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Carla Malerba su Estate corsara di Alessandra Corbetta

Alessandra Corbetta, Estate corsara, puntoacapo Editrice, Pasturana (AL), 2021


Quella di Alessandra è una poesia giovane, detta però con accenti maturi di chi ha saggiato il varco di un possibile non ritorno alla felicità della gioventù, come preannunciava la sua precedente raccolta, un’imperdibile, dolente riflessione sulla stagione più bella, ma effimera, della vita.

Un difficile percorso tornare alla vita per ogni essere umano toccato da un’assenza inspiegabile, forse presagita, ma non accettata, da una cancellazione improvvisa del “tutto”, quando quel tutto è l’amore. Ma da questo lutto, da questa assenza la poetessa trae spunto per ripercorrere le fasi esistenziali che inglobano la sua storia : Prima, Dopo e Durante, le sezioni di “Estate corsara “quasi un vascello che torna in porto, depredato dei suoi forzieri, ma ormai forte e pronto a riprendere il mare.

Così i giorni che vediamo sfilare si cristallizzano, ormai compiuti, certi atti rimangono vitrei ritratti di un’ombra mentre la rielaborazione del vissuto diviene autentica parola poetica. I giorni, anche se perduti, sono fermi nella memoria, come accade nei versi di Cardarelli: “Penso ai giorni / che perduti nel tempo ci incontrammo”.


E se scompare piano, giorno dopo giorno, la cicatrice dal cuore, se si dissolvono il profilo, le mani, la bocca, lo sguardo, il suono della voce, restano le città, con le loro piazze, strade e monumenti a testimoniare una bellezza che mai potrà essere cancellata e che si mostra al lettore attraverso le liriche della raccolta.

L’assenza si fa poesia, non nel desiderio di tornare indietro, ma di andare oltre: fermi nella memoria gesti e parole appartengono nel bene e nel male alle vicende umane. Ma quei giorni hanno germinato un dono grande: la forza poetica di raccontare.


ESTATE CORSARA


PRIMA


La frase-pensiero della ragazza che osserva la vita degli altri apre la raccolta e fissa negli ultimi versi di “Primo piano” la dimensione della gioventù rispetto al mondo degli adulti: l’ascensore emblematico ricorda - come scrive l’autrice - il gioco facile di “bloccare l’ascensore,/ intrecciare le mani, bastarci”, di creare un luogo-non luogo dove anticipare o fermare il tempo.


“Il lato migliore del sole - scrive Alessandra - somiglia a un occhio di bue intatto, a una parola in buona traduzione” Altre sono le cose incomprensibili e comunque la ricerca di senso assale la poetessa che cerca sempre dove stare, dove “non fa pegno avere detto/ senza saperne il senso”.

La gioventù deve spesso fare i conti con le emozioni e gli squarci al cuore, il tempo non è gentile, non si ferma: con lancette acuminate d’acciaio, con “multipli di sette

da contare all’indietro”, la sequenza dei giorni trascrive le sensazioni, l’amore dato, l’inizio dell’inizio, gli incontri sottolineati dall’uso del futuro in “Giorni di luglio e già riconsiderati con l’aggettivo umbratile nella lirica “Estate” , con l’immagine dei papaveri che fioriscono tra le dita, nell’avvertimento di “un occhio chiuso e e l’altro cieco ”e sempre, nel buio contrapposto alla luce, all’ingenua certezza del bene.

L’ombra avanza, lunga ormai. La ragazza sapeva che appartenersi aveva voluto dire lasciare tutto, ma solo per uno dei due.


DURANTE


La seconda sezione dell’opera porta in esergo alcuni versi di Fiori (“Lo senti / l’abbraccio che una volta tu mi hai promesso / come non ha mai smesso di illudermi?”) in cui c’è già la premonizione di qualcosa destinato a finire. Tutta la sezione è permeata da un senso di attesa incombente che si infiltra nei giorni e li vela, come accade nella poesia ABCD che ripercorre con parole centrate la storia di un amore come tanti, con la capacità di renderlo di tutti, sia all’interno di una stazione sia nei luoghi dove si è svolto.

Ma ormai è passato, ormai l’amore dolente è diventato musica, note e parole che si

possono ascoltare. Si può parlare dei luoghi che titolano molte poesie, sono lì, con le loro piazze, le strade, i monumenti: Parma, San Marino , Firenze, Arezzo, Siena che nei versi che costellano i ricordi della sezione appaiono come quadri, sono analisi e presa di coscienza, ricerca di un tempo fermo.

I luoghi menzionati offrono immagini di straordinaria efficacia ed hanno il fascino delle cartoline illustrate di una volta, ma talvolta assumono un tratto inquieto, come

in “San Marino”: “rimane l’altezza / della rocca, la paura di vedere che / è tutto precipizio”.

Le città continuano a susseguirsi: Pietrasanta, dapprima testimone di una “gioia sfrontata” poi di “quanto sia esatto il congedo”, Siena che compare “con un profumo di isole spagnole” ma poi si fa fredda nel ricordo: “Che Siena sia stata una bugia?”.

E Arezzo, la città che l’autrice definisce azzurra nei bei versi “schegge di Libia negli

occhi del tempo”. La bellezza colpisce, lascia il segno ciascuna di loro, immagini sognanti “dei luoghi dispersi dentro i luoghi”: scompariranno anch’essi come chi sorrideva?

Improvvisa ci appare Marradi e di Campana ci fa trasalire il ricordo della follia che “aveva il sapore di pioggia e caldarroste”. Monteriggioni poi, struggente e intensa, fortemente intrisa di significati nei versi scritti in corsivo, è un richiamare “l’indicibile”.


DOPO


La terza sezione si apre con una citazione da “Le Rane” di Baustelle: “E porterò

morendo quella gioia corsara con me” seguita da versi di Umberto Fiori che dicono: “E ti sento mancare/ così profondamente / che non so / nemmeno più cos’eri”.

Da qui la poesia introduce ai versi dell’assenza e poi a quelli del congedo dal dolore,

congedo che avviene in modo diverso da persona a persona: qualcuno sparisce senza

alcuna spiegazione, qualcuno sceglie di rimanere, sempre “a patto che”.

La percezione dell’assenza permane fino a che lucidamente avviene la scelta e la scelta è quella della vita: “Scegliere di vivere è non averti mai incontrato”.

Da questo momento hanno inizio faticosamente i giorni del dopo, della ricostruzione. Affiorano immagini e sono fotografie in bianco e nero, il pensiero di luce si è oscurato. I giorni del dopo vanno a rilento e i versi accettano, si adeguano, vivono un’estate di solitudine scandita solo dalla quotidianità delle azioni: “il patto stringerlo solo coi gradini delle scale”.

“Dopo” è la sezione più drammatica di “Estate corsara”: è lucida cronaca, senza sfaldamenti in immagini consolatorie, è presa di coscienza dura e coraggiosa per affrontare la vita.

Il negativo è ombra, “ombra nell’ombra”, come accade quando il bene si trasforma in male, la sera dentro, le orme dei passi da cancellare. E ritornare alla luce poi, emersi dal fondo di un pozzo, liberati dall’oscurità.

In questi versi si coglie la fermezza ricostruttiva, senza sbavature di senso.

L’impossibilità di capire rimane, le ore, il tempo si fanno pressanti e sfuggenti insieme. Chi legge prega perché la scrittura poetica sia salvifica e benedetta, che lei, la poetessa, non corra più pericoli, che possa finalmente dire: “ma in quei giorni / cos’è stato? / Forse, un fischio di treno

Poi, nei versi l’accettazione diventa impegno vitale: “Chi resta vince. Chi resta sopravvive / e traduce la memoria”.

In questo tradurre, traducere, condurre oltre, si colloca il senso finale dei versi di Alessandra Corbetta.




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