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Ornella Cazzador, Considerazioni critiche su Prima di Gabriella Cinti (puntoacapo Editrice)



Nell’ultima sua silloge, la poetessa Gabriella Cinti ci conduce in un pluriverso speciale, in una rete spazio-tempo (tra le increspature di spazio- tempo) dove ci fa incontrare figure e storie del mondo classico e, ancor più addietro, recuperare tradizioni antichissime, dove si intrecciano i miti e i riti, per arrivare a vissuti personali e collettivi dell’età presente, creando un continuum di suggestioni. La poetessa compie un viaggio vertiginoso, qui e ora, verso il PRIMA, l’origine, lo starting point primordiale della vita, attraverso gli infiniti passaggi della vita, esplorando plaghe remote nelle pieghe del tempo, tra incommensurabili spazi (coordinate dal sapore leopardiano) che conducono a lei, persona umana, la cui piccola storia si interseca con la storia dell’umanità quale è, come prodotto dell’evoluzione della specie e di una catena biologica e antropologica che appartiene a tutti. La poetessa evoca l’origine… il PRIMA e vi declina le parole dell’inizio, del principioAb initioAb aeterno. Fende il tempo nella sua profondità, lo buca, e attinge l’inizio della vita. Da qui riparte per costruire i momenti di un suo percorso, a partire dai fossili, i sedimenti, le tracce di uomini e microbi, molecole in fuga/ del Grande Volo. L’incontro con le “creaturine” del passato avviene in un’aura di sospensione quasi mistica, capace di produrre prodigi, sciogliere nodi, suscitare svolte di vita. Traendo, come gli antichi aruspici, dai segni altri segni di vita e destino per gli abitatori del mondo.

La poetica qui espressa muove da postulati filosofici, scientifici, antropologici, che si accendono di poesia nelle mille rifrazioni del mondo reale, tra l’essere e il divenire, mentre badili di morte/ spazzano e ammassano/il giardino smarrito della terra/ e crescono rovi tra i sorrisi/ e il cielo in frantumi.

La silloge è dunque centrata sulla percezione – abbagliante e pervasiva - del PRIMA, la sequenza infinita dei miliardi di anni che accompagna la nascita della vita biologica sulla terra, alla luce del caso necessario. Qui la poetessa cerca varchi di conoscenza nelle geometrie di non storia/ storia , presente/passato, da quel punto iniziale al punto di arrivo dell’oggi. E ancora, spaziando dall’universo alla terra, in un cammino che parte dagli archetipi e torna nelle immensità astrali, nel mistero d’essere delle forme prototipali della vita, nella voce del hic et nunc, la presente e viva , e il suon di lei.

Sull’acqua- l’essenza liquida dell’origine- scorrono onde di compassione archeologica, con cui guardare alla forza, ostinata e solidale della vita e le mille facce della sua evoluzione. L’apertura e chiusura della silloge disegnano l’epopea della vita che scorre, il coraggio dell’origine, (con bella allitterazione del fonema esplosivo sonoro –g), mentre la parola poetica attraversa paesaggi e affondi psicologici che in questa origine si bagnano e rinascono.

Della terra compaiono i regni animale, vegetale, minerale. Con il primo apre il ventaglio su un mondo di creature viventi nell’acqua o sulla terra: alghe, anguilla, lampreda; limulo, garzetta; granchio, dryopiteca; gibbone, e altre, evocate sulla scena per la loro natura dotata di specificità biologica e funzionale. Tutti gli elementi naturali sono presenti: aria, acqua, terra fuoco, in una tetraktys pitagorica, il cui linguaggio richiede specifici codici di accesso per penetrare i tratti biologici e psicologici misteriosamente celati nelle forme.


Il soggetto che parla nelle poesie è un IO: bipede sognante, pellegrina di sogni /pioniera del sogno; che come gabbiano mi sono espansa…, ma che va anche incerta del dove, che si rivolge a un TU montaliano presente /assente, inclusivo, che corrisponde all’alterità nelle sue varie forme. Un tu col quale ha stretto fortissimi nodi di elezione, consonanze/ dissonanze, dolorosi distacchi, sogni e delusioni. E il tu dell’umanità tutta e della vita – biologica, simbolica, fisica, metafisica - dei mondi.

L’io emergente considera il suo- essere –nel mondo, valutando lo scarto tra il perenne e l’istantaneo (questo è il giorno, questo è l’istante); tra il piccolo e l’immenso; tra il perituro e l’eterno. E vede se stessa intenta ad una visione obliqua, destinata a cogliere il rovescio delle cose davanti a noi, o che si trova dall’altra parte (dall’altra parte del probabile), o dell’oltre, e, ancora, con lo sguardo arrovesciato in vertigine di arché. E, ancora: pendo sul rovescio dell’abisso.

In contemporanea con questa visione “capovolta” (vita rovesciata) la poetessa vive anche la dimensione del “dentro” : le dita affiorate da dentro; oppure vorrebbe farsi come lampreda, per tastare la luce da dentro, o, ancora, chiede alla lampreda di insegnarci a cadere dentro… per compiere il centro/ del tutto. E in questa coordinata del “vivere dentro”, la poetessa ricorda: Già altra volta le ali rientrate/hanno dismesso il volo dentro la vita. Vado verso il dentro. Gli spazi dentro. La strada di dentro. E anche i nodi dentro. Crescono dentro…

Nelle fulminanti immagini di un passato primordiale , la poetessa riscopre un mondo abitato da organismi viventi, così lontani, miliardi di ere, e per altri versi così vicini….. Creature viventi, poi scomparse, lasciando il mistero delle loro forme e del loro destino. Non aliene dal percepire la vita, secondo un ciclo di generazione e di morte, rinvenibili oggi nei giacimenti di vita fossilizzati: come il mummulite del sentire/incastrato tra i mari fermi/dell’abisso, anelli di una catena, cui la poetessa sente intimamente di appartenere: mon semblable, mon frère!. E può condividere con loro un segno di fraterno, pulsatile fremito, con l’umanità presente, sempre più ridotta, povera, persa: Quattro miliardi di tremori/ affratellano gli sparuti/e spaiati umani. Ella include e intreccia l’urto delle cellule e molecole del principio, - anima e idrogeno la stessa energialo stesso palpito, uomo e materia- con il rumore e il silenzio del SUO vissuto personale: se all’inizio c’è un bacio che fa scoccare la scintilla, anche il suo è il bacio fossile/ di conchiglia delle memorie.

Certa che La storia della terra con schianto /si evolve, ella ricostruisce parallelamente l’avventura umana, di tutti, di sé, della fine e della morte, di ogni piccola fine e di ogni piccola morte incontrata su un cammino breve e precario: infatti: La nostra piccola storia, / un’ultima pennellata di vernice/esigua traccia dell’antico affresco/sepolta nel tempo profondo….porterà - senza freccia percorribile di tempo – al definitivo commiato dal senso, nel saluto metallico /senza parole.

Non solo materia: ci sono categorie spirituali, come l’ anima, presentita anche negli esseri primordiali (la garzetta è Anima umida, Euglena è anima vegetale), su cui aleggia il mistero: Il tuo mistero d’essere Euglena!. La forma richiama il montaliano anima verde (L’anguilla). E scorre lungo i versi il senso di un laico segreto la cui rivelazione è ancora presente nelle attese degli umani . Ci sarà un’apocalissi?

Un viaggio, dunque, (il luogo della verità/ il limite estremo/ da cui parte il mio viaggio/ l’oltre dell’oltre), à rebours,quello che compie la poetessa, e noi con lei , che nasce da un’esigenza esistenziale, che la proietta verso la contemporaneità e l’istante, pur doloroso, per sempre privo dell’edenica felicità: tra sillabe mute/balbettiamo lallazione dolente. Un viaggio dentro il tempo profondo, di cui cogliere il lampo, la deflagrazione, l’urto, il turbine, lo sconquasso. Ma pure la felicità /destinica del lepidottero, la grazie delle ali non umane. Nella coscienza che Il viaggio è sempre più breve: /il mio regalo è l’attimo impermanente….

Questo viaggio dentro l’origine, è in ultima analisi, il viaggio alle sorgenti della poesia. Con la parola poetica, la poetessa è intenta a sillabare l’origine, trafitta dal sentimento del tempo e dalla ricerca della “sua “ origine, ascoltando, sul bordo dell’abisso la voce dell’oltre dell’oltre. Un percorso a ritroso, per divenire figlia dell’acqua e della poesia... Non a caso, nei commoventi versi rivolti a Neruda (corpo dell’oltre) in occasione del viaggio nel sud del mondo- mondo australe, al luogo della vita e sepoltura del poeta (che ha cavalcato indomito vita e parole), la poetessa rivive quel senso che l’ha oscuramente/chiaramente confermata del suo destino ritrovato.

Qui converge un sapere che la poetessa padroneggia pienamente, dai richiami delle religioni mesopotamiche, a quei riti (parole e riti) e miti lontani; spazia con squarci luminosi nelle numerose ed eloquenti figure del mito greco (nuotando tra i miti), così ricco di valenze antropologiche, di letture interpretative, capaci di parlare ancora e interpretare perfettamente la psicologia dell’uomo d’oggi. Accanto al sapere umanistico, convive un viraggio verso il linguaggio della scienza, esatto e ben ponderato ( si vedano: La semiosfera delle intenzioni, Amore quantico, Spiga quantica, Parole elettromagnetiche ecc ). La probabilità quantica degli eventi segna le evoluzioni del vivere.

Ogni cosa è chiamata con l’esattezza calviniana, e la chiarezza di Galileo che legge il libro della natura.


ARCHETIPI - TEMI

In questo contesto, e cotesto, i grumi di contenuto sono numerosi e variegati, e si addensano e aggregano intorno a parole tematiche che, dando il via a esplorazioni poetiche di grande fascino, portano mente e cuore a cozzare verso cuspidi di senso, alte e impegnative. Il Grande Volo è un dantesco “folle volo”, che consente alla poetessa una riflessione sulla storia umana, dal bing bang della vita all’odierno sentire umano, dei sapiens insipienti,/ anime di colpo incanutite/per ossimoro cromatico. E, contemporaneamente, le fa ripercorrere fasi e momenti della sua vita, in cui sono commisti gioia e dolore, leggerezza e consapevolezza, perdita e riconquista della sua esistenza. Molti i temi, dunque.

La scrittura poetica procede per antinomie, polarità, accumulazioni, giustapposizioni, che fluiscono in un continuum tematico e stilistico.

A partire dagli archetipi e da potenti suggestioni, si increspa la superficie del testo con una folla di corrispettivi figurali, avvolgente e trascinante.

La presenza pervasiva dell’elemento liquido-acqua tracima e porta con sè aperture su nascita, ri-nascita, rito, madre, mare...; è l’acqua a segnare l’inizio e il transito, nonché la rotta personale della poetessa: La rotta è per mari celesti/e plaghe di parole/ per divenire figlia dell’acqua / e della poesia. Non a caso, ricorre spesso il verbo nuotare (navigare), sia delle forme viventi che abitano l’acqua, sia il suo proprio e personale: nei miti, nella luce… Nella galassia dei milioni di anni esplode la luce, che è vita, nutrimento. Al TU che l’ascolta, la poetessa dice: Se mi ospiti nel vuoto/ e lo arredi di luce… qui, potrà dirsi e darsi la parola che salva. Addossata sul fondo/lavoro alla luce…a catturare il chiarore… .Euglena: Il tuo vero fine è nuotare verso la luce. E le parole della luce - quasi una mistica della luce- aprono infinite possibilità di vita, biologica e spirituale. Anche se –in chiave contrastiva - la vita Di morso in morso/di ombra in ombra/fingendo la luce nel guado… può rivelarsi ingannevole e spoglia.

Torna ricorrente il tema dell’ABISSO: per noi ospiti dell’abisso; L’abisso d’alghe della vita. Quella vita che pur scintilla energia su frequenze /sottili e misteriose, è vissuta sempre sul bordo del cratere, a tu per tu con l’abisso, quell’abisso in cui è gettato l’uomo, pur perennemente in fuga dall’abisso. Ed ecco che l’IO personale, posto ai piedi delle cose laterali alla vita, tra microcosmi disorientati al vivere /una valle fluviale dell’origine / mi sorge nelle pause… , e cerca affannosamente sentieri obliqui.

I fili all’aspo si ammatassano intorno alla vita, alla luce, all’amore. Ed anche ai loro contrapposti: i duri nodi di morte (i rintocchi delle Moire), dolore, ombra, disamore. L’universo e la terra. L’universo si dà leopardianamente immenso, inscrutabile nelle sue metamorfosi; dalla terra ( su cui si leggono le impronte delle ere geologiche: Cambriano, Quaternario…) si dà via via un restringimento spaziale fino ad arrivare al mondo della poetessa: la transizione dei mondi…. è in opposizione all’emergere di quello personale: al mio… .

Su queste antinomie, c’è tutta una scrittura di emozioni, con metafore e analogie che arricchiscono il valore del senso e si richiamano semanticamente e circolarmente in una trama solidale e composita: ali—volo…; i fili: del silenzio, parole come filamenti; filamenti di essenza ; filo spinato; la tessitura (cotta, filato, maglie, nodi…) e filati (cuscini, lino, ricamo, lenzuola). Il gioco sottile e perturbante delle contrapposizioni è percepibile nelle opposizioni tra corpo e anima; parola - silenzio; assenza – presenza; vista -cecità; luce – abisso; il pre- e l’oltre; il sapiens e il post sapiens; la preparola e l’oltreparola; il grande e il piccolo; il personale e il generale/universale. Le dimensioni del fuori e del dentro; (dentro la storia e fuori della storia); aperto /chiuso; passato/ presente. L’io e il tu. L’essere e il divenire. Mentre pervasivi e dilatati come onde senza fine sono gli aggettivi immenso, infinito, eterno con cui il confronto è improbo e inaudito. Un aggettivo ricorrente nel magma del farsi della materia, in tutto il cosmo, è ESPANSO, e ciò si ricollega alla propagazione, ma anche, per contrasto, alla diffrazione, all’interferenza.

Il limulo , per es, ha occhi espansi di biosapienza. Espansi sono gli occhi dell’universo….., espansa la vita; espansa l’anima (della poetessa)nel grande mistero astrale … Alla Sirena Melusine chiede: Rendici come te espansi…Anche l’aggettivo astrale ha molte occorrenze, a partire dalla penetrazione poetica nel cuore astrale della verità. Come la parola respiro respira e scorre lungo i versi conferendo loro la sonorità del soffio, e anche la sua immaterialità (richiamo al biblico hebel).

Tra i temi centrali risaltano la voce e la parola poetica. La parola ha il suo contrapposto nel silenzio, quello quieto e lucente: risplende anche il silenzio; e quello cupo e nullificante: silenzioso è lo schiaffo del nulla. La voce è anche grido, Grido cosmico che arriva dalle profondità delle galassie che esplodono fuori dalla storia, che giunge all’IO . Il grido è inquieto sole di mezzanotte, ma coincide con la luce: Eppure non capisco ancora/ la natura della luce/in fuga dall’abisso perturbato.

La parola è uno dei nessi tematici più forti, che ha la capacità adattiva di adeguarsi ai contesti evocati, anche scientifici (come: parola embrione, refrattaria, elettromagnetiche, anguilla elettrica…), e luoghi topici dell’anima e del corpo, capaci di suscitare fasci d’oro di emozioni, (l’oro della parola pronunciata) mentre la poetessa si sente talvolta non all’altezza nell’arduo cammino poetico: io Mida impoverita/ tento alchimie bronzee di parole. Del resto, la scrittura poetica è lo strumento elettivo di comunicazione, che può trasformare le esperienze in conoscenza e coscienza. E attingere le misteriose sinuosità dell’essere. Per questo, la poetessa si riconosce pellegrina, alla sorgente della parola, cui abbeverarsi e placare l’arsura della sete.

E il suo lavorio sulla parola poetica è costante, operoso, lavora per illuminazioni e intuizioni, vocata a un telos incoercibile, che approdi a un risultato raggiunto: Lavoro a maglia le parole…

Fin dai primi versi si evoca, ad es., una parola che si fa testimonianza, volta ad auscultare anche le più piccole e insignificanti vibrazioni delle vite sulla terra, raccolte con sorpresa, tenerezza, partecipazione. Si chiedeva Celan: “dove arde una parola che testimoni per noi due?” (Cristallo di respiro). Queste vite portano dentro un presagio destinico che commuove e sommuove l’anima. In esse traluce un afflato etico, di pietas, di solidarietà con tutto il vivente.

Questa parola- che a volte non dà la salvezza – in altri contesti, di relazione e amore avrà la ventura di entrare nel circuito salvifico: Mi salverai se mi giunga /un tuo lampo di voce, leggera/cifra d’oro scampata /al piombo del nulla.

Il richiamo alla memoria è ricchissimo di significato, condotto con analogie e immagini che suscitano dolcezza e nostalgia nel loro lento respirare dentro di noi: i capillari dei ricordi; le pieghe ondose di memoria; la calce viva di memoria; i fiordi di memoria;; i granuli di memoria/ son sabbia d’amore/, mentre la memoria cerca carezze nella luce.

Altro nucleo tematico è connesso all’immagine del salire: saliamo dal fondo del tempo; e all’idea del salto. In questo immenso, infinito salto nel tempo e nelle specie, con salti discontinui , la poetessa è in cerca della corda dell’origine / il groviglio di filo dell’Inizio/ per raggiungere il bandolo primo. Il salto è spesso legato al tuffo, altra parola ricorrente, sempre correlata all’immenso, al mondo stellare e dei pianeti: tuffo cosmogonico. Il tuffo verticale nel destino (con bella allitterazione del fonema esplosivo /t/ che isola il momento puntuale della fine nel groviglio inconoscibile del destino).

Quel salto che ha permesso evoluzione e specializzazione; mutamento in altre forme, metamorfismo e trasformazione. Ma non solo vita biologica, ma anche mentale, psicologica, emotiva, evidenziata nell’icastica, scultorea immagine della persona con la mano sul mento, a simboleggiare : il salto del conoscere … Infatti: Dall’Acheulano, il salto del conoscere/ mi porta qui, la mano sul mento/ a caccia di senso, nomade di pensiero, /avvitata su una sedia/a esplorare spazi dentro.. Ancora, a compiersi è Il salto dalla parola alla luce; Come anche Oscura è ogni parola /che non salti nella luce. E, infine, c’è la consapevolezza che la morte è l’ultimo salto per tutti gli organismi viventi. E pure salto è anche il desiderio, il superamento, l’andare oltre il confine segnato: l’acrobazia della specie: con titanico slancio di balena /salto anch’io nell’oltre.

La bellissima, produttiva suggestione dell’uno e del due illumina tutta la silloge, striata di luce filosofica e poetica, una sorta di fil rouge che attraversa i versi. Dall’uno, iniziale, primordiale, filosoficamente intercettato, (Euglena viene dall’uno; il tempo Uno del fuoco…) si genera - nell’incontro- l’altro. Il coagulo di l’energia - imprevedibile incontro di enzimi- accende una chimica misteriosa, che è voce, corpo, contatto, fusione. Se ovunque fu sguardo di due/occhi e molecole a specchio….. La similitudine fissa il momento topico: come l’incontro dei due buchi neri/in un angolo di universo….

La diade Io – tu – il due dell’incontro - costituisce dunque l’ irriducibile alterità della vita, la meravigliosa avventura della coppia, il filo che si attorciglia nell’immensità del tempo, nel battito doppio del cuore; nella elica doppia della vita. Un noi che ci fissa nel nostro destino: (come una supernova) deflagrare d’amore / venuti dal nulla /al nulla tornati. Le liriche cantano in musica dolce l’incedere dei pronomi, nella gioia e nel tormento:“La modulazione dei due/irriducibili nostri pronomi. Il doppio si genera infinitamente e ciò che si è reso comune si fa noi. Questi soggetti grammaticali (io, tu, noi) diventano la spia semantica della ricognizione emozionale della poetessa, la Coscienza che assume, sussume in sé il tutto, espresso nella feconda ariosità del canto, libero, a-razionale, emotivo. Dai tempi antichissimi, quando il gibbone si disponeva a cantare il preumano canto d’amore dei due.

L’avventura dei due non è solo generale e pubblica, ma anche privata. La poetessa scava anche nella sua storia; dialoga con i suoi genitori, il due per eccellenza: Mi aggomitolo nel dialogo muto /con i miei Lari. E se per la madre perduta sale il lamento per un’esanime assenza, ella è riconosciuta incenso fragrante/inesauribile d’amore. E sempre in questo contesto, che si fa metatesto, ci sono lacerti della sua storia di donna, di fronte alla catena d’amore /disamore, di vuoto e di nulla, il che lascia trasparire il senso della vita giocato tra probabilità e possibilità, illusioni e ingannevoli percezioni. Ripensando Ai residui di combustione lasciati da amori ed esperienze, si rivolge a un tu, da cui emerge il vuoto di una traversata di conoscenza dell’altro, che lascia in mano i giunchi lacerati, mentre l’attimo mancato fotografa il tuo nulla.

La montaliana Occasione si è offerta alla poetessa come non detta possibilità: La nostra occasione era/dell’ordine implicito,/alga flottante nell’indeterminato,/la probabilità quantica degli eventi. Tuttavia ha lasciato un retrogusto amaro : di te, solo parvenza…nel sogno fumoso del possibile; alla fine, sciolto in liquida assenza. L’errore di crederti vero appanna inesorabilmente la vita, nel crudo gioco verità/illusione, vita combattuta nel corpo a corpo con le illusioni.

Sono dunque Onde di probabilità le cose/ e i passi nostri nel mondo parallelo.….

Il viaggio esistenziale, personale e storico (anche nell’antistoria) si intreccia al centrale tema dell’amore, che è origine dell’universo, ma anche portatore del suo opposto, il dolore (La cresta alta del dolore/pénible acconciatura), quando, ad es., si combatte la dura distanza del disamore. Quello che tra gli animali è trillo d’amore congiunto non sempre corrisponde a come l’uomo moderno lo vive oggi. Nelle creature antiche v’è un’eccedenza d’amore, mentre E noi, ai piedi del tutto/solo misere frane/ e cadute d’amore senza suoni. Di fronte alla solitudine umana, nell’indigenza e povertà dei sentimenti sfocati, nella coscienza del nulla, la poetessa si rivolge all’uomo, riconoscendone l’essere spoglio e deprivato: Tu, povero uomo/ risucchiato dalla specie, minerale uniforme. E chiede al Cittadino del niente: Riscatta d’amore l’inesistenza nostra/porta le rose dell’universo… L’amore dunque, come chiave dell’universo, motore immobile, germe di vita. Di fronte all’esilio del cuore, la poetessa osa l’inosabile: riparto dalle radici prime/ dell’inesistere, tra steli di chimere in cerca d’azzurro, una capriola d’amore/ in fuga dall’abisso.

E il dolore del disorientamento dà il sentimento dell’esilio, della dislocazione, in cui il soggetto poetico vive un allontanamento o una cacciata, e Le valigie cucite con la tela dei giorni/ondeggiano di ricordi bambini. Tutto intorno cresce erba, cresce silenzio/ e la parola cade / per assenza di labbra/ per assenza di respiro. Dunque, bisogna ripartire: dalle radici prime/dell’inesistere…

La diade anima e corpo attraversa i versi, quando alludono per es., al pungolo d’amore che intride platonicamente l’anima: Così è il mio pensiero di te,/agglutinato amore impresso/in retina d’anima. Del corpo appaiono in dettaglio le mani in efficacissimi squarci:

le cose sovrapposte in un abbraccio/ si fanno miraggio per le mie mani/in perenne disincontro con le tue. (Alla madre);

Sono grata al tuo profilo fresco di mistero/ e all’onda piena dei tutoi occhi/che ricompone la ferita del vuoto/intorno alle mie mani,/disgregate per assenza d origine (A Maria M.);

La cresta alta del dolore/ - pénible acconciatura- / il disordine invisibile/tra le mani incapacitate/ di ricomporre minimi orditi;

E ora riprendo la strada del dire,/il cammino a ostacoli/tra le sillabe refrattarie,/ le mie mani in preghiera/intorno alla parola.

Molto presente si rivela e disvela la dimensione del sacro, di chi sta sulla soglia di un recinto in cui avvengono i prodigi. Dimensione attinta dalle incursioni della poetessa nelle civiltà antiche, mesopotamiche, ma anche nelle civiltà precolombiane dove il rito si manifesta nella sua terribilità (Juanita: bimba bellissima e martire/ ….riemersa intatta dalla non storia/ dalle fauci dell’umana follia). Dimensione che attraversa molti passaggi, rivelata da una semantica che attiene al tempio, al prodigio, al sacrario, e si riconosce nelle epifanie di dei e dee (la signora delle rive…, dio del prodigio.., dee della Sorpresa…). In un mattino dove tutto ha origine, la poetessa è dentro a un rito per sillabare l’origine; per il trasmigrare sacro/ all’inizio dell’universo. Veste panni rituali, si colora il viso di bianco, si asperge con sacri liquidi. L’esperienza del rito e del sacro la porta a Trascendere a ritroso, / in Tuffo cosmogonico/nel cuore paleozoico dell’abisso/ a dirompere l’origine/nel prodigio supremo della forma. Trasmutata in alga, tra ondeggiamenti e oscillazioni per moto e genere, avverte il suo geminare / gemmare d’anima, stato fluido di vita oscillante. In questo contesto di sacralità, di geminazione – gemmazione, germinazione e germoglio, acquista grande rilievo il tema della rinascita. La vita ferve di nascite continue, che si susseguono nelle stagioni millenarie : la diaspora colorata dei pollini risorti; e la lampreda muore dopo l’amore nella infinita semina nascente che lasci. Nascita e morte è il ciclo infinito, nella fecondità dell’acqua e del seme in terra. Il soggetto lirico rinascerà “sciolta nelle tue acque”, nel grande alveo liquido dei primordi; o anche come “incendio elettrico”, nel palpito, danza perenne, oscuro mistero della vita, dall’alba prebiotica /all’oltreparola inabissata.

E per questo viaggio, ritorno alle fonti della vita e a lampi di dolore sofferto, rivolgendosi alla dea sumera, la poetessa invoca: Tra nuove spighe di scrittura /Forgia per me germogli di respiro/ Biondi di rinascita.


Ancora, il tema del corpo, in dualità con l’anima e le facoltà superiori, coinvolge tutto lo spettro dei SENSI con cui la poetessa coglie le mutazioni dall’Origine. L’olfatto inspira pagine di profumi, estasi olfattive; il dire diventa sapore…, ma sono focalizzati in special modo l’udito (la lente dell’udito); e la vista. Sensi con i quali la poetessa trova oggi una continuità nella diversità, diversità nelle creature di un tempo, altamente organizzata, di pura naturalità capace di significare anche nell’oggi , con messaggi di perfezione biologica, che la poetessa chiede di condividere (insegnami, prestami…ecc.)

Per l’udito scorre in tutte le liriche il suono emesso dalle specie viventi, che la poetessa ode salire dalle profondità del tempo. La piccola Dryiopiteca vive uno stadio di preparola, nella Garzetta: ti nasce una voce d’amore, poiché l’amore è suono, in ogni specie; ne Il canto dei due gibboni: Scimmia minore, e immensa /prima depositaria dell’armonia /musicale nella tua voce ) , tu che canti conferme d’amore, giungono all’oggi le parole oltrelingua del tuo gorgheggio. In Megattera, , il canto è, analogicamente, il primitivo canto dei cetacei , in cerca del compagno/compagna, giunto fino a noi : canto cetaceo del mistero.

I suoni dei nostri antenati – armonizzati con il respiro di un universo d’amore– hanno il loro controcanto con l’infinita canzone che si leva dalle labbra della poesia. A questi suoni / queste voci (quelle in cui, come per la garzetta: Natura /in te canta armonia) si oppongono le disarmonie umane. E la parola - così necessaria agli umani – ma pure, embrionale e originaria, segretamente compresa anche dalle antiche creature permette di intessere con loro un dialogo, quasi in una dimensione edenica, prima dei bivi della storia (prima dei bivi tra le dimensioni) e delle mutazione genetiche , prima del diluvio. In Megattera la poetessa ricupera una parola “per parlarti più da vicino” , certa che essa possa capire un alfabeto misteriosamente condiviso. Ed è una voce d’amore quella che le specie si sono scambiate, nella materialità del corpo, nella profondità del messaggio amoroso che schiude la vita, e perpetua generazione e rinascita: Corpo di parole, corpo d’amore . E poiché la parola- suono è un codice che appartiene anche alle creature del passato, la poetessa dona loro la nostra parola, in un interscambio in cui empatia e solidarietà annullano il tempo (scardinato il bivio del tempo): io dono alla tua mutante livrea /il salmastro di una parola embrione /che risalga il letto del tempo/nuda di pelle e consegna all’oltre. Ad Euglena, alga fiorita di parole, la poetessa addirittura scrive, lei,che possiede chiavi sofisticate per sondare la misura del tempo che la distanzia dall’inizio della vita, e i segni dei mutamenti, sprofondata nel tempo sparito/da cui vengo/ nutrita da cellule di parole per scavare/ l’origine, ti scrivo dall’abisso.

L’altro senso, la vista, apre ad orizzonti inediti, nel momento in cui la poetessa si china ad osservare le capacità visive delle antiche creature, che hanno organi misteriosi con cui vedere, sentire, percepire lo spazio intorno a loro, l’ombra e la luce. Del limulo, la poetessa esalta la vista di notte espansa a milioni/il tuo sguardo multiplo, sbarrato di immenso,/ per navigare intatta la notte del tempo. Rivolgendosi alla lampreda , essa è riconosciuta, in una tramatura retorica di antitesi, come fuoco viaggiante di chiarore/ che spegne il vedere aperto/per schiudere il sommesso nel fondo // spingi la terza pupilla /inverando la luce dell’abisso… Così pure Euglena (la buona pupilla), il cui vero fine è nuotare verso la luce/ e intercettarla per farti anima vegetale, /psicosintesi clorofilliana, (grazie alla quale si nutre per fotosintesi), con cui la poetessa trova una certa familiarità: cacciatrice di luce/sono come te, Euglena/pupilla senza occhi. Allo stesso modo, ella chiede al Limulo – che ha più occhi che corpo - : Tu che nuoti con gli occhi / leggi anche la mia direzione/il mio nuoto disorientato/affidato ai tuoi occhi d’origine /espansi di biosapienza.

E ancora: se solo io sapessi guardare come /la tua fronte forata /senza sguardo, /trapasso di tutti gli orizzonti…. Ad essi chiede di farla compartecipe della loro natura, quasi volendo rubare il mistero del loro passaggio, caratterizzato da singolare unicità, lungo la catena d’amore. Alla garzetta dice: Prestami il tuo viaggio felice/ i tuffi d’aria mimati nel cuore… Al Limulo chiede: guarda il tutto per me/fammi sorella della visione obliqua, /come te, segugia acquea della luce… Al gibbone dice: tu che hai colmato per unicità così tanto / le distanze che mi arrivi/caldavociante a rinnovare la vita…

Tutte le sensazioni sono presenti: a partire dai suoni, frequentemente evocati e connessi alle parole e altri sensi. Anche noi cogliamo le sensazioni olfattive: si sprigiona il profumo …..; visive, tattili…. I colori fanno parte integrante del tessuto /trama poetico: il sangue della notte, le ore rosse, il gesto verde, lo scorrere verde; malinconia viola… L’azzurro, nelle sue gradazioni e tonalità, è adatto a penetrare pensiero e sentimento nella loro profondità metafisica e spirituale: il sentimento azzurro, le lacrime azzurre; lo stupore turchese dell’estasi; il sogno blu, i pensieri azzurri, e, infine, le frasi nere… I fili dei colori dunque tessono una tramatura intensa di evidenze cromatiche, dove si avvicenda il bianco (racconti bianchi), (un assolo di bianco) che ha uno statuto particolare: Trattiene l’eterno; è assenza, è il ghiaccio entro cui vorticano i poli del noi; evoca i mandorli in fiore/impazziti di bianco. ….Tutti questi colori intessono quelle parole che la poetessa ritrova in una lenta discesa negli abissi del cuore, ma pure nelle epifanie astronomiche di mondi incorrotti : parole ultraviolette, le parole purpuree…nelle apocalissi di luce…

In questo lavorio della parola la poetessa gioca con le analogie, le sinestesie, che le consentono di intrecciare sensazioni e metterci nel montaliano cuore di una verità .


Piano LINGUISTICO


In questo andare, e controcorrente risalire il tempo, assistiamo al dipanarsi di un linguaggio con cui la poetessa percepisce il respiro di una aurorale, atemporale, prima scintilla del mondo, e la parola poetica, una sorta di Fiat lux, metamorfica e ardente, assume molteplici connotazioni e modulazioni, accende colori e nuances di grande suggestione. Non v’è lirica che non metta in parallelo lo sfondo di un mondo in mutamento, e la vita della poetessa stessa, alternando i pronomi dell’io, del tu, del noi. E non v’è lirica in cui lei, abitando l’abisso – ti scrivo dall’abisso - non si ponga in dialogo con le creature (ormai estinte) e si rivolga direttamente a loro, con tenerezza e commozione, perché in essi vede elementi di scambio: lei impara da loro, intuisce, coglie, chiede di prestarle ecc.. Vede in loro gli interlocutori di un dialogo sentito, umano, vibrato, piegato sulla indigente e indifesa loro materialità, sepolta nei secoli e rimasta impressa nella roccia, nella durezza dei minerali che ne imprigionano lo scheletro. E il dialogo è comunicazione, incontro, amalgama spirituale, evocazione, parola. Che congiunge gli astri (si veda la predilezione per l’aggettivo astrale) alla terra.

LA LINGUA è l’ elemento preziosissimo che ci mette nel cuore della poesia di G. Cinti. Ritroviamo un Lessico ricchissimo (valga la già nominata grande precisione scientifica che presiede per es., alla nominazione delle specie delle creature viventi; ai fatti attinenti alle aree della chimica, della fisica, della grande orchestrazione dei fenomeni elettrici e magnetici dell’universo …ecc. La precisione lessicale si coniuga al più vago linguaggio poetico (come dice Leopardi nello Zibaldone), quello che scava nell’anima e ne trae i succhi più reconditi. Il passaggio dal piano denotativo a quello connotativo avviene con l’uso di metafore che rende ricco, denso, intenso il textum.

Un utilizzo serrato delle figure retoriche rende mosso il dettato poetico, caricato di valenze foniche e simboliche di squisita bellezza, come opalescenze su pietra screziata. Una dosata e sottile venatura di callida iunctura presiede a molte formazioni di sintagmi, grazie alla quale il termine comune si risemantizza in una nuova e alta espressione poetica. Per le figure di suono risaltano, ad es., gli effetti di allitterazione, sparsi abbondantemente nei significanti a corroborare i significati. Si veda in qualche esempio, la suggestione fonica dell’allitterazione nel poemetto (il secondo nella successione delle liriche, che appare come un manifesto di poetica) nel verso: il primo moto/ per onde, della materia, dove la ripetizione delle nasali –m, –n, suscita l’immagine acustica del primordiale, vigoroso, cosmico, movimento ondoso della materia che prenderà forma. Oppure: vedo…..verdeggiare il prato sommerso, dove il fonema /r/ allittera fortemente e induce l’immagine del colore che si stempera nel fondale del mare, come carezza spaziale nella profondità verticale e orizzontale. E, sempre la vibrante alveolare –r, risuona ripetutamente nel verso: e vibrare per rimbalzi il coraggio dell’origine, dandoci il senso di un balzo, il guizzo, lo scossone della forza primigenia, possente e temeraria. Ancora, nel bellissimo: nel tempo strappato, l’esplosiva sorda –t ci rivela la violenza dello strappo, l’ ineluttabile condanna; Il Frinire funebre comunica un metaforico, luttuoso suono. Oppure, l’allitterazione culmina in una forma sillabica ne il respiro respinto; (parole) rotonde e roteanti; prese prede

Moltissimi gli enjambéments, che evocano lontane e arcane cesure e consonanze, per es., tra i versi: vortice /elettrico nel cosmo; meraviglie in corteo/ di ascesa; armonia /musicale nella tua voce; più deserto/dell’inesistente;mani/d’anima; la felicità /destinica; a bordo/ di nubi ecc

Per le figure di ordine, si notino il chiasmo: il nome del vuoto nel vuoto del nome; così pure l’antitesi: (Tu )rivelata in radioso nitore/propizio al mio sfocato incedere… ; nel luogo/ dell’indicibile dove mi ostino a nominarti; il silenzio /squilla di presenza.

Molto presenti asindeto e polisindeto, che vanno l’uno ad accelerare il ritmo, a dargli maggiore movimento ed efficacia, l’altro a renderlo più espanso e rallentato. Per il primo: Anguilla arcaica del sogno,/ migratrice per sorte,/ predatrice del mistero… Per il secondo: salvo la certezza di farmi luce/e potertela raccontare/ e trasmetterti la danza…

Frequenti le similitudini ( figure di significato) : mi aggiro, come i primi organismi /viventi senza ossigeno…; come il granchio ossirinco…come il paguro, come il dorippo…che cadenzano anaforicamente; anche in altri liriche il come è disposto anaforicamente. Sempre in ambito di significato, si avvicendano ossimori: sillabe mute; dialogo muto; presente/ assente; giardino smarrito; lutto purpureo; guizzo immobile; veggente cieca…..; Frequentissime e produttive le metafore: i fili d’erba che noi siamo; atomo annidato di parole… il volo della vita; ; la carlinga è la pancia di metallo… La pagina si arricchisce di sinestesie: corpo della voce; zampilla di suoni sulla pelle, suoni della luce; bramito di luce, stami di suoni, tastare la luce

Il testo poetico è trapuntato di fecondi e felicissimi sintagmi analogici, un’arte sottile, ma pure concreta e visionaria, che salda confini di senso di diversi materiali verbali col guizzo del lampo e il suo immanente fulgore: corpo della voce; ubriachi di miele nella voce; lente del mistero; tunnel di pupille; polvere di visione….bambina gomitolo; Respiro biondo di rinascita; tunnel di pupille; i nidi del cuore E, ancora, la sineddoche si espande…. per es. nel gesto di salutare i fazzoletti , di ascendenza simbolista; la metonimia in iride addensata…ciglia di luna…..

Si nota, in special modo, l’uso di diverse parole in cui è frequente il ricorso al prefisso negativo dis- in forme verbali o sostantivate: disordinata (salvezza); disamore, disincontro, disallineato; dismesso; disappartenere, disnera, dissonanze, nuoto disorientato; mani disgregate. Esse rendono bene l’idea di una condizione negativa del cuore, della sottrazione più e più volte menzionata, che danno la connotazione dello scacco, dello smarrimento, di un andare su percorsi divergenti che creano spiazzamento e dolore.

Compaiono parole “nuove”, sintesi di impressioni e sensazioni: acqueaerea (garzetta); cielacqua…

Alcuni riferimenti intertestuali portano a Montale, (ad es., il tema del varco), e anche a Eliot della Terra desolata. Valgano da esempio queste estrapolazioni:


La poetessa evoca Il tempo serrato senza varchi girevoli

MONTALE: la maglia rotta nella rete che ci stringe; (In limine);

Il varco è qui? (La casa dei doganieri).

Talora ci si aspetta/ di scoprire uno sbaglio di Natura/ il punto morto del mondo/l’anello che non tiene/ il filo da disbrogliare / che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità. (I limoni)

ELIOT


CINTI Avrei voluto brucare la vita/su palmi d’amore;

ELIOT: Avrei voluto essere un paio di ruvidi artigli /che corrono sul fondo di mari silenziosi (La terra desolata)

CINTI: prestami ali e unghie per volare/ e ferire

La poetessa è vicina, dentro, alla grande tradizione in cui il protagonista è l’uomo moderno, perduto e gettato nel mondo; in una cifra di dolore e sperdimento, pur sempre anello di una catena che unisce i destini inspiegabili della vita, che si è espansa da un prima misterioso. Ma tuttavia esiste una possibilità di riscatto (Cittadino del niente: Riscatta d’amore l’inesistenza nostra/porta le rose dell’universo… ) in un’apertura d’amore e di empatia col vivente. Qui ci può essere una dimensione salvifica.

Ma forse: … Noè non ci salva più?




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