Giacomo Bellitto, TRACCE Track 1: Fucked Gen
Parlami ancora di come ti hanno convinto a prendere tutte quelle lauree e di come poi ti hanno fatto firmare un contratto part-time più instabile dell’autostima di tutta una generazione barattata volontariamente per la pace sociale. Che se ne avessi avuta di autostima, avresti dovuto dar fuoco a tutto. E piazzare bombe. Ma non si poteva fare diversamente: gli addomesticati non fanno rivoluzioni.
Parlami ancora di come ti hanno convinto ad assecondare i sogni campati per aria di un diciottenne che non aveva neanche il cervello tutto formato, senza leggerti cosa le statistiche sull’occupazione vietavano all’intelligenza. Ma alla fine, chi puoi dire ti abbia veramente convinto di qualcosa? Tutta una serie di errori da periferia dell’impero, che fanno quelli che sono già poveri in partenza e non hanno gente sveglia alle spalle che li prenda a sberle forti con pratico istinto pedagogico. Sberle solide, anziché farti svolazzare libero il cranio con le iniziative più assurde per salvare il mondo o fare mirabilia nelle discipline delle arti e dello spettacolo, prima di capire che all’Università non gliene importa niente, e i titoli dei corsi se li inventano perché la tua retta serve per pagare il posto all’ennesimo figlio di barone. È così: i pochi gradini sono di chi se li prende prima o prima già ci stava. Prima. Ora è tardi. Puoi rimanere in basso con gli altri. E avresti comunque odiato a morte qualunque schiaffo e fatto al contrario.
Cominciano presto a truffarti col marketing dei sogni. I tuoi. Che poi, non mi risulta gliene sia mai importato a nessuno dell’ennesimo dottore in cose inutili e inflazionate alla facoltà di Barbie, che, il giorno dopo la laurea, si scopre dentro come massima aspirazione il lavoro in un call center. Così! Per molestare la sera i vecchi proff. del liceo che, nel frattempo, sono andati in pensione e percepiscono a colpo quello che per te sono tre mensilità pagate con calma e non per tutto l’anno. Gente d’altri tempi: come facevano a dirti cose sensate in un mondo che cambia alla velocità dello zapping serale alla TV? Anche fare il loro mestiere, per arrivare presto dall’altra parte e spiegare bene ai ragazzini come funziona, è impossibile. Non te lo fanno fare. Quando sei lì lì, ti accorgi di essere ancora precario, ma con la prostata ingrossata e gli esami del sangue che non vanno: rischi di non arrivarci alla cattedra. Che bello sarebbe stato fare il bidello! Meno contatti con la gente e nessuno coi genitori che ti fanno guerra per principio. Sei un animatore. Senza, servirebbe la babysitter. Dovevi fare la babysitter!
È dalla fine degli anni settanta che ci hanno svuotato, perché si sa che gente istruita, con idee e prospettive stabili e a migliorare, è stranamente più propensa a questionare. Quanti morti. Quanta paura. E allora via tutto, via tutta la sicurezza e anche un bel po’ di istruzione. Tutti troppo qualificati, ma non abbastanza specializzati. Disimpegnati! Vai avanti e demansionati! Paga per lavorare, che fai esperienza! Adolescenza infinita. Un’identità che non quaglia mai. Per sopravvivere devi annaspare il più possibile: è così che si evitano i dubbi esistenziali e le pretese sui diritti sociali. La gente si lascia fare di tutto.
Non è che i sogni non servano. È che non hanno niente a che fare col fatto che i soldi sono intestati sempre agli stessi. I libri di storia non hanno molta fantasia per i cognomi. La Storia saremmo anche noi. Ma la Storia non interessa a nessuno e nessuno se la legge più. Nessuno sa più chi è. Siamo noi che non leggiamo chi siamo e cosa ci capita. Forse non siamo più capaci. Che scrittura ci vuole per parlare di ’sta cosa fatta di gente che si mangia i propri escrementi zuccherati? Tutti contro tutti, come i piccioni sul pane nel loro guano. Scriviamo una storia dalla quale siamo distratti dal mutuo e dalla scadenza del contratto. Frasi brevi, sintassi slacciata e disattenta. Lascia perdere l’ortografia. Scriviamo tutti ma non legge nessuno – già sentita questa?
I sogni ti riempiono di benzina un cuore che scoppia fuori giri, innamorato del lavoro più bello del modo. Questo fa di te un’anima bella. Ma i tuoi sogni sono stati creati a tavolino dalla precedente generazione di pubblicitari. E diventa tutto un contorno inseguendo illusioni. Attività collaterali per mantenere quello che sembra l’unico residuo di identità che ti trascini fin da piccolo. E che, guarda caso, ti è costato tutto quello che ti serviva per fare una vita normale e magari una famiglia. Corri così tanto per questa roba che non te ne frega se nel frattempo stai diventando fascista o qualunquista. Domani sarai qualcos’altro. Liquidi liquidi. Bendati a correre per far girare la macina di quegli altri. Sempre di quegli altri. Cannibalismo relazionale e professionale come motivo di vita e sostentamento. Siamo al cannibalismo.
Liquidi liquidi. Che non sai più chi sei con chi. Liquidi liquidi. Che ci si lascia e ci si prende. Relazioni a buffet: si consuma scomodi in piedi. E in fretta. Che gusto ti rimane? Quello di un aperitivo pagato troppo per non fare brutta figura con gli amici. Che mestiere fai e cosa pensi? Domani sarà diverso. Ti difendi come puoi dalla confusione chiudendoti in casa a coltivare una vita in perdita. Lavoro, una casa, una famiglia… che bella sarebbe stata una bambina coi capelli rossi! E tu invece figlio per sempre che accetta soldi da mamma e papà fin oltre l’età logica della dignità. Possibilmente nella pace solitaria della neotenia. Nel giro di una generazione ci siamo svegliati sudati in un’epoca, difficile da capire per i non nativi, in cui a quarant’anni si è dei ragazzini appena usciti dal guscio con un futuro a vista e incertissimo. Fare i giovani per sempre: scherzo dell’addomesticamento. Ma non vi preoccupate: prostata e colesterolo arrivano lo stesso. Loro sono naturali. Questa vita non lo è. O almeno non lo era ieri. Ogni tanto, di notte, ti chiedi perché non te ne sei andato all’estero anche tu e non ci sei rimasto. Là avresti potuto insultare e odiare tutti, sapendo che se le cose stavano nel fango, non era colpa tua e di quello che avevano votato i tuoi parenti nei trent’anni precedenti. Votare solo per fare un dispetto: che idea deficiente. Quanto sono insopportabili i telegiornali e la politica: dopo tutto un’istruzione ce l’hai! Non si può ascoltare tutto.
Giovane giovane. Corri. Sempre giovane e fuori mercato. Fai cose smart e consuma tutto quello che puoi, cose e relazioni. Quando non potrai più farlo, qualcuno farà in modo che tu scompaia o diventi motivo di spesa pubblica attorno a cui qualche altro precario lavorerà in casa di riposo o comunità psichiatrica. Sorridi! Se ce la fai, da grande diventerai il posto letto di una struttura pubblica!
E corri, corri. Ma dove? Fermarti non puoi, perché ti piglia il panico e già così la notte non dormi bene. Non c’è nessun posto dove scappare. Ti sei svegliato ora: quaranta, quarantacinque anni. E dietro non hai niente. Titoli accademici scaduti. Ti sei accorto di essere rimasto troppo in un centralino aspettando che qualcuno (il dio dei precari?) sbloccasse un concorso, un ricorso, una borsa di studio, un dottorato all’estero. Che arrivassero i soldi che non avevi. Ti sei svegliato a quarant’anni e hai un mutuo con la garanzia dei tuoi che stanno tirando le cuoia. Intorno hanno cominciato a guizzare in cima quelli più giovani: tuoi responsabili, capi. Ti vergogni pure di essere stato saltato a piè pari. Costretto a fare mille cose, non hai imparato a farne bene mezza che potesse diventare un’arte, un mestiere. Ed è colpa tua! È colpa tua che non hai capito come funziona. Allo specchio vedi solo un prodotto con un mercato sempre più stretto. Chi ti si compra più? Chi ti darà una possibilità? Chi ti riconoscerà? Ma che c’è da riconoscere? Bastava nascere qualche anno prima per non essere violentati così. Qualche anno prima!
Corrono liquide le relazioni. Brevi e più attente per non rischiare. Che sei anche un po’ stanco di essere mollato perché sei immaturo, che vuol dire che hai una paura senza senso di non potertelo permettere un figlio e un divorzio che capita la metà delle volte. Che hai paura che se serve il latte in polvere potresti non arrivarci a fine mese. E pensi che quello che ha fatto tuo padre per due figli, tu non potrai darlo a nessuno. Tuo padre ha fatto più di quello che potrai fare tu. E poi, sembra che abbiamo tutti un timer assurdo, due, tre anni, se non di meno, e si cerca altra gente, perché alla fine quello che conta è la botta ormonale dell’innamoramento: l’altro, chi lo vede? Chi ha voglia? Dovessi fermarti mai un attimo per affrontare un decimo del tuo buio, della tua disperazione, rendendoti conto che questa è una malattia, non una vita. E via! Si consumano anche le relazioni come i cartoni del latte. Persone scelte dal catalogo sul cellulare. E a volte funziona pure. Follia!
Correre senza fermarti, con più di un lavoro usurante in contemporanea e la promessa di doverlo fare fino a settant’anni per una pensione che non ci sarà. Non avrai mai la pace sociale, se non nell’imbarazzo dell’indigenza. Che ti viene voglia di sperare nella premorienza! Che condanna è vivere centovent’anni così, nella scatola dei rifiuti sociali. E ci pensi che si fa in fretta a finire dal lato di quelli che non sanno usare un cellulare. È un attimo che non sai neanche più cercarti i porno e chiamare un’ambulanza.
E tu chi rimani? Già parlato dei problemi ad addormentarti. E quando ce la fai, ti svegli la notte, perché hai fatto un incubo che da sveglio non vuoi ti rimanga addosso. Ti esaurisci per non prendere le gocce nel cassetto, ché già non ti ricordi bene le cose e non vorresti peggiorare la situazione. Chi sei? Quanti sei? In ogni stanza ognuno se ne prende uno straccio. La tua identità? Si fa prima a parlare del codice fiscale. Una narrazione frammentata, continuamente interrotta dalle notifiche delle chat di lavoro cui ti obbligano perché “sono così pratiche”. E invece tu lo sai che sono bombe a frammentazione che ti impediscono di pensare per più di qualche secondo consecutivo. Telefonate, messaggi, app, ruoli diversi con fidanzate e padroni diversi. Continuano a dirti che non sei in guerra e che è tutto a posto. Ma ti rendi conto che non riesci più a raccontarti senza un’interruzione pubblicitaria: in psichiatria si chiama dissociazione! Sei la sommatoria sparsa di contenuti che il tuo cervello non ricorda neanche più. Rimangono solo le interruzioni: il pensiero di qualcun altro. Il tuo è corto corto che sta in un messaggino di pochi caratteri.
Vorresti scendere dal mondo un attimo. Vorresti chiedere per dov’è che si chiede aiuto. Sulla parete di quale latrina si deve chiedere aiuto? Come si scrive in questo posto incasinato. Ma perché scrivere in un posto dove non legge nessuno? Che scrivi pure troppo e la gente si scoccia. Quando scrivi non ti bastano mai i caratteri e finisci in un libro da non inviare a nessuno, ma che comunque è un post troppo lungo, fatto strano, che si scorre via col dito alla fine, che già da piccolo la maestra ti diceva che non era vero che lo avevi scritto tu. E i professori non correggevano, perché non avevi una buona forma e non avevi buon senso. E non hanno mai letto cosa c’era scritto. Non gli è mai importato che c’era scritto che eri già diventato uno scarto, un oggetto, forse un non-soggetto, che eri già morto, ma che siccome non volevi essere di nessuno, pur essendo solo una confezione vuota, ti saresti distrutto da solo, ché tanto quando non si può più spendere al supermercato ti mettono comunque nel compost.
Mai padrone in casa propria. Padrona è la bulimia per ciò che non serve, con la paura di non riuscire a ingurgitare tutto il possibile. La paura di essere ridotto, per funzione sociale, ad appendice intestinale, preparato di laboratorio a cui manca sazietà. E reciti veramente un’Ave Maria che non hai dato figli antropologicamente modificati da fare schiavi. Che altrimenti si fa il gioco degli altri che vorrebbero già accollargli debiti per l’infanzia che non puoi dargli tu. Tutto questo mentre la tua femmina delusa cerca una solitudine meno costosa e i tuoi vecchi muoiono indementiti in un pannolone a chilometri di distanza, senza soluzione e pietà per la tua impotenza. E tu sai che quando capiterà a te, non ci sarà nessuno a farsi sfiorare dalla nostalgia. Ogni tanto ci pensi che a questa vita non ci si adatta. Ma se ci pensi, ti salgono alla testa idee che non si dicono a nessuno, perché nessuno le vuole sentire, e vanno in accumulo alla stanchezza di voler dimenticare. Si tira fin quando si può vivere decentemente senza diventare un peso. Dai, lo fanno tutti! La vita è così! No, non era così un cazzo!
Non dovremmo preoccuparci troppo
di cosa pensano i contemporanei,
i contemporanei di sé non hanno mai capito
nulla in nessuna epoca.
Ma oggi, è decisamente peggio.
Devo ammettere che, purtroppo,
questa cosa che anch’io mi sono contemporaneo
mi disturba un po’.
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