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Rinaldo Caddeo, Sul fare letteratura oggi. Una nota.

Non so se esiste una società letteraria o una gerarchia letteraria, come tu scrivi nel tuo stimolante intervento. Non ne ho idea, lascio ad altri, più addentro alle segrete cose, l’ardua sentenza. Mi sento e mi sono sempre sentito un profano: uno fuori dal tempio. Qualche volta ci sono passato davanti, ho ammirato il colonnato, i fregi del timpano e delle metope, ma non mi azzardo a entrarci. So che le mani robuste di più di un guardiano, (al cui confronto quello che si trova davanti il contadino di Kafka in Davanti alla Legge fa ridere) mi caccerebbero. Ho sentito dire, però, che nella stanza più interna, nella cella sacra, non c’è niente: è vuota.

Mi sembra che le grandi case editrici facciano da tempo sempre più fatica ad attuare una gerarchia del valore letterario ed essere un filtro di esso. Mi sembra che questo compito, insostituibile, sia disperso nel multiforme mondo del web e che poche, piccole case editrici coraggiose, come la vostra, abbiano raccolto lo scettro o la bacchetta magica per illuminare le oscure vastità. Questo per quanto riguarda la produzione cioè la scelta e la pubblicazione dei testi.

Per quanto concerne la fruizione, (l’ascolto, la lettura, l’attenzione, il pubblico, ecc.), non c’è dubbio, in questi ultimi due anni abbiamo assistito a un’accelerazione formidabile di processi già in atto, forse a una sorta di rivoluzione copernicana, in particolare per quanto concerne “il meccanismo di pubblicizzazione e promozione”, come tu scrivi.

Il covid ha occluso, in differente misura, canali di comunicazione della diffusione e della pubblicizzazione: librerie, biblioteche, associazioni culturali, gruppi di lettura, salotti. Piccoli e grandi.

C’è un neologismo, molto concreto, per niente arbitrario o superfluo: in presenza. Neologismo che prima non esisteva o quasi. Tre o quattro anni fa, dire: faccio una presentazione del mio libro in presenza o chiedere a un amico: vuoi venire alla presentazione in presenza del mio libro o del libro del Tal dei Tale, forse sarebbe risultato ridicolo o incomprensibile.

La presenza prima era la norma, la forma, l’unica possibile. Non c’era bisogno di precisare: ci vediamo in presenza, ci sentiamo in presenza. (Come se ci fosse un’assenza che presenta di più e meglio).

Adesso, la presenza, è diventata, quasi, un’anomalia, una stravaganza o, per lo meno, una modalità particolare, a se stante.

Siti internet, blog, social, ci sono da anni e sono indispensabili per ogni tipo di comunicazione e attività.

La rivoluzione copernicana innescata dal covid, però, insieme ad altri cambiamenti (la distribuzione, ad esempio, sia del pane sia del pan degli angeli, sia dei libri sia del pranzo, oltre che di molte altre cose), ha modificato i meccanismi della pubblicizzazione. Le presentazioni online, passata la fase emergenziale del lock-down in cui erano l’unica forma possibile, si sono rivelate una modalità di pubblicizzazione potente, rapida e comoda, in grado di rivolgersi a tout le monde simultaneamente e potenzialmente collegare Milano, Roma, Pasturana, Trapani e New York. Questo è successo ovunque, in tutte le forme di comunicazione. Comunicazione di cose belle e brutte. Mai abbiamo potuto, per esempio, assistere in diretta (o quasi) a una guerra, come a quella attuale e non c’è bisogno di spiegare quale sia.

È inevitabile, tornando ai libri, l’effetto collaterale, il contraccolpo immediato, di questo successo: l’insuccesso parziale o totale della presenza.

Mi chiedo e chiedo a te e a tutti: sarà sempre così, e dovrà essere, così, d’ora in avanti?

Con certezza non lo so, ma non lo credo. Credo che non si tornerà indietro al mondo di prima, dato che c’è stato un cambiamento storico. Però non credo che la presenza sia destinata, necessariamente, a scomparire.

Se guardiamo altrove, ma non troppo lontano, possiamo notare che i libri on-line non hanno sostituito il libro cartaceo, il cinema e poi la televisione e internet non hanno annientato il teatro, come sembrava stesse per accadere, piuttosto l’hanno cambiato, a volte, l’hanno addirittura migliorato.

È evidente che le forme antiche hanno radici profonde nella psiche, nella lingua, nella cultura. I teatri, anche dopo il covid, sono sopravvissuti. Il teatro lo possiamo vedere in televisione e a teatro. Per esempio la sera inaugurale della Scala di Milano, come diversi giornalisti e osservatori hanno notato, ha fornito due versioni del Macbeth di Verdi: parimenti valide, parimenti interessanti e il pubblico non è mancato né al teatro né alla televisione. Il Teatro della Scala era pieno, l’indice di ascolto della televisione era alto.

Si parva licet, lo stesso potrebbe, dovrebbe accadere con la presentazione dei libri: un canale dovrebbe e potrebbe affiancarsi all’altro e integrarlo. E l’uno potrebbe e dovrebbe salvare l’altro, immaginando una tipologia mista nuova, esclusiva/inclusiva, correlata e simultanea, dell’uno con l’altro. Se il canale online funziona, anche per le piccole case editrici, anche per la nicchia, (quando è di qualità), non vedo perché non dovrebbe tornare a rimettere in funzione anche l’altro che, per altro, aveva già prima qualche problema e che dunque potrebbe, forse, trarre dei vantaggi da un cambiamento.




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