Antonio Tricomi, Corpuscoli in aria (inedito)
Corpuscoli in aria
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Umberto Saba, Ritratto della mia bambina
Assomiglia, mia figlia,
a un chicco di luce
che germoglia tepore,
mentre al petto mi cuce
pelle a pelle la guancia,
cuore a cuore l’odore.
E dorme in niente difforme
dall’ombra ch’avanza dai legni,
l’asma l’accheta e il borbottio,
l’impronta d’agosto sui vetri:
a sera del mare il rollio
frulla d’ogni spasmo le orme.
Il tempo un’ipotesi appena
che possa durare o passare,
se sveglia fa già tonda la bocca,
poi l’allarga in sorriso di cera:
pieno pieno, fidente ricorda
l’ottuso dei giorni albeggiare.
Quando protende aperte le dita
e getta all’indietro le righe dei palmi
a rilievo, inarcando la schiena,
il pianto che grida senza placarsi
è giusto rimbrotto per la materia
che inerme l’ha data alla vita.
Non atterrisce infatti tuo padre,
tua madre neppure mette in ambasce
il diritto nessuno a distrarsi
in un tempo ch’è solo accudirti.
Semmai li sgomenta che possa darsi
un potere su te troppo da dirsi.
Ché, se sapessi offrirti rimedi
agli imbrogli degli anni crudeli,
farti sentire ancora più vivi
i piaceri degli anni gentili
nel crescere donna passo per passo,
forse mi vorrei non qui di passaggio.
Ma io non so per cosa si esiste.
Com’è che c’è il mondo, non il nulla.
Perché la gioia con noi si trastulla,
il dolore invece infierisce.
Se ora t’accendi come mi muovo,
a breve mi dirai un poveruomo.
Convinto che il riflesso di Moro
cui un rumore, un gesto t’induce
improvvisi, un percorso di luce –
come volersi saldare a qualcosa
nello sgomento, l’angoscia che affoga –
segni la forma del vivere intero:
un salto costante nello spavento
d’essere soli, non essere in grado
al senso di fissare un ormeggio
per non annaspare muti nel vago
di sentimenti, deliberazioni,
offrire conforto alle emozioni.
Se come maestri avrai avuto
non guide, ma più compagni nel dubbio –
io mai lo sarò? questo il mio cruccio –,
padrona di te, però senz’abuso,
saprai tuttavia cos’è verità:
che non è un gene la libertà.
Si costruisce. Appesi al coraggio
delle spalle, schiacciate a ritroso
dalla spinta accogliente del vuoto
in un precipizio senza miraggio,
ma che d’un tratto si danno l’abbrivio
per reggere il corpo in equilibrio.
E schiavo non è chi lotta con sé
per ogni calco di legge che è:
paterna, morale o da coniare.
Di tutte volersi inghippo ineguale,
ma con altri, alla fabbricazione
di solitudini, urti, rancore.
Oh quale spavento! Ma nessun’ansia,
dopo la prima letizia al risveglio,
quel lacrimare che no, non è fame.
Solo sguardo nella notte catrame:
pur nel caldo, al suo corpo par meglio
avere col mio maggior vicinanza.
Si placa. Resta qualche singulto,
mentre la cullo, già nella nanna.
E tutto il pensare, qui ora,
al bene ed al male svapora.
Saprà lei non bruciarlo d’affanno
il passato, piegarlo al futuro.
Dolce ch’è miele alla bocca,
ghiotta di capricci, feroce
nell’imporsi sui miei rimorsi
di savio padre, come fossi
marcio d’amore mi estorce
il presente, e lì mi blocca.
Se somiglia, mia figlia,
all’istante che frange
progetto e memoria:
i corpuscoli in aria
s’intrecciano in danze
cui non mettere briglia.
(13 agosto 2022 – 10 aprile 2023)
Antonio Tricomi insegna Discipline letterarie negli Istituti di istruzione secondaria di II grado. Tra i suoi libri: La Repubblica delle Lettere. Generazioni, scrittori, società nell’Italia contemporanea (Quodlibet, Macerata 2010); Fotogrammi dal moderno. Glosse sul cinema e la letteratura (Rosenberg & Sellier, Torino 2015); Cronache letterarie (Galaad, Giulianova 2017); Pasolini (Salerno, Roma 2020); Epidemic. Retroversioni dal nostro medioevo (Jaca-Book, Milano 2021); Macerie borghesi. Genealogie letterarie del presente (Rogas, Roma 2023).

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