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Liturgia della Parola 3: Requiem

  • almanacco
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min
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Lo specchio rotto del mondo fa nascere oggi un verso. Voce dell’incomunicabile confronto, dell’incomunicabile poter ritornare; verso di Esseri sradicati.

Persistere, resistere nell’inazione, in voce d’attimi d’una vitalità dolente, consumata, marcita, fumo e cenere d’uno sguardo che fugge ossessionato nel possedere attimi di vita possibile.

Ma c’è alternativa a questo continuo torto del tempo? Tale è un verso che trasfigura, piegato nel poter dire, nel lasciar dire questo tempo, dimentico d’un corpo sempre nascente, non neonato, ma fertile.

Verso che trasfigura tutto rendendo saturo ogni spazio bianco che apre all’insondabile silenzio. La parola istituente si scopre povera in un gioco di rimandi, senza risoluzione.

La parola è fuoritempo.

Il fluire del mondo la coglie alle spalle. Parola come un raccogliere granello per granello, conservare.

Necessito d’una parola che partorisca un mondo!

La Parola istituente mai più povera che nei confini che traccia, nel resto che non sa nominare, raccogliere tutto per farlo marcire.

Necessito d'una parola che partorisca un mondo! Con tutti i suoi tramonti di stelle, i suoi sol nascenti.

Non è parola salvifica, non credo ad un verso che conduca rassicurante nel silenzio d'un miracolo.

È linguaggio nomade ogni passo che struttura maldicendo il proprio non poter ritornare; il mondo non è Casa, ma luogo del nostro bruciare. Altri mondi son possibili in un corpo che non rifiuta un tempo despota, che mangia i figli d'un desiderio dell’eterno. Articolare canti d'un caotico riconoscimento; immobili dinanzi ad uno specchio rotto, raccogliere i pezzi, ferirci, trovare altra possibilità per dire questa rivoluzione inespressa d'un tutto giammai colto da nessun talento. Non siamo vergini dinanzi al mondo. Informati, investiti, d'un fluire costante. Poter dire quest’interruzione. Sospensione che apre al senso.

 

Francesco Cammis



COLLETTA

 

Tutto si abbassa sul centro del mondo e traspira venti vecchi o fa circonduzione attorno alla nuova legge degli spariti: dei morti che raccolgono eredità cosmica, senza aver voce. Tutto, in lieta autostrada dei sogni, si assolve nell’eresia dell’erotico: un corpo mi hai donato per allevare la singolarità traviata. Tutto è rivoluzione inespressa, elettrificazione che mesce le mani per arrivare al cuore e radiarlo.

Ma il pugno chiuso del verso ha lacrime di flanella ed istiga alla menomazione: cento volti nella stessa nominazione. Cento miracoli in una categoria. Un desiderio violaceo spingente all’infinito, dimenticando la casa di partenza: il silenzio armonioso del tramonto per la pittura dell’alba. E se siamo vivi è con la morte; non per la morte. E se siamo d’argento è per lo sgretolamento: le statue si lascino ai tarocchi.

 

PRIMA LETTURA

 

Avverti il silenzio dei pellegrini?

È nella musica dei cantori della vita che si regge il simbolo: perché le carovane possono divenire cetacei o funamboli sistemi di irrigazione dell’invisibile, ma nessun talento raggiunge la vita. E così la forza dell’arrendersi momentaneamente decapita le lunghe passeggiate tra gli eroi, che fanno restare la poesia sonnolente, vivida alla sola prova della cenere. Abbiamo bisogno di un fuoco divampante. Come per la promessa a Mosè. Abbiamo bisogno della reliquia del roveto. Nessuna reliquia varrà il dialogo faccia a faccia. Come quando scendevano le nubi ed il volto, vivo, rideva d’invisibile.

Memorie di empatia

O parole sonore perlustranti la vita del cieco: l’essenza della relazione col mondo (col mondo azzoppato). E c’è una delicatezza variopinta che avvicina all’anima dei mondi: non si lascia trascinare. Non li interiorizza: li alleva grammo per grammo nella firma biografica consapevole. Nessuna invenzione. Nessun deserto genealogico da incantare. Solo tenere mangiatoie, luoghi di purissimo germoglio in cui mettere al caldo le ombre.

 




SALMO

 

Raccogli

                                     Raccogli la tenebra

rubra arriva la nascita della parola usurata

e fa di calli genetici il suo istinto

- il desiderio di predicare alla folla astuta,

che non deraglia: vegeta maldestra –

 

Ho parole di filigrana tra le mani

                                             Filigrana dei sacerdoti

che prestano voce alle rientranze, agli spiriti storti

a Rubra nuda, dal seno poppato,

con i sogni a commentare:

commentare lo sterminio

 

Ma non un usignolo che arrivi

                                            e canti il mistero degli angeli

c’è una lezione maestra nelle rughe dei palazzi,

che sanno aprire le ferite,

c’è una lezione maestra nei desideri dei vincitori,

che succhiano la vita

 

                                                ancora.

 

 

 


REQUIEM

 

Il peso di una rosa è il suo gioco. Il peso del verso è l’infinito.

Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pacem

 

Il peso di una rosa è il suo gioco. Il peso del verso è l’infinito.

Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pacem

 

 




VANGELO

 

Annunciare l’involuzione è un dovere. Son tutti bravi ad annunciare l’involuzione.

Allora: si cerchi la cura. La cura costa muscoli e visioni.

Li si investa. Per ottenere il passaggio, l’agnello nuovo da nutrire.

Prima va ucciso il vecchio. Per poi uccidere il nuovo?

Per poi dare una generazione sana. Una generazione avveduta.

 

Una generazione che capirà da sola l’esigenza o meno del parricidio.

 

Intanto restano le meteore. Che divertono i cieli per il poco fuoco.

Chiunque può elevarsi a meteora. La distanza dal cielo si è interrotta.

Prendete la scala. Fate una torre altissima.

Che preghi i mostri di scendere. Di fare l’inferno comunitario.

 

Il sapore della resistenza negata.

 

 

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