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#pietredifiume - ottobre 2024

IL CORPO POETICO DELLE DONNE

 

Storia di una scoperta e di una riappropriazione, linguistica e politica, del corpo delle donne: attraverso la riscrittura poetica femminile.

 

(di Daniela Stasi, una collazione di testi, spunti, versi...)

 


frame da "Viaggio a Tokyo" di Yasujiro Ozu



A lungo inibita, se non negata, dal canone poetico accademico: delle Antologie più accreditate dai grandi editori, è stata una intera eredità collettiva, quella delle donne Poete.

 

Quella relativa alla scrittura poetica femminile è stata a lungo sconosciuta, se non fosse stato per l’encomiabile sforzo di altre donne: che ne hanno sistematizzato la produzione poetica a partire dagli anni Settanta; gli anni d’oro della presa di consapevolezza femminista, portandola alla luce in diverse produzioni critico antologiche.

 

Non solo le muse ispiratrici, dunque, madonne e madri – involucri atti ad accogliere la parola Altra: con l’idea della femminilità affrontata come un percorso obbligato da parte dei poeti di genere maschile.

 

Per loro la donna era da amare e desiderare, ma non poteva desiderare a sua volta; perché il suo corpo era pensato solo in relazione al maschile.

La poesia scritta da alcune temerarie poete anche prima degli anni Settanta, ci restituisce l’immagine di una donna costretta a piegare la testa davanti ai valori imposti dalla società patriarcale del matrimonio riparatore; inchiodata da ruoli prestabiliti che, proprio in quegli anni, erano messi in discussione e oggetto di battaglie anche feroci e dolorose. Lotte che hanno visto le figlie ribellarsi soprattutto alle madri.

 

Lo specifico femminile, anche in Poesia, passa dal corpo delle donne: prima sottomesso e oggetto di appropriazione indebita - anche da parte della Parola scritta - alla possibilità di emanciparsi: per diventare vero e proprio soggetto politico.

 

CORPO DI CARNE DEL SOCIALE

 

Non è un caso che, in queste poesie, si intreccino le figure parentali, la maternità ribadita o rifiutata: negli anni in cui in Italia le femministe mettevano al centro la salute delle donne, i gruppi di aiuto, il principio di autodeterminazione, anche attraverso la Parola scritta.

In un dibattito dai toni accesi, mai terminato: sul rapporto tra sessualità, politica e potere e autorevolezza.

 

L'attenzione sulla produzione poetica edita a partire dagli anni Settanta, considera il decennio spesso considerato come un periodo di svolta in ambito letterario.

A metà degli anni Settanta è infatti ormai chiaro come si sia arrivati alla fine di un'epoca. la lingua poetica e la lingua comune si avvicinano pericolosamente, mentre lo statuto sociale del poeta è intaccato in modo irrimediabile.

L'esplorazione della scrittura poetica, che in questo decennio non esita a farsi talvolta violenta e disubbidiente, si fa sempre più lucida e consapevole.

 

 

 

 

ANTOLOGIE DI DONNE SCRITTE DA DONNE

 

Non è neppure un caso che le Antologie di donne più importanti in campo editoriale siano state pubblicato da case editrici minori come Savelli. A ciò si aggiunge la condizione, volontaria e ideologicamente motivata, di proporre un discorso antagonista, contro il potere dell’establishment culturale, dell’editoria ‘borghese’.

 

Tratterò alcune voci poetiche significative, nate a cavallo degli anni Trenta: 1930, anno di nascita di Amelia Rosselli che, per prima,  si è presentata alle poete come un solido punto di riferimento all'interno di una tradizione poetica sostanzialmente maschile.

 

Dopo Amelia Rosselli le donne hanno potuto scrivere versi in modo in parte più sicuro, anche in virtù della presenza del suo modello.

 

***

Come non prendere spunto da antologie come quella a cura Biancamaria Frabotta Donne in poesia, Savelli, Roma 1976.

 

Un’antologia dove sono raccolte liriche di autrici, alcune conosciutissime e altre un po’ meno. Un’antologia dove le donne raccontano in poesia la condizione femminile così intrisa di violenze, di vergogne, di tabù, di lotte per la valorizzazione e la conoscenza del proprio corpo, di rabbia e di volontà di contare come persone e non come nutrici e uteri da riempire.

 

Le femministe entrano in contatto con la creatività come riacquisizione del sé e come ribellione alle forme alienanti finora proposte. Fra i due poli, della creatività e della rivolta, l’antologia si muove, mostrando come la donna abbia ucciso un genere di poesia immobile e senza storia, dove la «poetessa» si identificava in una dimensione prettamente maschile, o nel femminile inautentico. La donna ormai rigetta se stessa come risultato di un’alterazione culturale; prende coscienza della tragedia dell’io sottratto, rifiuta la parola alienata e mistificante del Padre, e il rifugio del consueto, si riappropria del proprio corpo, soppresso in tempi arcaici per rigettare l’io femminile in toto, in un mondo dove esistevano solo figlie senza madri e madri senza figlie.

 

«E io sono uscita da una nuova placenta / la placenta storica / e ho cominciato a gridare / col rosso della mia rabbia».

 

Poesie di: Teresa Campi, Dania Lupi, Biancamaria Frabotta, Amelia Rosselli, Silvia Batisti, Marta Fabiani, Franca Rovi-gatti, Mariella Bettarini, Mara Alessi, Mariangela Giusti, Maria Grazia Ursini, Jolanda Insana, Beatrix Bracco, Rosa Maria Fusco, Sabina Morandi, Marzia Mealli, Gloria Guasti, Liana Catri, Caterina Casini, Giorgia Stecher, Gabriella Sica, Livia Candiani, Dacia Marami, Sandra Petrignani, Ippolita Avalli, Marianna Fiore, Maria Russo Rossi, Rita Marra, Luisa Vinci, Ivana Nigris, Rachele Millul.

 

 

Maria Pia Quintavalla (a cura di), Donne in poesia Campanotto, Pasian di Prato 1992.

Negli anni Ottanta per rendere conto dell'attività poetica femminile e darle maggiore visibilità, nasce la più importante rassegna: quella che la poetessa Maria Pia Quintavalla organizza per il Comune di Milano tra il 1985 e il 1989. Dalla manifestazione è nata un'omonima antologia Donne in poesia. Incontri con le poetesse italiane stampata nel 1988 e poi ripubblicata in edizione accresciuta nel 1992-96. Questa seconda edizione è quella che ha avuto maggior diffusione e comprende trentasette poetesse di diverse generazioni. Numerose sono le autrici nate negli anni Quaranta, ma vengono incluse anche alcune maestre degli anni Venti e Trenta come Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani e Amelia Rosselli. La più giovane poetessa, che peraltro chiude il volume è Marina Pizzi (1955).

 

 

Paola Mara De Maestri (a cura di), Donne in poesia Perrone, Roma 2007. Questo titolo è stato utilizzato anche da Maria Luisa Spaziani, per un suo libro dedicato ad alcune importanti poetesse italiane o straniere:

Maria Luisa Spaziani, Donne in poesia: interviste immaginarie, Marsilio, Venezia 1992.

 

Donne e poesia è il titolo di un'antologia che Mariella Bettarini ha pubblicato a puntate sulla rivista “Poesia” tra il luglio del 1998 e il maggio 2000.

 

Alina Rizzi (a cura di), Donne di parola, Traven books, Laives 2005.

 

Davide Rondoni (a cura di), Poeti con nomi di donna, BUR, Milano 2007. 

Si tratta di un'antologia con importanti poetesse italiane e straniere di tutti i tempi, da Saffo a Giovanna Sicari. Nella prefazione Davide Rondoni annuncia un volume interamente dedicato alle poetesse italiane contemporanee.

 

Lo sottolineano anche Cinzia Sartini Blum e Lara Trubowitz nell'introduzione alla loro antologia: The problem thus remained one of a subtle but crucial negotiation: how to describe women's poetic

 

Non una antologia femminile, quella che Isabella Leardini Costellazione Parallela, Poetesse italiane del Novecento ha pubblicato per Vallecchi, come lei stessa ha tenuto a specificare nel saggio introduttivo, ma un florilegio di testi abbandonati ai margini, volutamente epurati dalle principali antologie del Novecento, la maggior parte delle quali, non a caso, curate da uomini. Ma, come ci ha insegnato l’antropologo Gilles Clément, ciò che non è centrale può divenire terzo paesaggio, luogo di alto valore biologico e simbolico in cui prolifera la biodiversità.

È questa potenzialità che l’antologia di Leardini raccoglie, lasciando risplendere una Costellazione parallela che è stata sempre presente, ma a cui è mancato lo spazio, per riprendere una parola chiave del recente saggio di Daniela Brogi,

 

Lo spazio delle donne (Einaudi, 2022), La presente antologia, seppur distante dalle motivazioni e dal clima culturale in cui nacquero le prime antologie di poesia femminile negli anni ’70, presenta un corposo saggio introduttivo che scandaglia la situazione delle donne in poesia nel corso del Novecento e rende conto delle motivazioni insite nella selezione dei testi.

Questi ultimi sono accompagnati da una nota biografica e da un ritratto delle sedici poetesse antologizzate dalla curatrice, in ordine cronologico:

Ada Negri, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Lalla Romano, Antonia Pozzi, Daria Menicanti, Fernanda Romagnoli, Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani, Cristina Campo, Armanda Guiducci, Nella Nobili, Maria Gloria Sears, Giovanna Bemporad, Amelia Rosselli, Alda Merini. Voci diverse, indicare una contronarrazione, spesso liquidata dalla critica come intimistica, forse per nascondere la carica destabilizzante che i testi di queste donne sono in grado di veicolare.

 

E’ il caso della prima poetessa antologizzata,

 

Biancamaria Frabotta, classe 1947, impegnata poetessa, autrice di libri di poesie, saggi, molti dei quali proprio sulla condizione delle Donne, che ha insegnato Letteratura Italiana alla Sapienza.

 

Per Elide

Ammaina i crespi capelli che sbandieravi rettamente

quasi che la sconfitta fosse una vittoria

ansiosa di intimidire lo scirocco che dalle

bocche di Bonifacio veniva a dar senso al tuo passo.

Se pure eri zitella, zia delle tue altere masturbazioni

e di tue belle nipoti

ti maritasti infine nel tuffo che ti gonfiò le vesti

al selciato scrupoloso della strada.

Nelle chiese hanno pregato rituali di pioggia

ed ora piove un diluvio di gocciole

che ci invade senza traccia di santità.

 

DACIA MARAINI

Questa bellissima poesia di Dacia Maraini, classe 1936, traccia in maniera chiarissima quella che è stata la grande battaglia che dentro ogni casa le figlie hanno dovuto combattere con le loro madri, attaccate alla gogna della storia. Questa lirica, che risale agli anni Settanta,

 

Madre e figlia

 

Mi chiami madre cattiva,

ma sei una figlia violenta

e vuoi sedurmi

con tetra determinazione

vuoi mettermi il sale sulla coda

vuoi strapparmi ad una ad una le ciglia

vuoi inchiodarmi le dita al petto

vuoi tagliarmi la lingua

il tuo dito scava nel mio occhio

che non sa guardarti con amore

come tu vorresti

mi cacci un piede nel ventre

le tue unghie di lupo mi fanno a pezzi

per amore tu dici

per amore di una madre

che vuole essere figlia

io ho bisogno di tenerezza

tu hai bisogno di carezza sapienti e amorose

io ho bisogno di amicizia

tu hai bisogno di afferrarmi alla gola

e stringermi con amore tu dici con «vero amore»

intanto per ora ci guardiamo con odio.

 

Jolanda Insana

(Messina, 18 maggio 1937 – Roma, 27 ottobre 2016 ) 

 

La tagliola del disamore

dove dove sei

anima mia sfiorami

non vedo

anima mia chiavicona sconciata

smantecata e sgualdrappata

non ti vedo più

ho la vista tappata e la testa ingravidata

schizzata spappolata

sono io che cammino sul muro

sono io che m’arrampico dove?

dove sono? tienimi

non lasciarmi cadere indietro

afferrami

non lasciarmi scivolare

nel vuoto nel niente

nel dentro delle ventraglie incordate

nel sacco di merda che sono che siamo

tirami per i capelli

ferma l’occhio strabico e guardami

guardami dentro la palla degli occhi

e toccami il naso il culo le orecchie

dimmi che sono qui che sono in piedi

e sto parlando con te

e non girare lo sguardo altrove

in chissà quale pagliaio e verminaio

in quale porcilaio o angiolaio

ma fammi vedere che non è solo sangue e fuoco

uranio e mucca pazza

organi strappati e gole e budella strappate

ascesso e pus

carogna e fogna

sulla terra

anima mia sconsacrata scoreggia

portami al mare

e vèstiti d’azzurro

e spogliami spogliami

io non ho niente

e tu sei finita sbausciata

 

“Tutto è impuro”. Per questo la parola deve necessariamente di continuo trapassare da un registro all’altro, insofferente di ogni armonia; ed esibire, attraverso la contaminazione di lingua volgare e lingua colta, di espressioni scatologiche e modi propri, la violenza dell’associazione, la crudeltà del mettere insieme parole per formare frasi e sentenze. Così facendo, la nostra poetessa mi pare che voglia soprattutto mantenere nella parola la risonanza materiale di un qualcosa di abietto da cui la parola proviene: come la presenza di un qualcosa d’altro sia esso corpo, violenza, desiderio, potremmo forse dire semplicemente forza, energia.

 

Come già Amelia Rosselli, Jolanda Insana si interroga sul sistema di menzogne intessuto dalla letteratura, riflette su ciò che resta fuori dai confini della poesia. Tutta la sua opera è un tentativo di far esplodere quei confini, di divaricare o meglio “sguarrare” le parole per confrontarle con quanto è esterno alle edulcorate sublimazioni della poesia.

 

Gli ultimi suoi versi, pubblicati nell’estate del 2008, sono dedicati alle morti bianche e confermano la ferrea coerenza di tale progetto, la sua profonda portata civile.

 

Il mio corpo non è limite sufficiente

Analizzo i delitti commessi con la parola

e la paura si affretta

accade

che ignoro il senso vero delle cose

anche se la parola rimane

quando mi separo da essa

sono vicina alle mie viscere

comincio a confondere i limiti

e le definizioni si perdono

come una candela in una mattina d’estate

 

***

 

Scruto il mio sesso

scruto il mio sesso il corpo di bambinoche mi trascino il ginocchio che pesala testa i riccioli di un topinocoloreil mio seno di femminad’animale cresciuto per forzai capezzoli ciechi e rugosila mia faccia di neonatodi vecchio infante messo a morte.

Questa bellissima lirica di Silvia Batisti, tratta dalla raccolta Ballate del Corpo (1976/77) è un esempio di come la poesia Femminista abbia squarciato il velo delle finzioni borghesi, con l’utilizzo di parole anche pesanti e all’epoca sottaciute

 

SABRINA MORANDI

La tragica poesia di Sabina Morandi, classe 1961, piena di parole aspre e dolorose, che riportano alla mente le immagini delle bambine uccise e abusate in ogni parte del mondo;

 

Ricordatevi della piccola fanciulla

Ricordatevi della piccola fanciulla dagli occhi

di giada

che in una notte di primavera

cadde come fosse in autunno

strappata da un vento di virilità

la fanciulla dagli occhi di giada

cadde nella nera realtà

ed accettò la normalità

pur di dimenticare i sogni

ricordatevi della fanciulla dagli

occhi di giada

cresciuta in un’estate di

morte

e morta ormai senza luna

ricordatevene per la vostra vendetta.

 

***

 

ADA NEGRI, che nella sua raccolta Maternità (Treves, 1904) celebra la donna, madre e operaia, apostrofando l’uomo come “infido”. Una libertà espressiva che, si può ben immaginare, non doveva essere vista di buon occhio nella società patriarcale primonovecentesca, in cui si stava preparando il terreno per l’avvento del fascismo.

 

Io sento, dal profondo, un’esile voce chiamarmi:

sei tu, non nato ancora, che vieni nel sonno a destarmi?

O vita, o vita nova!… le viscere mie palpitanti

trasalgono in sussulti che sono i tuoi baci, i tuoi pianti.

Tu sei l’Ignoto.—Forse pel tuo disperato dolore

ti nutro col mio sangue, e formo il tuo cor col mio core;

pure io stendo le mani con gesto di lenta carezza,

io rido, ebra di vita, a un sogno di forza e bellezza:

t’amo e t’invoco, o figlio, in nome del bene e del male,

poi che ti chiama al mondo la sacra Natura immortale.

E penso a quante donne, ne l’ora che trepida avanza,

sale dal grembo al core la stessa devota speranza!…

Han tutte ne lo sguardo la gioia e il tremor del mistero

ch’apre il lor seno a un essere novello di carne e pensiero;

urne d’amore, in alto su l’uomo e la fredda scïenza,

come su altar, le pone del germe l’inconscia potenza.

È sacro il germe: è tutto: la forza, la luce, l’amore:

sia benedetto il ventre che il partorirà con dolore.

Oh, per le bianche mani cucenti le fascie ed i veli

mentre ne gli occhi splende un calmo riflesso de i cieli:

pei palpiti che scuoton da l’imo le viscere oscure

ove, anelando al sole, respiran le vite future:

per l’ultimo martirio, per l’urlo de l’ultimo istante,

quando il materno corpo si sfascia, di sangue grondante

pel roseo bimbo ignudo, che nasce—miserrima sorte!…—

su letto di tortura, talvolta su letto di morte:

uomini de la terra, che pure affilate coltelli

l’un contro l’altro, udite, udite!… noi siamo fratelli.

In verità vi dico, poiché voi l’avete scordato:

noi tutti uscimmo ignudi da un grembo di madre squarciato.

In verità vi dico, le supplici braccia tendendo:

non vi rendete indegni del seno che apriste nascendo.

Gettate in pace il seme ne i solchi del campo comune

mentre le forti mogli sorridon, cantando, a le cune:

nel sole e ne la gioia mietete la spica matura,

grazie rendendo in pace a l’inclita Madre, Natura.

 

ARMANDA GUIDUCCI

(Napoli 12 ottobre 1923 Milano 8 dicembre 1992)

 

Presto si trasferisce a Milano dove si laurea in filosofia con Antonio Banfi, attorno a cui ruta una scuola di cui fa parte anche Antonia Pozzi. Dagli anni 50 collabora riviste culturali e nel 1955 fonda assieme a Franco Fortini, Luciano Amodio e Roberto Guiducci la rivisita politico-letteraria

 

Nel movimento femminista italiano entra nel 1974 con la pubblicazione di La mela e il serpente, un po’ diario psicoanalitico su cui registra sogni e ricordi, un po’ racconto autobiografico dall’infanzia alla maturità, un po’ saggio antropologico che esplora problemi socio-culturali.

L’esperienza personale diventa paradigma di una condizione esistenziale collettiva: la società occidentale condanna la donna al silenzio e Armanda vuole ridarle la sua voce. Narrare è una presa di coscienza, primo passo della fondazione di un nuovo soggetto femminile consapevole del proprio corpo, del proprio posto, del proprio potere.

 

Ho dormito. Per metà della mia vita,

ho dormito: sono stata felice.

 

Al dibattito femminista contribuisce in modo determinante ma non manca di criticarlo definendolo troppo spesso “borghese ed elitario” perché si concentra sulle donne di città escludendo le donne di campagna. Lei stessa si occupa della condizione femminile nelle città contemporanee con il ritratto di una casalinga e di una prostituta in Due donne da buttare. Ma dà voce anche alle donne più emarginate di tutte. La donna non è gente sposa la causa femminista alla passione per etnologia e antropologia culturale e raccoglie le testimonianze di 9 contadine di tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia.

Diventare donna è un nascere per strappi

 

Armanda tenta di ricomporre la radicale distanza che separa e al tempo stesso attrae i due sessi convinta che solo l’amore è in grado, per un momento, di colmarla. Ma un attimo dopo l’abisso, impossibile da attraversare, torna irrimediabilmente a disgiungere.

 

T’ammiro, così astratto, e provo orrore

della tua incerta furia-forza maschile

e debolezza insieme; mancanza di natura

che mi relega in nota-a piè di pagina.

 

L’amore che la poetessa cerca è totale, dirompente, immediato, capace di dissipare ombre e differenze per ricomporre l’io con l’altro. Ma è una composizione impossibile, maschile e femminile non sono complementari ma estranei.

La successiva raccolta, A colpi di silenzio, esce nel 1982 e affronta l’amore in una cornice già apertamente femminista. Desiderio e differenze tra uomo e donna sono ancora al centro della scena ma compare con forza il corpo, anche quello invecchiato, e compaiono maternità, coscienza di sé, la storia condivisa delle donne, i modi in cui si percepiscono e raccontano.

Gli uomini non perdonano a una donna

I suoi versi raccontano un’esperienza non solo individuale ma anche collettiva e storica, testimonianza per le generazioni future. Perciò Armanda rifiuta l’etichetta di “poesia femminile” che cela una discriminazione relegando i versi di una donna a categoria subalterna. Al contrario, le sue poesie esplorano il modo in cui maschile e femminile dialogano, o si scontrano, delineandosi a vicenda.

 

***

 

Chiudo la collazione sulla condizione delle donne con due liriche della compianta Amelia Rosselli (1930/1996) poetessa, musicologa, studiosa a tutto campo, morta suicida dopo una grave depressione, malattia che spesso uccide le grandi menti. Sono due poesie tratte dal libro Variazioni Belliche del 1969, presenti in questa antologia insieme ad altre, le ho scelte entrambe perché, a parte la bellezza della profondità poetica, sono brevi ma ricche di quella forza misteriosa che solo una grande poeta poteva scrivere.

 

E chi

E chi mi può garantire tu non sei uno di quelli

che muoiono sulla zappa invece – chi mi può

avvertire della tua ragnatela. Tardi ho

chiamato le mosche a riparo.

 

L’Alba

L’alba si presentò sbracciata e impudica; io

la cinsi di alloro da poeta: ella si risvegliò

lattante, latitante.

L’amore era un gioco instabile; un gioco di

fonosillabe.

****

(Frame by Yazujiro Ozu)




Il testo in altra forma è apparso sul Lit-Blog Le Finestre Diretto da David La Mantia

 

1 Comment


daniela.stasi.ds
Oct 16, 2024

Sinceramente grata di tanta cura e attenzione al mio contributo.

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