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Viviane Ciampi, Su Il rumore della nebbia di Mauro Macario

Mauro Macario, Il rumore della nebbia, puntoacapo Editrice 2023, Prefazione di Marco Ercolani, pp. 72, € 12,00 ISBN 978-88-6679-399-1


Ora ne sono certa: l’aria di Rimini fa bene a Mauro Macario che ha da pochi mesi traslocato dalla sua Liguria nativa per stabilirsi definitivamente nella Romagna di Fellini, di Elio Pagliarani e di Tonino Guerra.

Bel privilegio quello di leggere il suo “ultimo” (parole del poeta) libro di poesie procedendo piano, per ordine, a partire dalla toccante composizione “Crociera forza sette” in cui si trovano i versi: "Le conchiglie frantumate sulla battigia / hanno lasciato le voci sul fondo / a calpestarle / scrocchiano come ossa rotte / la memoria fragile dei vecchi / si china ogni inverno / su spiagge gelate / a incollare sussulti / al silenzio dell'età". Queste parole lasciano una profonda impronta e spingono chi vi si avvicina a riflettere sulla natura effimera della vita e della memoria. Ma l’interezza delle composizioni rivela l’insospettabile portata della vulnerabilità umana, gioie e paturnie dell’amore cantato e decantato, le illusioni e delusioni che ci accompagnano e la capacità ‒ o no ‒ di affrontare il passare del tempo con grazia e rassegnazione.

Nella poesia eponima "Il rumore della nebbia", si assistite alla cattura, in modo strettamente fotografico di un’immagine: quella del "rumore biancastro", un rumore che "scivola a fecondare / rinascite impossibili" riuscendo a farci percepire la nebbia non solo come fenomeno meteorologico, ma come una casa malferma nel tempo, come una forza poetica potentissima, dimodoché si possano creare nuove opportunità e suggestioni, e il senso del mistero come quello della trasformazione.

In ciascuna delle pagine, il poeta rimane fedele alla sua linea poetica, ma allo stesso tempo introduce novità intriganti che aggiungono complessità e mettono in evidenza la sua capacità di esplorare altre prospettive.

I versi "un fiato di tanti fiati / vuole portarti via / staccarti dal suolo" rappresentano una sorta di richiamo alla fuga dalla realtà, un'esperienza di commiato e liberazione. Macario riesce a toccare le corde dell'immaginario e spinge il lettore a soffermarsi su concetti come il tempo e la connessione con il passato. Aggiungo che Il rumore della nebbia è il libro di chi si è guadagnato il lusso di poter esprimere il proprio disappunto. Lo ha sempre fatto, certo. I suoi lettori lo sanno bene. Ma qui non ha bisogno di gridarlo: Lui afferma e conferma.

Ogni pagina esamina le impalcature provvisorie sulle quali siamo abituati a vivere. La fervida nostalgia fa capolino, come sempre, ma si sorride, anche. Allora la nebbia si dissolve come in “racconto di periferia”: “Ci andavo con l’amico del cuore / che amava la più grande / e talvolta la madre / di nascosto alle figlie”.

Notevole La poesia finale: "A questo punto / la storia finisce qui," dove Mauro annunzia con serenità la fine del racconto, suggerendo che la sua vita, come tutte le storie, i destini, ha una conclusione inevitabile, ma senza ansia eccessiva, senza scomodare la parola gioia ma con un’accettazione pacifica della fine.

La menzione della "capacità di creare / tramite seduta spiritica / mi manca lo confesso" è un riferimento all'idea di comunicare con i morti attraverso medium o sedute spiritiche, suggerendo un desiderio di lasciare un'impronta anche dopo la morte, ma ammettendo la sua incapacità di farlo. E qui scatta di nuovo l’ironia che lo contraddistingue ‒ ironia della disperazione, s’intende ‒ quando allude al desiderio di essere ricordato con una "bella copertina," una "foto in gioventù" (vezzo di un dandy?) e la "prefazione / di tutti quelli che ho amato," a sottolineare l'importanza del ricordo e dell'amore indispensabili alle nostre vite.

Le pagine sfumano con uno sberleffo al “nemico”. Il poeta preferisce “un insulto postumo" a un tardivo sentimento, perché, fedele a sé stesso ‒ come già ebbi a dire ‒ egli preferisce la sincerità e la verità, pur se espresse in forma negativa.

In questo suo libro-testamento egli pare dirci: Ciò che vi era da sapere l’ho saputo, ciò che vi era da imparare l’ho imparato digerito o gettato in mare. Ora lasciatemi andare sulla soglia di un’altra conoscenza! Chi ama le tanto gentili poesie consolatorie rimarrà deluso. Ma questa è la realtà del poeta. E non sa tacerla pure al costo di rimetterci l’anima. Leggiamolo con gioia, dunque, con complicità, con un sorriso “di sguincio” e viviamo felici in attesa dell’ultimo respiro!


Viviane Ciampi


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