Fernanda Caprilli su "Misteri d'amore" di Franca Canapini
Rileggere Platone alla luce della modernità
All’inizio del viaggio, il Prologo ci porta nel Simposio organizzato dal poeta Agatone dove sono presenti i più famosi intellettuali della città. Qui Erissimaco propone di tessere le lodi del dio Eros. Ed ecco che il «numinoso» ci invita in exergo ad «aprire la porta» perché «Coloro che ne oltrepasseranno la soglia / troveranno / ciò che non sanno / commisurato a ciò che sanno». E all’improvviso il Prologo si apre con un’esplosione di luce che lascia intravedere «il Nume famelico e cencioso» e avverte gli uomini che il percorso che si sta per intraprendere è un cammino di iniziazione ma è anche una preghiera al Dio che ovunque si espande nell’universo, perché assista l’Autore di fronte alle difficoltà che dovrà affrontare. Se questo richiamo agli dei affinché assistano il poeta nel suo cammino è tipico di una tradizione che da Omero in poi ha segnato l’inizio di poemi famosi e meno noti, quello che a me piace sottolineare è il «cammino di iniziazione» che qui viene annunciato. Perché se da un lato il Simposio ci riporta con la memoria al mondo greco nella sua più alta accezione di pensiero (è del viaggio verso la sapienza che si narra, come dice l’Autore), dall’altro è anche del nostro mondo che si parla, quando, come si legge nell’introduzione: «Di fatto […] quando Platone parla di Eros si riferisce a una Energia che non ha genere, ma appartiene a tutti i generi ed è diffusa in tutto l’Universo», motivo per cui i due personaggi (uomo/donna, amante/amato) sono in realtà «due poli che, attraendosi, generano energia creativa». L’esaltazione di Eros fatta da Agatone mette in luce un aspetto interessante che evidenzia la potenza della creatività, attribuendo ad Eros la capacità di rendere poeti coloro che vengono toccati da lui: «perché tu la tigre / tu la forza / tu il coraggio / tu la fiamma […] che all’improvviso si sparge / e inonda» (Tu, la tigre) e rende ragione di ciò che il poeta vive. Perché se l’amore è tendenza a possedere per sempre il bene/il bello, come afferma Diotima, solo la poesia può travolgere come un fiume in piena e far sì che “gli amanti” dimentichino tutto ciò che precede questo momento sacro e irripetibile, perché solo ora essi partecipano “dell’Essenza” (Rose di sangue). Il ritmo incalzante della strofe successiva, caratterizzata da ben diciotto aggettivi che si snodano senza pause, rende vitale la sacralità dell’atto e allo stesso tempo s’indora della luce dell’estate, in una pausa onirica che richiama il presente, con un cielo «punteggiato / da luci pulsanti ammiccanti da remoti / lontanissimi imperscrutabili orizzonti».
«Ma al di sopra dei cieli / correva la Parola» - osserva Diotima – la Parola che ha raccolto il segno impresso dall’angelo «nella bocca del primo uomo» al momento della sua morte, permettendogli così una possibile continuità. La Parola senza la quale l’uomo non può penetrare nel mistero della mente. Prima nulla esisteva o aveva significato: ora lo spazio conquistato dal pensiero apre al mistero di una conoscenza nuova, che, indagando in profondità, coglie l’essenza dell’io e lo dissolve in mille spirali energetiche, illimitate, concentriche, portandolo finalmente alla quiete. È là che «ogni pianta va / a fiore mentre piove la pace», e cuore e mente si concedono l’armonia di un cielo nuovo, «cosparso di diamanti». È questo lo stupore che nasce dall’inattesa scoperta, perché, come dice Gianni Caccia in Postfazione, la forza inesauribile di Eros genera «la continua meraviglia di fronte al cielo, all’acqua, al sole», alla luce che si espande ovunque e riflette e rende possibile questo connubio fra terra e cielo, fra estasi e realtà. La scoperta cui giunge la Canapini è tale da generare “lo sbalordimento” di cui parla Lacan: una volta penetrato nel cuore del cosmo infinito «partecipi del fluido movimento // e vedi // quello che sai di non sapere / lo scopri / nella parola del mito / nel suo cuore profondo / la verità ____________ in un oscuro geroglifico».
Si aprono per questa via gli occhi della mente e al centro, lei, La Rosa bianca, distende i suoi petali, li apre, li schiude e rivela il grande «occhio magnetico» che tutto contiene, nel quale siamo compresi noi «e l’universo e il tempo» disciolti nell’energia generatrice che anima il creato. Come tutte le visioni anche la Rosa si dissolve come un miraggio ma lascia il desiderio inesausto, inesauribile della sua presenza.
Sarà Socrate a chiudere il discorso sul significato di Eros, che può condurre alle vette più alte del bello e della conoscenza, ricordando ad Alcibiade che all’uomo non è dato sapere quale sarà il suo destino: «Tu ne quaesieris (scire nefas) quem / mihi, quem tibi / finem di dederint, Leuconoe,» cantava Orazio nel suo Carpe diem e con questo senso di smarrimento di fronte al mistero che circonda l’uomo e il suo destino si chiude anche la ricerca che Franca Canapini ha condotto sul Simposio di Platone, con un invito al confronto e al dialogo perché solo così mondi lontani o diversi potranno continuare a confrontarsi! Tutto scorre, tutto scivola come fa l’acqua nel suo cammino: occorre solo assecondare la vita nei suoi mutevoli cambiamenti perché «sarà in un attimo / quando di nuovo tutto cambierà».
Con questo invito che mi piace leggere come un invito alla pace, la Canapini ci ricorda che anche le guerre, il dolore, le innumerevoli tragedie del nostro tempo, sono destinate a passare e che è nostro compito proseguire sulla strada dell’incontro e del dialogo affinché non si spenga la speranza in un mondo migliore. Questa la lezione che il mito e la sua rilettura trasmettono come valore inesauribile all’uomo di oggi.
Arezzo, agosto, 2024
Comments