top of page

Il dialogo in poesia - tra filosofia della parola e tecnica retorica di Sergio Daniele Donati (secondo intervento)

  • almanacco
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min
ree

Parte Prima - Conclusioni e spunti per i prossimi articoli



Il dialogo, concludendo e tracciando qui brevi spunti per successivi articoli sul tema, in poesia diviene struttura originaria ed originale: dalla tragedia greca, a Platone, al Midrash e ai Salmi, dalla lirica amorosa alla poesia contemporanea.

La filosofia della parola mostra che il dialogo è condizione epistemica: la verità non è posseduta, ma cercata attraverso l’apertura all’Altro.

Nei testi sacri ebraici, ad esempio, il dialogo con Dio e con la Torah crea una realtà altra, trascendente. La poesia contemporanea conferma questa dinamica: il dialogo non è solo forma, ma metodo di conoscenza.

Il dialogo poetico tra poeti mostra che la parola non è mai isolata: quando due autori si confrontano, la poesia crea uno spazio comune, un testo che non appartiene più a uno solo di loro ma alla relazione e allo “altro da loro” destinato a leggerli.

Il dialogo è tuttavia, anche tecnica retorica: apostrofe, interrogatio, prosopopea, drammatizzazione.

In ogni caso, il dia-logos poetico crea realtà: non la descrive soltanto, ma convoca un mondo a testimonianza di sé stesso.

Interessante poi il raffronto tra i Dialoghi Platonici e la Struttura del Midrash.

Per brevi cenni – se ne parlerà meglio in seguito - i dialoghi di Platone sono costruiti come scene drammatiche: personaggi reali o mitici che discutono, Socrate interroga, confuta, guida. La forma è elenctica (di confutazione, argomentativa): si parte da una definizione, la si mette alla prova, la si smonta, e si cerca una nuova formulazione. Spesso il dialogo si chiude in aporia (impasse), senza soluzione definitiva, per stimolare ulteriore ricerca. La verità non è mai posseduta, ma cercata attraverso il confronto. La scrittura è letteraria, con ritmo teatrale, ma la funzione è filosofica: mostrare che la filosofia è pratica viva, non dottrina.

Il Midrash è da considerare un commento dialogico alla Scrittura, con piena funzione ermeneutica ed interpretativa.

Non è un trattato sistematico, ma una raccolta di voci che interrogano il testo biblico. Rabbini di epoche diverse discutono un versetto, lo interpretano, lo contraddicono, lo ampliano. La forma è polifonica: più voci convivono sulla pagina, senza che una annulli l’altra. La verità non è mai chiusa, ma continuamente riaperta. Il Midrash è quindi pratica comunitaria: la Scrittura vive perché è interrogata, e ogni generazione aggiunge la propria voce. Oggi potremmo parlare di evidente distopia e discronia nella struttura del Midrash, atteso che il dialogo attraversa secoli di elaborazione tra menti diverse tra loro.


Se volessimo elencare in forma succinta le somiglianze tra dialoghi platonici e Midrash potremmo parlare di:

- Forma dialogica: Platone e il Midrash condividono la convinzione che la verità nasca dal confronto, non dal monologo.

- Aporia e apertura: entrambi lasciano spesso la questione aperta. Platone con l’aporia, il Midrash con la molteplicità di interpretazioni.

- Funzione educativa: il dialogo platonico educa alla filosofia, il Midrash educa alla Torah. In entrambi i casi, la parola è pratica formativa.

- Letterarietà: sia Platone sia il Midrash usano forme narrative e drammatiche, con personaggi, scene, voci.


E per le differenze:

- Finalità: Platone cerca la verità filosofica, universale; il Midrash cerca il senso e il Vero della Scrittura, in funzione anche comunitaria e condivisa (tradotto: non è sempre lo stesso che vince!).

- Autorevolezza: nei dialoghi platonici Socrate è guida, anche se non impone conclusioni; nel Midrash non c’è un’unica voce autorevole, ma una pluralità di maestri.

- Sincronia e Diacornia: i dialoghi platonici sono sempre sincronici e ogni personaggio vive la contemporaneità. Nel  Midrash, e nell’ermenutica ebraica in genere, si tessono spesso discussioni tra maestri distanti secoli tra loro, sulla base dei loro detti.

- Struttura: Platone costruisce dialoghi unitari, con un filo narrativo; il Midrash è frammentario, raccolta di commenti e glosse.

- Destinatario: Platone scrive per il lettore filosofico; il Midrash è destinato alla comunità interpretante, che vive la Scrittura come legge e rivelazione.

- Rapporto con il testo: Platone inventa situazioni dialogiche per cercare la verità; il Midrash parte da un testo canonico e lo interroga senza fine.


Il dialogo platonico e il Midrash condividono la convinzione che la verità sia evento dialogico, non possesso monologico.

Entrambi mostrano che la parola vive solo se è interrogata. Ma divergono nella finalità: Platone cerca la verità filosofica attraverso la dialettica, il Midrash cerca il senso della Scrittura attraverso la polifonia interpretativa. Platone costruisce un dramma unitario, il Midrash una costellazione di voci. In entrambi i casi, il dialogo crea una realtà altra: nel primo caso la filosofia, nel secondo la comunità interpretante.

Il dialogo ha poi una funzione predominante nei Salmi (tehillim) (una della più antiche espressioni poetiche).

Il termine ebraico Tehillim significa “lodi” e deriva dalla radice halal, “lodare”. Questo già indica che il libro non è un insieme di discorsi chiusi, ma un corpus di voci che si rivolgono a Dio. I Salmi sono preghiere, canti, suppliche, ringraziamenti: ogni testo è un atto di parola che interpella un interlocutore divino.

Allo stesso tempo sono forme poetiche in origine musicate per essere accompagnate dagli strumenti antichi durante le recitazioni nelle assemblee.


Nei Tehillim emerge poi con chiarezza:

- il Dialogo verticale: l’orante si rivolge a Dio con domande, invocazioni, proteste. Innumerevoli Salmi mostrano la dimensione dialogica della fede: la parola non è certezza, ma domanda aperta.

- il Dialogo comunitario: molti Salmi sono scritti per la liturgia del Tempio, come il Salmo 150, e diventano voce corale. La comunità si fa interlocutore collettivo, trasformando la preghiera individuale in dialogo condiviso.

- il Dialogo interiore: alcuni Salmi mettono in scena un confronto dell’orante con sé stesso, come nel Salmo 42 («Perché ti abbatti, anima mia?»). Qui il dialogo è riflessivo, ma sempre orientato a Dio come destinatario ultimo.


Il dialogo dei Salmi si avvicina alla struttura dei dialoghi platonici e del Midrash.

Come nei dialoghi di Platone, i Salmi non offrono sempre risposte definitive, ma lasciano spazio all’aporia: la domanda resta aperta, la verità è cercata. E, come nel Midrash, i Salmi sono polifonici; voci diverse (di Davide, di altri autori, della comunità) si intrecciano, e ogni generazione li interpreta di nuovo.

Nei Salmi, allo stesso tempo il dialogo si realizza anche come tecnica retorica:

- Apostrofe: rivolgersi direttamente a Dio («Signore, ascolta la mia voce»).

- Interrogatio: porre domande retoriche («Fino a quando, Signore, mi dimenticherai?»).

- Prosopopea: dare voce alla creazione, come nel Salmo 19 («I cieli narrano la gloria di Dio»).

Queste figure rendono la preghiera viva, drammatica, coinvolgente: il lettore non assiste a un monologo, ma entra in un dialogo che lo interpella.

In ogni caso il dialogo è evento di verità: non possesso, ma relazione. Allo stesso tempo è struttura interna della parola, specie se poetica.

I Tehillim mostrano che la preghiera biblica è dialogo continuo: tra uomo e Dio, tra individuo e comunità, tra voce e silenzio. Come nei dialoghi platonici e nel Midrash, la verità non è mai chiusa, ma si apre nella relazione. La poesia dei Salmi è quindi modello di dialogo: parola che non si esaurisce, ma convoca un mondo di senso condiviso.


I punti appena accennati e sfiorati in queste scarne conclusioni verranno sviluppati in successivi articoli.

 


Commenti


Post in evidenza

Post recenti

Seguici

  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page