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Francesca Rita Rombolà, La poetica del vento



Soffia il vento. Il vento caldo del Sud. Il vento caldo da un mare Mediterraneo da sempre e sempre, nella sua storia plurimillenaria, protagonista di tragedie e di rovina, di flussi e di riflussi, di rotte avventuriere o meno per i molti popoli che si affacciano, con le coste dei loro territori, sulle sue onde azzurrissime talvolta quiete talvolta in tempesta.

Soffia il vento. Dalle isole Eolie. Le antiche isole del vento, dove un dio caparbio e irruento, che ha il dominio su di essi, risiede ancora nella sua strana dimora surreale fatta di vento e di venti che si dipartono in ogni direzione della terra.

Ho imparato fin da piccolissima a conoscere questo vento che soffia sempre dal mare, sale dal promontorio e si concentra in grandi masse proprio sulle colline soffiando molto forte per giorni, fino a quando si quieta improvvisamente per lasciare soltanto una flebile memoria del suo passaggio. L'ho odiato (le lo odio) ma soprattutto l'ho anche amato (e lo amo). Oggi penso che forse non sarei riuscita a scrivere molte delle mie poesie senza la sua esistenza e senza la sua presenza. Ho respirato il vento. Ho vissuto pienamente il suo soffiare, e questi si è intrecciato quasi indissolubilmente al mio poetare.

Spesso all'alba, o poco dopo, la mia penna si è mossa svelta e sicura sul foglio bianco e il suo fruscio, prodotto dal contatto con la carta, è stato l'unico rumore nel silenzio dell'ora. Il vento (leggero o forte) l'unica presenza ispiratrice di una parola, di un concetto, di un'idea che poi prendevano lentamente forma e si mostravano in un verso conciso e piuttosto preciso. Altre parole, altri concetti, altre idee ... con il soffiare del vento che portava la fragranza dei fiori selvatici in maggio, un profluvio di profumi, di odori, di sentori forti e corroboranti in estate, la dolcezza di una danza di colori e foglie in autunno, il riposo e la nudità semplice della campagna in inverno. E nasceva una poesia, un intero componimento lungo o breve, con un titolo o talvolta senza titolo.

La percezione del vento crea magia e incanto, perché il vento è prima di tutto respiro, il respiro della terra profonda e del cielo alto; il respiro della terra scura e fertile che abbraccia e consola come una madre nei momenti di angoscia, di tristezza, di dolore; il respiro del cielo dorato e azzurro che rinnova l'anima e lo spirito i quali anelano, in modo latente o palese, al Divino o quantomeno a un senso di elevazione che la condizione terrena non potrà mai donare.. Il vento, oltre ad essere soffio, respiro vivente, è voce. Voce che non ha direzione di provenienza né di destinazione. Non sai da dove viene né dove va, e per questo è una voce al di fuori dello spazio e del tempo: una voce sublime la cui essenza sa di mistero ... e forse seguendola conduce al mistero. E' voce. E porta voci lontane nel tempo e nello spazio. Voci che non si sono mai disperse e che conservano intatta la memoria che gli esseri umani, nella loro frenesia quotidiana, non recepiscono e non conservano quasi più.

Nei deserti ardenti di sabbia gialla e di roccia rossa il vento modella, costruisce e disfa, cambia il paesaggio e muta gli assetti naturali; in una parola, il vento gioca, e la sua attività ludica è spesso potente, imprevedibile e inesplicabile, bizzarra e fuori dal comune come l'esistenza del poeta e della penna che egli tiene in mano e fa scorrere sulla carta nel mentre il vento avvolge la sua persona tutta, interiormente ed esteriormente.

Il vento è ascolto. E produce ascolto. Un ascolto molteplice, ma decisamente unico. Un ascolto che mette in contatto con il gemito (di piacere o di dolore, di rabbia o di risentimento) della natura. Potrei dire, a questo punto, di aver tracciato, in sintesi, un abbozzo di "poetica del vento", credo che così l'avrebbe chiamata lo studioso francese Gaston Bachelard, in quanto il vento scrive e riscrive le pagine non facili della psiche stimolandone quelle parti (o componenti) più inerti, più oscure, ancora inesplorate e sconosciute a prendere vita, ad attivarsi e (perché no?) a venire alla luce proprio per fare luce, chiarezza su certi vissuti, traumatici e non, dell'infanzia, dell'adolescenza e anche dell'età adulta.

Sto ascoltando il vento, ma non è l'alba, è uno splendido tramonto in cui il sole, una grossa arancia infuocata, scende lentamente dietro le gobbe saurine delle isole del vento. Un altro giorno è trascorso, con le sue gioie e le sue pene. Ma domani, all'alba o giù di lì, il vento inizierà sempre di nuovo il suo cammino verso il mondo ... e verso la sensibilità e la capacità di ascolto di ciascuno.





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