Rinaldo Caddeo su Una madre di Vera Politkovskaja
Vera Politkovskaja, Una madre, Rizzoli ed., Milano 2023
È la storia di una madre raccontata da una figlia, a sua volta madre. Un libro di memoria e di denuncia, storia della propria madre famosa ma anche storia di sé come madre.
Come un cerchio che si chiude, il libro comincia e termina con un delitto (l’assassinio della madre, Anna Politkovskaja) ma anche con un messaggio di speranza: quale?
Fin dalla prima pagina queste due caratteristiche, la memoria e la denuncia, si presentano alleate al tema della morte e della maternità: «Nei suoi articoli mia madre parlava raramente di cose piacevoli e quasi sempre era messaggera di cattive notizie. Scriveva la verità, nuda e cruda, su soldati, banditi e gente comune finiti nel tritacarne della guerra. Parlava di dolore, sangue, morte, corpi smembrati e destini infranti.
Il 7 ottobre 2006, il giorno in cui è stata uccisa, avevo ventisei anni e mi stavo preparando a diventare madre. Fino ad allora avevo voluto credere che la sua popolarità in Occidente avrebbe potuto in qualche modo salvarla da possibili rischi o da una morte violenta. Mi sbagliavo.» (Vera Politkovskaja, Ibidem, p.9).
Nel 2014, come viene spiegato nel penultimo capitolo L’ultima inchiesta, per questo delitto vengono condannati cinque uomini, quattro dei quali ceceni, ma non vengono nemmeno sfiorati i mandanti.
Anna Politkovskaja ha parlato molto, nei suoi saggi e nei suoi articoli di giornale, della guerra in Cecenia, in particolare della seconda guerra cecena, tra il 1999 e il 2009, quella combattuta da Putin come «lotta al terrorismo» e come tale accettata anche dall’opinione pubblica occidentale. Anna Politkovskaja ha denunciato, con uno stile aderente ai fatti e alle testimonianze, la ferocia con cui l’esercito russo, senza risparmiare le vittime civili, ha combattuto questa guerra.
Il libro della figlia, però, ci parla soprattutto di un’altra guerra, quella della Russia contro l’Ukraina, che ha costretto Vera a fuggire con sua figlia.
Questo libro ci spiega aspetti che in Europa non conosciamo o conosciamo male e poco, riguardanti gli effetti di questa guerra sulla società russa, rispondendo a domande che di solito non trovano una risposta. Perché il popolo russo, ad esempio, sembra accettare supinamente o addirittura condividere l’aggressione russa a un paese sovrano? Perché non c’è stata una rivolta popolare contro il dominio di Putin?
«Nella sconfinata periferia russa l’unica fonte di informazione è la televisione di Stato, e se lì si dice che la guerra non c’è, allora non c’è.
Ogni sera gli anchorman del Cremlino tengono inchiodato il pubblico davanti a lunghe discussioni riguardanti la disinformazione occidentale e le bugie ucraine. I programmi rilanciano le immagini del “buon soldato russo” che presta soccorso ai cittadini oppressi dal regime di Kyiv. Non ci son stupri, non ci sono torture, non ci sono civili morti, non ci sono saccheggi. I fatti di Bucha – la città ucraina dove, dopo l’occupazione dei russi, sono stati trovati cadaveri abbandonati lungo le strade e centinaia di morti nelle fosse comuni – sono inventati dalla propaganda nemica e la ragazza di nome Marianna, scampata miracolosamente alla morte nel reparto maternità dell’ospedale di Mariupol’, è stata tacciata di essere un’attrice ben pagata, che non sarebbe neanche incinta.» (Ibidem, p.52).
Nei centri urbani maggiori, nonostante in Russia nessuno abbia il diritto di manifestare contro la guerra, non sono mancate le proteste di piazza: «Secondo la ong russa per i diritti umani OVD-Info, tra il 24 febbraio e il 27 novembre 2022, quasi ventimila russi sono stati fermati per aver manifestato pacificamente. E la cifra è senz’altro salita nei mesi successivi, e salirà ancora finché durerà il conflitto.» (Ibidem, pp.52-53). Protestare in Russia, però, è diventato un rischio enorme. «Se in Europa, al termine di una “protesta” pacifica, ciascuno può rientrare tranquillo a casa propria, in Russia la maggioranza dei manifestanti finisce in una stazione di polizia. E non è scontato che se la cavi con una “semplice” (comunque alta) sanzione amministrativa, anziché con quindici giorni di cella. Anzi, spesso rischia un processo penale.» (Ibidem, p.53). Nelle pagine successive c’è un elenco dettagliato, con nomi e cognomi, di casi concreti: multe salate, interrogatori interminabili, arresti.
Un intero capitolo, La guerra dei poveri, è dedicato ai sistemi di reclutamento, sempre più coercitivi, dell’esercito russo: «in Ucraina sono stati mandati soprattutto ragazzi provenienti dall’immensa periferia del Paese, quasi mai dalle grandi città. Sono giovanissimi, sbattuti in prima linea con un addestramento minimo. In pratica carne da macello.» (Ibidem, p.61). Ma dopo i primi mesi, anche questi soldati provenienti dalla Buriazia o dalla Siberia non sono bastati, data l’alta mortalità e il crescente impegno bellico. Adesso vengono richiamati ragazzi anche di San Pietroburgo e Mosca. Una serie di mobilitazioni sempre più estese si sono succedute, accompagnate da una legislazione straordinaria che punisce sempre più severamente la diserzione e la mancata comparizione alla leva.
Il capitolo successivo, La fuga, spiega come Vera, a sua volta madre di un’adolescente che porta il nome eclatante della nonna, sia stata costretta, pochi mesi dopo l’inizio della guerra, ad allontanarsi con la figlia dalla Russia, per salvare se stessa e la figlia, oggetto di bullismo a scuola, di atti impuniti di violenza e di ripetute minacce, anche di morte.
Il libro non è solo un pamphlet di denuncia morale e politica. È un libro di memorie che offre il ritratto di una persona speciale. Questo carattere è evidenziato e scandito dalla presenza di toccanti foto di famiglia, in bianco e nero, distribuite in diversi capitoli.
Oltre al ritratto di una giornalista di grande coraggio e incisività, missionaria della verità, emerge la figura di una madre attenta alla cura e alla formazione dei suoi due figli. Non è un’immagine edulcorata o celebrativa. Viene evidenziata anche la durezza di una donna che richiede per i propri figli e dai propri figli un impegno educativo rigoroso e inflessibile, a volte estenuante: «Mamma, nel rispettare gli impegni presi, chiedeva a noi figli lo stesso rigore che pretendeva da se stessa nel lavoro.
La questione riguardava tutti gli aspetti della nostra vita e a volte si giungeva a sfiorare il ridicolo. Da bambina, però, non lo trovavo affatto divertente. Per esempio, durante le vacanze estive, quando – o almeno così credevo – si poteva concedere ai bambini una pausa dagli studi, lei continuava con costanza a occuparsi della nostra istruzione.
La tipica giornata di vacanza non prevedeva ozio e vagabondaggi o passeggiate per i boschi, ma si svolgeva secondo un programma chiaro e preciso.
Per cominciare, io e mio fratello dovevamo esercitarci due ore con il violino, poi dovevamo imparare a memoria un componimento scelto tra i classici della cosiddetta “epoca d’argento” della poesia russa, quindi si passava ai compiti. Oltre a questo, mamma ci dava alcuni libri per bambini, che dovevamo leggere e sottolineare: su alcune pagine, per esempio, tutte le lettere O, o tutte le lettere A. In questo modo, diceva, avremmo sviluppato le nostre capacità di attenzione, lettura e scrittura.» (Ibidem, p.113). Insomma… una madre tanto amorosa quanto esigente.
Pamphlet, denuncia, testimonianza, dramma al femminile, dove latitano figure maschili di riferimento, Una madre è un libro scritto in un linguaggio diretto, limpido, graffiante, che riesce a essere persino ironico, nonostante la tragedia, sorvegliatissimo, senza sbavature, nonostante la colloquialità, grazie anche alla collaborazione, come riporta la copertina, di Sara Giudice.
C’è un messaggio latente, un nocciolo indistruttibile di speranza che attraversa tutto il libro e lo congeda. L’ultimo capitolo riferisce l’incendio appiccato alla dacia di famiglia, quando la madre è morta e Vera è in esilio: «Dopo qualche mese, i vicini mi hanno richiamata. Io avevo dato per scontato che l’incendio avesse distrutto l’intera proprietà, anche il giardino. Invece in estate sono rifioriti gli iris e le peonie di mia madre. E un enorme salice, che aveva piantato lei, si era ricoperto di foglie: ricordo che all’inizio era piccolissimo, poi in pochi anni era diventato alto quanto lei. Il prato, mi hanno raccontato, era di nuovo un manto verde e l’edera che circondava la recinzione lungo l’intero perimetro del giardino cresceva rigogliosa, nascondendo l’interno da occhi indiscreti.
Proprio quello che avrebbe voluto mia madre.» (Ibidem, pp.192-193).
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