Giuseppe Carlo Airaghi, La somma di quel che restava da dire
Sul bordo delle cose
Si finisce così a guardare il mare
nei vuoti pomeriggi di inverno,
a cercare la linea dove diventa cielo
si capovolge e ci confonde.
Si finisce così a scrivere parole
sui bordi bianchi dei giornali,
a vederle bruciare
e confondersi con la nebbia.
Excusatio non petita...
Nato in un paese di modesti temporali,
in un tempo rassegnato alla brina,
non mi resta che ambire
ad una mediocrità accettabile,
guardare scivolare le nuvole
oltre la linea affilata dei tetti
mentre con il coltello da cucina
tolgo le punte ai fagiolini
e canto canzoni a bocca chiusa.
La visione del mondo dal mio letto
Lo specchio sulla cassettiera
mostra il vuoto della parete bianca.
Se mi sposto, anche di poco,
svela una macchia di ciclamino poggiata
sopra il muro cieco del cortile
oltre il quale si spalanca il riflesso
di un cielo inoffensivo, bianco
come il palmo di una mano incisa
dai solchi della luce filtrata
tra le aste delle persiane.
Lo specchio sulla cassettiera
spalanca assenze, le colma,
accoglie prospettive insospettate:
il viso di un uomo mi guarda stupito
dal bordo di una foto di gruppo,
non sorride come gli altri compagni
ai giorni che dovranno venire,
ne agli sguardi che giudicheranno le pose,
al caso in procinto
di mutarsi in destino,
alle asserzioni sconfessate
da un breve riflesso di luce.
I miracoli elementari
Il canto inaspettato dell'allodola
nell'aria di questa notte periferica
separa il prima dal dopo,
il buio del cuscino
dall'interruttore della luce,
il sonno interrotto
dal passo assonnato.
Il canto inaudito dell'allodola,
precipitato dalla finestra del bagno,
accompagna oltre la sua sospensione
la mia notturna minzione
e fa delle ore di questa notte periferica
un'unica, confusa, attesa dell'alba.
Conciliato con l'imminenza
di questa quotidiana resurrezione
non posso dimostrare di essere sveglio,
ma di essere vivo si,
confortato dal canto che si alza incredibile
dalle aiuole alberate del condominio
che incombe sulle mie finestre spalancate.
I miracoli elementari e inaspettati
ti inchiodano, seduto sull'asse del cesso,
ad una possibile fugace felicità,
mentre il buio si arrende
all'abbraccio dell'alba
con un sonoro, ostentato sbadiglio.
Basta così poco
A volte basta così poco,
quasi un niente, un brivido
che ci fa socchiudere gli occhi,
un cambio di luce improvvisa
in un pomeriggio di nubi radenti,
un paesaggio disegnato dai ricordi
dove il tramonto, iniziato da una costa di monte,
rievoca i nomi di certi luoghi
che abbiamo creduto di vedere.
A volte basta così poco
per essere infelici.
Lo strillo dell'ambulanza
Colpisce le viscere,
prima ancora che la ragione,
lo strillo animale dell'ambulanza
che risale onde a onde la statale
verso la salvezza implorata.
I figli, indifesi, sono là fuori
a penetrare la città senza luna,
immensa e cieca da smarrirsi
agli incroci inesplorati
sotto le luci intermittenti
dei semafori lampeggianti.
I figli, indifesi, sono là fuori,
slegati dall'abbraccio dei padri,
a succhiare temerari la polpa della vita
che pretendono gli spetti di diritto
nell'incoscienza di una giovinezza sconfinata,
convinti di essere immortali e inviolabili e puri
nella notte che li esalta e li provoca
e li fa rabbrividire.
In tutte le notti che seguiranno,
di cui non avranno coscienza,
veglieremo alle finestre la loro fame di vita
e la nostra pesante attesa
non li renderà per questo meno leggeri
e sventati
e felici
e provvisoriamente immortali.
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