Corpus homini, di Maddalena Bertolini
Maddalena Bertolini, Corpus homini, Prefazione di Elio Grasso, puntoacapo Editrice, Pasturana 2017, pp. 78, € 12,00 ISBN 978-88-6679-093-8
di Mauro Ferrari
«Ho paura, ho paura. Di non amare abbastanza.» Ci sembra giusto parlare da questo verso, da questa dichiarazione di Maddalena Bertolini, che sospende il suo libro – già teso fra due sezioni intitolate il mio e il tuo, a mezza strada fra la cronaca e l’ontologia, fra la fisicità e le urla dello spirito, come indica già in apertura il testo proemiale, in quello splendido enjambement «la grazia / materiale», che ci apre un testo intriso di vita, pulsioni, ma anche tensioni alla trascendenza. Una trascendenza che non è mai banale rifugio nella religiosità effusiva, ma domanda incessante. E credo che la domanda vada a parare sull’eterno dubbio di Giobbe: Perché il dolore?
La maternità, come rapporto con il figlio, si apre quindi a una rete intessuta in orizzontale. Su questo livello di lettura nasce per gemmazione una variazione: il prossimo, gli altri, con l’irruzione di quegli Altri che oggi premono contro di noi, per farsi Noi, o purtroppo per farsi a volte Non-Noi. E Maddalena presenta anche immagini di questo: si veda la straniata foreign fighters (p. 30) o l’incipit a p. 31 («Tira la linguetta e strappami»); o ancora il verso a p. 32: «Finiscimi a fil di spada». Questa è l’insopprimibile e inevitabile dualità dell’animo umano, per cui amore e odio (ma i poeti lo sanno da sempre) non fanno altro che riflettersi da sempre in se stessi e nell’altro; ma è anche il dramma di non dover odiare, o persino di dovere amare il prossimo anche se è il nemico; di chiedere a Dio «fammi / saltare il cuore» (p. 16). La galleria di immagini tratte dalla cronaca, dense di riferimenti ai luoghi e ai volti della sofferenza, non ha forse la funzione di sottolineare l’esigenza di amore pur in un mondo di sofferenza e odio?
Del resto è proprio il parto, come momento centrale della maternità, che unifica i due estremi di cui parlo, portando non solo una nascita, ma anche una maturazione, un compimento. Una delle strutture centrali del libro, forse l’asse principale. Si veda p. 28,29,30: «Porgimi / il male dell’attesa» (p. 28); «ho bisogno delle tue esplosioni» (p. 30). Non possiamo fare ameno di questa dimensione, afferma con coraggio la poetessa: «Della tua presenza: muoio non / posso farne senza» (p. 33) – e anche qui l’enjambement è pregnante, e apre alla straordinaria affermazione di p. 36: «Tremo, ti amo, non so il modo giusto. / Il mondo giusto. Il mio nemico.»
Ma nel libro è presente, come avevo suggerito, un altro asse, quello verticale, che si impernia sul senso trascendentale e infine religioso della maternità: lo vediamo bene a p. 15, nel momento in cui attiva la similitudine del secondo verso: «tenero come un agnello», perché il testo che segue, 25/12, è un testo che parla della maternità, dell’affetto materno, ma in cui il titolo si fa tema. La con/fusione è fertilmente innescata dall’ambiguo uso del Tu: il figlio? L’amato? Il prossimo? Dio? Ed è così importante scavare una trincea fra di essi, in un libro che si intitola Corpus homini, che salda quindi immanenza e trascendenza? Corpus homini è una raccolta che parte da una ricerca del senso (di un senso) e lo trova disseminato, disperso nei semi e nei segni del presente, della Storia e dell’animo umano senza che sia possibile dividere i vari livelli, dare una risposta univoca, scindere bene da male.
Mauro Ferrari