Stefano Marino, Quattro inediti
1. sentimento inespresso taciuto.
un frammento di sorriso
conficcato nel petto,
un sentimento inespresso taciuto,
sotterrato sotto la pelle come
cisti sebacea nel braccio.
inadatto a voi a te a me stesso
mi rifugio ancora in
squilibrata scomposta alternanza di
stati d’animo opposti,
mi riparo sempre in
sbilanciamento di emozioni sentimenti che
generano flusso dinamico,
poi stasi, poi flusso, poi nulla,
poi il poi e il poi ancora,
e il sé, che non è me, né te, né so chi sia.
svolazzante, un pensiero indegno di creatura umana
mi ha penetrato nuovamente stamane, come
mille e mille altre volte,
insensibile al mio
tener duro, attaccarmi, avvinghiarmi a
ciò che (non) ho.
continua a mancarmi, m’illudo
a stagioni alterne del mio cuore
d’aver scacciato e finalmente perduto il
sentimento di rabbia frustrazione e amore, ma
penetrato ancora dal pensiero medesimo
ascolto musica e secerno lacrime, seppur
poche ormai: lontani
i tempi del dolore incurabile, distante
giorni mesi anni decenni
il tempo della disperazione
inconcludente infinita autosabotante, ma
sono pur sempre lacrime.
pallido e vivace insieme,
dimoro ormai nella dimensione
del ricordo, e però
un mero sguardo a
l’altro da sé e l’altro da ciò che è
è sufficiente ancora a
spogliare le apparenze dalla
loro ipocrisia e caducità, a
rivestire l’animo di
desiderio promessa speranza anelito curiosità
per il nuovo e il caos che
mai è avanzato, mai avanzerà,
mai è stato, mai sarà,
eppure c’è.
ferme all’Olocene le mie
strutture e dinamiche emozionali
(“at once, I knew I was not magnificent”:
in fondo, è tutto qui),
già giunte all’Antropocene le mie
osservazioni, ruminazioni e azioni,
con un solo sguardo l’alterità sa
schernire decostruire destrutturare umiliare
quel poco che resta
di me e te e voi e loro
(dopo giorni mesi anni decenni di
disperazioni disillusioni disfatte disincanti),
il barlume la parvenza d’incanto
che scorgo ancora intorno
e dentro e fuori.
ormai
non importa e non temo
l’altrui giudizio o opinione,
non mendico il desiderio,
non ambisco all’approvazione, ma
anelo solo a
non morire più infinite volte
come evento quotidiano; eppure
un’altra volta ancora baciare e sondare e sentire
in modo vivo vasto voluminoso vero – per ciò
ancora mi struggo e
donerei fette del mio corpo, tranci del mio animo
per cacciar via i demoni dalla porta del cuore
e mai lasciarli rientrare dalla finestra delle ossa, ma
amore e desiderio spalancano
ogni fessura, ogni sentiero, ogni via e
arduo e difficile è escluderli eliminarli.
detesto ogni mia scelta, eppure
ne rifarei ognuna identica:
incapace al cambiamento, m’iberno ogni volta che
il soffio del mondo mi sfiora,
poi mi risveglio, mi scaldo, mi tiro su, mi afferro e
proseguo per pochi passi prima di
inciampare, inetto inesausto incomprensibile,
ancora e di nuovo,
e sempre di meno e sempre di più.
il mostro si va riformando:
lo sento e tremo e lo temo,
denso e forte, dentro e fuori, e
non voglio più partorirlo dall’interno,
non voglio più accudirlo all’esterno,
non più: gli opporrò
debole ma tenace resistenza,
mai più pensieri suicidi e vagabondaggi alcolici e lacrime
a inondare la terra a svuotare il mio suolo interiore
(“non più, sii forte, mai più!”); ma
il mostro è ancora qui, nelle mille
fratture multiple alle ossa al cuore,
scacciato cento e cento volte ancora e
cento e cento altre volte ritornato
sui medesimi passi: sentimento
obliquo confuso magico osceno forte debole fragile saldo,
mi spasma strascica seduce sobilla sopprime,
sempre stato così, sempre così sarà.
ti temo infinitamente, mostro,
sentimento complesso in cui
morte e vita
s’intrecciano s’amano s’odiano s’estenuano
con esito nullo, infine, ogni volta e sempre così:
sia maledetto ciò (e chi) lo originò nell’infanzia,
la natura, la pulsione, la psiche che
esige tutto questo, che vuole me e non-me:
capace di nolontà forse sarò un giorno
forse no, forse sì,
forse un no ch’è al contempo un sì.
2. radieuse.
scenario di spiaggia deserta,
due silhouette,
appena socchiusi gli occhi in
ritratti che
dicono e insieme tacciono,
suggeriscono prospettive inebrianti,
mostrano solarità ineguagliabili e
sorrisi che dischiudono orizzonti,
aperti all’ambiente e aprenti un mondo
come poco altro fin qui mai visto.
conflittualmente, per anni, si
studiano i conflitti, per
difficoltà proprie
(pur con corpo e spirito
immensamente luminosi) a
gestire propri conflitti
interiori/esteriori;
conflittualmente, per anni, si
sperimenta il potere e
si subiscono manipolazioni,
seduzioni del dominio, per
difficoltà proprie
(con animo periodicamente
fratturato nelle ossa nel cuore) a
resistere agli urti, agli
spigoli di sguardi
ostili indifferenti umilianti.
alterità auratica, così
radieuse e magnetica,
disorienta e insieme reindirizza,
turba e insieme rasserena,
entusiasma e insieme acquieta,
spinge a superare l’orizzonte
angusto disperato sofferente folle
della ricerca fallimentare di
un “tu noi voi” nel passato,
coglie enfatizza valorizza la valenza
rivoluzionaria della dolcezza,
sollecita alla concentrazione sull’io
(con i suoi “sé” e forse anche i suoi “se…”),
induce a seguire la coerenza del sentire, a
dimorare con più fluidità e
maggior senso di affinità
nel “present tense”, a
dire a sé: “I follow rivers”,
danzando con occhi chiusi e piedi scalzi, e poi
sperimentando singolari sensazioni di
frantumazioni nuove e rinascite illusorie.
indeciso indefinito imperfetto impreciso,
mosso da una potenza che
(come la trascendenza)
c’è e insieme non c’è,
si manifesta e poi si oblia,
intimorito ma attratto dalla
intrigante non-identità che balugina e traluce
tra fessure e margini,
tra scoperture fugaci e rapide ricomposizioni,
perennemente inseguito dalla
coscienza che non dà scampo
(stringe, soffoca nella sua
morsa, e in un istante riagguanta),
so solo rifugiarmi in un (in)consueto
solitario timido enigmatico cifrato bisbigliato:
“are you the one?”.
faticosamente esperibile e
difficilmente esprimibile a parole è
la speranza che
l’affinità la sintonia
a tratti ridestano in me, ma
purtroppo pur senza mai smarrire
l’innegabile perdurare del
timore tremore terrore che
l’illusione rinasca, che
s’incarni in una nuova forma:
forse la tua, forse la sua,
ora e sempre la vostra.
3. guido, mi ricompongo, respiro.
mi guidi, mi lascio guidare,
mi ridai la guida di
dispositivi e veicoli che
irrazionalmente ormai spaventavano
e ora nuovamente
padroneggio, la guida di
una vita che
tessera dopo tessera
il mio ordine disordinato
aveva frantumato,
frammento dopo frammento
la continuità del decorso aveva spezzato,
la sensatezza della tessitura fitta
di eventi esperienze relazioni rapporti aveva sfilacciato,
l’apertura dell’orizzonte sul mondo e sul senso
violentemente dolorosamente aveva richiuso e soffocato.
camicetta bordeaux impreziosiva oggi
la tua sagoma la tua figura
il tuo viso e riso
spontaneo libero non-preordinato non-subordinato a
regole che (frippianamente)
disciplinato/indisciplinato quale sono
mi concedo di trasgredire
(misuratamente moderatamente mitemente)
con doni parole gesti silenzi fantasie cure pensieri,
circospetto ma insieme fiducioso per
confini protetti, limiti rassicuranti e saldi, che
incorniciano il nostro spazio,
lo definiscono lo strutturano lo supportano lo rendono
saldo, atmosfericamente
saturo, emozionalmente
ricco, affettivamente
denso, non indifferente
al dolore, capace di
ricomposizione delle mie fratture multiple, di
disinfezione delle mie ferite, di
emancipazione riparazione guarigione, di
ricucitura delle mie disunità e scissioni, di
farmi nuovamente respirare,
farmi finalmente sussurrare con dolcezza
a me e voi
“just breathe… just breathe”, di
farmi finalmente rivedere
l’orizzonte,
l’oltrepassamento dell’ossessione,
l’aldilà dalla prigionia.
4. lasci fluire il dolore.
rassicurante sorridente serena,
ricevi il mio dolore
raggrumato coagulato denso, lo
lasci scorrere sciogliersi fluire, lo
restituisci in forma
mutata trasfigurata, talvolta
ne ridi con spontaneità, senza
malizia sfida crudeltà, con un
riso che
lenisce purifica disinfetta sutura le
ferite (interiori).
riplasmato da te, il
dolore muta di significato,
riappare diverso modificato altro differente
da ciò che fu,
prospetta perlomeno possibilità di
orizzonti non radicalmente inediti, eppure
nuovi mutati riparati guariti.
ripetendo l’identico sotto la tua tutela
rivivo ciò che è stato, lo
sperimento ora come non-identico, mi
trovo rasserenato da
gesti voci sguardi parole silenzi occhi
rigeneranti pacati comprensivi limpidi, mi
ristabilisco provvisoriamente in
placida immota quiete, dopo
ressa sommovimento uragano tempesta.
rabbioso instabile fragile folle, non so
perdonarmi le mie
resistenze fragilità vulnerabilità paure fratture,
talvolta rapidamente fuggo
da me, dalla relazione con ogni tu che
con uno sguardo solo rischi di
mandare in frantumi il
mio disordinato ordine, la
mia illogica logicità e
razionale irrazionalità, la mia
friabile ma faticosamente costruita
soggettività, la mia
risibile ma faticosamente conquistata
riuscita in qualcosa, in ciò
in cui non ho fallito.
eppure,
lasciar scorrere sciogliere fluire il dolore,
renderti partecipe
dei demoni
(voci interiori che
rammentano rigorose e puntuali
il timore, che genera tremore,
di indifferenza derisione umiliazione)
concede respiro,
apre spazio,
dona tempo,
sospende la pressione del giudizio,
dischiude e fa riscoprire
la coerenza del sentire,
rinvia a un tempo indefinito il tracollo,
fa sperare nella possibilità di
mai più cedere mai più sgretolarmi mai più franare,
rende visibile per un istante la
agognata ma mai sperimentata conciliazione,
redime momentaneamente dalla
tendenza a stuprarmi la mente,
respinge nel silenzio il fantasma
del nulla che ho dentro,
riapre la finestra su
nuove esplorazioni,
nuovi modi d’esser me,
nuovi incontri con
alterità creaturali e
presenze radiose che
da sempre ricerco inseguo sogno,
talvolta sfioro, talvolta incontro.
Stefano Marino è Professore Associato di Estetica presso l’Università di Bologna. Le sue principali aree di ricerca in campo filosofico sono l’ermeneutica, la teoria critica, il neopragmatismo, la filosofia della musica e l’estetica della moda. È autore di numerosi articoli e libri in ambito filosofico e musicale, come autore e come curatore, su Kant, Nietzsche, Heidegger, Gadamer, Adorno, Rorty, Shusterman, Frank Zappa, Radiohead, Pearl Jam. Nel campo della poesia è autore delle raccolte Frammenti di agonia umananimale (Aracne, Roma 2015) e Fratture multiple alle ossa e al cuore (Italic, Ancona 2019), nonché di alcune poesie più recenti che sono state selezionate e accolte per la pubblicazione dalla rivista Gradiva. International Journal of Italian Poetry (vol. 59, n. 1, 2021).

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