gozzano, David, Montale, Città di Cariati, Città di Borgomanero, Valdicomino, Libero De Libero). Saggista e drammaturgo, è il traduttore più prolifico in Italia di poeti angloamericani Emily Dickinson, Opera omnia (Meridiano Mondadori) Sorelle Brontë (Oscar Mondadori) Edna St.Vincent Millay (Crocetti) Sara Teasdale (Crocetti) Wendy Cope (Crocetti) Dorothy Parker (La Tartaruga) Christina Rossetti (Le Lettere) Branwell Bronte (LaVitaFelice) Alfred Douglas (Elliot) Oscar Wilde (Newton Compton). È autore di testi teatrali dedicati a Guido Gozzano e Emily Dickinson, che porta da trent’anni sui palchi di teatri italiani e inglesi. Ha collaborato a rubriche di poesia per RAI 5 e a numerose trasmissioni alla Radio Svizzera. Visiting Professor a Londra, Hortensia College, ha partecipato al congresso dedicato da Stony Brook, Long Island, al centenario di Guido Gozzano. Dirige il Centro di Cultura creativa La Piccola Fenice e ha fondato il Premio Morselli e Il genio segreto per narrativa inedita, alla decima edizione.

NOTE

1. Silvio Raffo, Corpo segreto, Faloppio (Co) Lietocolle, 2017, p. 79.

2. Si veda il saggio Das ökonomische Problem des Masochismus [Il problema economico del masochismo (1924)] in Opere, vol. 10, Torino, Boringhieri, 1978, dove Freud chiarisce che un soggetto non potrebbe neppure uccidersi senza l’intervento della libido.

3. S. Raffo, Oi ktistéis, in Il canto silenzioso, Barzago (Lc) Marna, 2005, p. 112. “Stesso segno” riconosciuto nei compagni per i quali Raffo ha ricreato l’immagine del Tempio, appunto senza memoria di volti, cioè tramite analogie e iridescenze. Ricordo la precisazione del musicologo Giorgio Graziosi: “… noi stiamo con coloro che nel processo creativo vedono entrare e interferire, anche se talvolta in insondabili quanto complessi rapporti, tutto ciò che di un uomo fa quell’uomo e di quell’uomo fa quell’artista: natura, ambiente, tempo, nazionalità…; vita fisica e morale, temperamento cultura…; e molt’altro ancora.” Giorgio Graziosi, L’interpretazione musicale, Torino, Einaudi, 1952, nella “PBE”, 1967, p. 114 sg.

4. Ivi, dalla sez. Stanchezza di Menemosyne, ibid., p. 50.

5. Ivi, Alla musa, ibid., p. 55.

6. Ivi, Come un romanzo – Autobiografia di un alieno, ibid., pp. 150-166.

7. Cfr. Giacomo Debenedetti, Rileggere Proust, Milano, Garzanti, 1994.

8. S. Raffo, Al fantastico abisso, Busto Arsizio, Nomos, cit., 2011, p. 86.

9. ID., Sub quocumque coelo, in Corpo segreto, cit., p. 161.

10. Giorgio Graziosi, L’interpretazione musicale, cit., p. 83.

11. Sigmund Freud, Das Ich und das Es (1922) [L’io e l’Es] in Op. cit., p. 9, Torino, Boringhieri, 1977.

12. Si veda, al riguardo, il bel saggio della studiosa Claude-Edmonde Magny (Edmonde Vinel) Histoire du roman français depuis 1918, Paris, “Vues sur Loire”, 1971, nella sezione dedicata a Proust.

13. S. Raffo, dulcedo dell’ambrosia, in Al fantastico abisso, cit., p. 61. Primo e terzo verso: due emistichi con cesura fissa. Forte cesura nel secondo verso, dopo “esotico”. La struttura melodica del componimento si regge su due assi armonici: “immortale, fatale, uguale” – “proibito, indefinito, appetito”. L’immortale, legato all’esotico (al non comune) e al proibito, diventa fatale.

14. ID., Il riflesso innocente, in Corpo segreto, cit., p. 95.

15. Ivi., p. 119. Come in Dulcedo dell’ambrosia, qui abbiamo “sempre, tempre” (riferite a perfezione e incompiutezza) in rapporto a “uguale, male”. Non si sa se è il male dell’uguale come destino del soggetto o del mondo.

16. S. Raffo, La corsa apparente, in Al fantastico abisso, cit., p. 85.

17. ID., Dittico dei grilli, in Corpo segreto, cit., p. 160. Andamento da ninnananna, con sonorità feltrate.

18. Ricordiamo, tuttavia, le parole di Furio Jesi: “Non è lontana la profezia di Rimbaud nella lettera sul ‘voyant’, l’annuncio che il poeta diverrà ‘moltiplicatore di progresso’ nell’istante in cui ‘definirà la quantità di ignoto ridestantesi durante la sua epoca nell’anima universale’. In questo cammino verso l’epifania dell’ignoto o, in altri termini, verso l’identificazione della nascita con la morte nello spazio aperto intorno alla spiaggia terrestre, l’uomo – affinché l’uomo duri – dev’essere il poeta: più esattamente ‘il giovane poeta’, colui che è in cammino”. Cfr. Furio Jesi in Letteratura e mito, Torino, Einaudi, 1968, 1977 e, nella “PBE” 1981, p. 81.

19. L’indecifrato lume, ivi, p. 66, conserva qualche atmosfera pascoliana: V’è un’ora incerta tra penombra e luce / (mattino o sera?) un tenero barlume / che i sensi inganna e l’anima seduce. Della vita l’indecifrato nume / si svela a tratti, velato di brume.

20. ID. Ritratto dell’artista da morto, in Il canto silenzioso, p. 148. La rima imperfetta in -iglia rende bene l’idea dell’assottigliarsi.

21. Ivi, Il mio unico fuoco, p. 128. Composizione trasognata.

22. Ivi, Eros ephémeros (la farfalla), p. 81. Il primo verso mi pare sia composto dalla serie di tre trocaici, il secondo sdrucciolo.

23. Ivi, Eros-Narcissus, p. 88.

24. Ivi, Il tempo irreale, p. 132. La lacrima, quando c’è, gocciola musicalmente raccolta dalle coppe della bellezza. Alla disperazione manca, insomma, la forza di giungere alle note alte del grido: essa si ferma ai toni medi della scala espressiva, prolungati dal pedale di risonanza e resi tenui dal tocco pensoso.

25. Ivi, Costante infanzia, p. 102. Bella l’ultima terzina cantata in modo pensoso.

26. Ivi, Annuncio di nozze, p. 78, sg.

27. Poetesse di cui ha tradotto le opere, e alle quali ha dedicato vari articoli e antologie.

28. S. Raffo, Twin Stars (Corpo segreto, cit., p. 120) la presenza della stella Algol, nella costellazione di Perseo (mutevole, perché eclissata dalla seconda, Algol B) e soprattutto di Andromeda, potrebbe suggerire un curioso legame col pensiero tormento-liberazione del poeta. Inoltre, la stella Andromeda si trova vicino a Perseo (in mitologia, il liberatore della principessa e uccisore della Gorgone Medusa) si trova a nord-est del quadrato di Pegaso, il cavallo alato sorto dalla testa recisa della Medusa, e dal cui zoccolo scaturì la sorgente Ippocrene: si passa, perciò, dal sangue all’acqua. Non penso tu possa / fissare impunemente Algol, la stella rossa, / né Andromeda a occidente – / ma forse è proprio quella / che mai sospetteresti / la tua stella gemella.

29. ID., Al fantastico abisso, cit., p. 46.

30. ID., Come in un romanzo, IX, in Il canto silenzioso, cit., p. 154. Dopo la lista dei nomi (Celeste Holm, Nina Foch, Elli Parvo…) Raffo scrive: Dormivate con me, sotto il cuscino, / custodi delle veglie di un bambino: / io così poco ai giuramenti incline / pronto a giurare che non mi sarei / mai giaciuto con altre concubine.

31. Ivi, (Resta con me per sempre, Solitudine), p. 129.

32. Cfr. Gilles Deleuze, Le Pli – Leibniz et le Baroque, Paris, Editions de Minuit, 1988, a proposito dell’eterno ritorno in Nietzsche.

33. Siccome il significante “morte” adombra con costanza questi percorsi poetici, interessa piuttosto coglierne le declinazioni espressive, quasi mai spaventose: essa compare anche sorridente o in figura di fanciulla, ricordandomi – alla lontana – il Quartetto di Schubert Der Tod und das Mädchen [La morte e la fanciulla] dove la prima corteggia la seconda con queste parole: Ich bin nicht wild, sollst sanft in meinem Armen schlafen [Io non sono crudele, nelle mie braccia dormirai dolcemente]. Prendiamo come esempio Shadow, alla p. 80 di Corpo segreto: E passo dopo passo in questa lunga / via d’ombre e azzurri incerti proseguendo / in attesa che qualche indizio giunga / di un senso, di un prodigio alto e stupendo – qualcosa si fa sempre più evidente, / sempre più stranamente familiare – s’insinua in noi il sospetto evanescente / che la morte ci voglia innamorare. È sua l’ombra che ad ogni angolo ci sfiora, / anche se non si è presentata ancora.

34. Rispettivamente in Tutti i racconti, Milano, Adelphi, 19791 – 2003, vol. II, p. 441, e in Diario, Milano, Dall’oglio, 1963, p. 34.

35. S. Raffo, (schopenhaueriana?) in Corpo segreto, cit., p. 87.

36. Alcuni notazioni avverse alle norme della natura, in Corpo segreto, rispettivamente a p. 57 e 122, li abbiamo in Dittico sugli human beings: I Devono collocarsi in un contesto, / adeguarsi alle norme di natura, / ad uno schema che li rassicura. / E riprodursi (Il peggio, forse, è questo) // II Sono fantocci, maschere di cera. / Solo il fanciullo è veramente vivo, / di sesso e maschere ugualmente privo. / Ma dura un soffio quella primavera. In Il respiro superno, abbiamo: Non son mai stato incline / alla scelta binaria, / sentendo in me più affine / la rotta solitaria. (Qui si tratta del fanciullo in versione poetica, lontano da ogni considerazione metapsicologica). In Résumé, ibid., p. 64, L’eccentrico eremita / ha le sorti dell’empio, ma in Imperitus, ibid., p. 114: è l’alfiere di un sovrano ignoto, / vittima del suo sogno, astro remoto.

37. S. Raffo, in Il canto silenzioso, cit., p. 208.

38. Raffo fu predestinato, ottenne, cioè, la grazia – sia pure non completa per il permanente dissidio fra bonheur e malheur – di scrivere senza sforzo alcuno dei meravigliosi versi.

39. ID. (Ma soeur la solitude) in Il canto silenzioso, cit., p. 203.

40. ID. Atactos anemos, in Al fantastico abisso, cit., p. 22.

41. ID. in Corpo segreto, cit., p. 53. Da notare il contrasto di “diamante” e “piante”. “Scalfisce” – quasi rimalmezzo – offre, con l’uso della fricativa, continuità armoniosa ai tre versi.

42. Ivi, (tò mè paròn), p. 19

43. S. Raffo, L’attore, in Il canto silenzioso, cit., p. 49.

44. Ivi. L’alieno, p. 100. La notazione dei luoghi, nelle poesie di Raffo, è ampia (molte città italiane, inglesi, francesi e statunitensi come New York) ma la presenza delle persone è ridotta e porta rare caratterizzazioni, tranne che nelle due poesie dedicate alla visita di Recanati e alla casa di Giovanni Pascoli.

45. Rilke, durante questa passeggiata, si doleva che i bei fiori dovessero perire, come testimonia il saggio di Freud Vergänglichkeit, [Caducità] in Opere, Vol. 8, Op. cit. Torino, Boringhieri, 1976.

46. S. Raffo, Confidenze, in Il canto silenzioso, cit. p.117.

47. Ivi, Come in un romanzo (Autobiografia di un alieno), 164.

48. Ivi, (Riflusso) e (Riflesso), p. 200.

49. S. Raffo, in Corpo segreto, cit., p. 90. L’uliginosa atmosfera di Feuilles mortes (cui credo siano sensibili le anime delicate, favorisce una maggior vicinanza a noi stessi, permettendo quell’ascolto da cui ci allontanano dagli stimoli estivi e spesso brutali della folla. Al primo verso convenzionale seguono gli altri, dove Raffo muove gli accenti secondari: nel secondo con 1a, 4a e 7a, nel terzo con 1a, 3a, e via così, variando la dizione: basta pensare alla bellezza giocata sulle “e” “i” in “arabeschi gentili” dove la voce posa su “gentili”.

50. ID. L’angelo eremita, in Il canto Silenzioso, cit., p. 66.

51. ID. Symbiotic, in Corpo segreto, cit. p. 75.

52. ID. (Brimborion), in Il canto silenzioso, cit., p. 213.

53. Come accade alle posizioni libidiche. Rimando la questione ai testi di Freud.

54. Cfr. Katherine Mansfield, Lettere, “Quaderni della Medusa”, Milano, Mondadori, 1941, e il capolavoro rappresentato dal suo Diario, Milano, Dall’oglio, 1963.

55. S. Raffo, Che cos’è la paura, in Al fantastico abisso, cit., p. 72.

56. ID. La vecchiaia, in Corpo segreto, cit., p. 47.

57. Ivi, Sweet calvary, ibid., p. 43.

58. Ivi, p. 29.

59. Ivi, p. 36.

60. S. Raffo, La sfida, in Al fantastico abisso, cit., p. 34.

61. ID. Long, long nights, in Corpo segreto, cit., p. 54. Con dolore che impietra è, infatti, impossibile gustare l’estetico tormento dell’amara coppa.

62. Ivi, Espediente, p. 56. Occorre misura: dolce amarezza, non la sostanza caustica.

63. Ivi, Il pallido cinedo, p. 14.

64. S. Raffo, dalla serie Un giorno antico, in Il canto silenzioso, cit., p. 15.

65.

Ivi, Luna Park, ibid., p. 16.

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