NOTE a Margine - Gisella Blanco
Salutare
Il bacio è quel fiato rimasto sospeso
tra labbra già lontane, non telefonarsi
dopo, non esistere che tra le ruote
della lontananza, la duna che accompagna la caduta,
scivolami sul petto ma non stenderti, la concisione
del nero a separare le cose, una missione
imperfetta tutta questa nominazione
che sfugge alla metrica, e la riassesta
seguendo il verso, ma è già un concetto
controverso, e scrivere scrivere scrivere
-qualcuno sarà ancora pubblico?- e ricordare la storia
nei colori dei vestiti, è questo tutto il mio pudore, torna
alla prima parola spesa, perfino la pelle si riconduce
a una forma tesa, articolata nel lusso della troppa cura,
della misura sempre sbagliata, dell’omissione del desiderio,
speravo fosse tardi per il saluto, e non è salutare
la chiave del corpo, non è salutare
Pur ritenendo alcune poesie delle opere aperte, sempre in via di definizione e senza un’interpretazione assoluta ed esaustiva, si possono ritrovare dei profili di senso, indizi ermeneutici ricorrenti, suggestioni che invitano il lettore a certi percorsi di ragionamento.
E dico ragionamento perché la poesia - non sempre e non necessariamente - è solo intuizione e istinto.
Se il suono precede il senso, la scelta di alcune figure retoriche (anafore come refrain, assonanze e consonanze, paronomasie, allitterazioni, rime in mezzo) anziché altre è già un’impronta che l’io dicente, pur volendo (fintamente) sparire, (realisticamente) lascia scalfita dell’immaginario dell’interlocutore.
L’elemento personale, la radice di esperienza privata c’è, anche se rimane criptica. Il verso segue un andamento metrico abnorme, invade lo spazio tipografico, sembra voler protrarre il respiro in una prosodia illusoriamente prosaica.
Il riferimento al linguaggio, alle sue potenzialità e alle sue insidie – uno dei punti cardinali della mia attuale ricerca poetica – sembra partecipare della decodificazione dei fatti attraverso una meta-testualità che richiama anche la meta-letterarietà.
E se nel mentre che si vive, che si fanno esperienze, che si ama (a volte anche di nascosto a sé stessi) e che si creano pre-concetti per salvarsi dalla ferocia dei concetti, la domanda auto-posta e auto-imposta sul famigerato “pubblico della poesia” è più che mai d’uopo, nella speranza che il dubbio possa incrinare le facili certezze della scrittura e con l’auspicio che ogni scrivente possa essere anche, per prima cosa, il proprio severo giudice.
Le appena accennate polemiche sulle molte ossessioni del contemporaneo giocano tra di loro sul campo di un calembour drammatico e, contemporaneamente, ilare, lasciando agli slittamenti semantici il compito di trascinare il referente il più in là possibile.
E nella doppia valenza della parola “salutare” si contendono la supremazia (o la verità impossibile) i molti probabilistici esiti non solo del testo ma anche della vita, fosse solo per il tempo di un verso.
Come dissentire?