Federico Dell’Agnese La poiana bianca del libero arbitrio
Romanzo filosofico in bilico tra scienza e fede
Una riflessione dell’Autore
La musica è da sempre una ricca fonte di metafore per chi indaga sui misteri del cosmo. Brian Green quando ha detto questo pensava certamente alla teoria delle stringhe, al fatto che la realtà sembra essere una elegante sinfonia cosmica di vibrazioni di minutissime cordicelle. Io penso che la musica sia una metafora della realtà in senso più generale, perché nel microcosmo della creazione musicale si rispecchiano dinamiche che in un modo o nell’altro sono fatalmente destinate ad abbracciare tutto il reale. Questa è l’unica giustificazione che posso portare per avere fatto quello che mai avrei dovuto o pensato di fare: scrivere questo libro. Ho cercato più di una volta di piantarla lì, di dire a me stesso che era un progetto assurdo, incauto, azzardato, ma alla fine ha vinto lui.
Questo anche perché i personaggi, nati all’inizio solamente come riflessioni sul libero arbitrio, si erano ribellati ed avevano iniziato a vivere di vita propria, sia pur solo nella pagine di quello che non era ancora un libro e forse nemmeno aveva intenzione di diventarlo. Insomma, la situazione mi aveva come preso la mano, e la parte di fiction procedeva da sola, quasi automaticamente: ma in fondo l’idea di rappresentare il contrasto tra la drammaticità della vita vissuta e l’asetticità delle teorizzazioni astratte non mi dispiaceva.
Alla fine non so come, ma il libro è giunto al termine: si è come scritto da solo. Delle mie realizzazioni artistiche e musicali probabilmente non rimarrà alcuna traccia, svaniranno nel non essere senza nemmeno quasi aver fatto parte dell’essere, ma i molti anni trascorsi ad occuparmi solo di musica e di pittura, nell’accezione e con i parametri estetici ed artigianali che queste arti avevano nei secoli passati, mi avevano lasciato come in eredità una visione del mondo che non si accordava per nulla con quella oggi prevalente. Il pensare che l’essere umano, l’Homo sapiens come oggi va tanto di moda definirlo, fosse solo un assemblaggio, e in parte mal riuscito, di sofisticati algoritmi oramai obsoleti ad opera dell’evoluzione darwiniana, e quindi frutto solo del caso, mal si accordava con l’esperienza di frequentazione quotidiana che mi aveva accompagnato per anni dei capolavori dei grandi del passato, che mi sarebbero risultati inspiegabili senza supporre l’esistenza reale di una dimensione dello spirito. La mia formazione e la mia attività mi avevano portato, per il solo fatto di vivere immerso in una dimensione estetica in verità assai più grande di me, a dare per scontato una esigenza spirituale che giustificasse la ricerca del Bello, considerato neo-platonicamente come qualcosa di oggettivo, di esistente in sé, preesistente a noi, al di fuori dello spazio e del tempo. Esattamente come le altrimenti inspiegabili strutture della matematica, estrinsecate nella Natura ed i rapporti geometrico-armonici e le misteriose simmetrie delle arti e della stessa musica.
Allora ho iniziato ad indagare, a cercare una verità, a vedere se quello che sentivo e che provavo aveva qualche possibilità di essere ritenuto un approccio razionale e motivato all’esistenza. Per fare questo mi imposi una sorta di epochè, una sospensione non tanto del giudizio, quanto del pregiudizio, una sorta di principio di equivalenza delle testimonianze. Il che voleva dire prendere sul serio quello che le persone mi avevano detto o confidato nel corso degli anni, o quello che avevo letto da varie parti, soprattutto se scritto nel passato, senza scartare a priori quello che mi sarebbe parso inverosimile, o al di fuori dagli schemi generalmente considerati accettabili: avrei eliminato solo quello che istintivamente avrei considerato non credibile o falsificato.
Nel corso degli anni avevo letto molti libri di divulgazione scientifica, soprattutto di fisica e cosmologia, ma anche di biologia e neuroscienze, e un po’ dappertutto mi era capitato di trovare atteggiamenti molti critici quando non di aperto disprezzo nei confronti delle religioni, soprattutto del cristianesimo. Non di rado la fede in Dio veniva messa sullo stesso piano delle più triviali superstizioni, considerata come qualcosa di assolutamente irrazionale, ormai adatta solo ai più sprovveduti ed agli ignoranti. Avevo poi letto i best-seller di Dawkins e di altri alfieri del nuovo ateismo, pieni a volte di insulti, ma allo stesso tempo ricettacolo di trattazioni filosofiche ad un livello che certo non poteva lasciarmi soddisfatto. La fede è un argomento delicato, ed anche difficile. Richiede un approccio complesso, possibilmente una conoscenza dall’interno: non si può liquidare la questione troppo superficialmente, o affrontando per l’ennesima volta al solo scopo di smontarle le tre prove classiche dell’esistenza di Dio, elaborate dai filosofi secoli addietro, prove che non avevo mai preso sul serio nemmeno sui banche di scuola: oggi come oggi è un po’ come sparare sulla Croce Rossa. Così ho sentito la necessità di fare un po’ di chiarezza dentro di me e di affrontare questi argomenti con maggiore profondità, con moderazione certamente, ma cercando di essere il più obiettivo possibile e di calarmi per quanto mi fosse possibile all’interno della mentalità scientifica: insomma, volevo capire, anche mettendomi al posto di chi aveva una visione opposta alla mia.
Troppe cose vengono ormai date per scontate, soprattutto nella divulgazione e nei media, però a ben guardare le cose non stanno per nulla così: la scienza non è monolitica, non possiede né garantisce tutte queste certezze, un po’ alla leggera sbandierate. Si potrebbe anzi affermare, sulla scorta dei premi Nobel Penrose e Laughlin che certe discipline come la fisica teorica e la cosmologia non siano mai state così incentrate sulla speculazione matematica e sulle simmetrie formali e la loro valenza estetica e non avallate dalla sperimentazione sul campo come sono oggi: in molti casi questa verifica sperimentale non è possibile e non lo sarà per molto tempo a venire. Forse mai. Se si eccettua la meccanica quantistica, che ha un’ampia verifica sperimentale e la teoria della relatività, vi sono moltissime altre teorie, alcune delle quali sorte proprio con l’intenzione di conciliare queste due visioni al momento non conciliabili, che oltre ad essere tutte in contrasto tra di loro, non godono di altrettanta convalida sperimentale. Nel campo della biologia, l’evoluzionismo neodarwiniano necessita di una profonda revisione, come molti biologi sostengono da tempo, ed appare molto meno dogmatico che in passato. La psicologia evoluzionistica secondo alcuni biologi e filosofi della scienza, andrebbe rifondata completamente in quanto considerata inattendibile. Ho cercato di esaminare alcune di queste tematiche con pacatezza, mantenendomi molto lontano da critiche di matrice extra-scientifica, come ad esempio quelle sorte in ambito creazionista.
Ma i problemi sorgono quando dalle teorie scientifiche, che sempre teorie restano e non sono mai fotocopie di una fantomatica realtà della natura, con eccessiva disinvoltura si passa a trarre conclusioni filosofiche o ideologiche che possono avere implicazioni anche morali. Non esiste nessuna prova della non esistenza di Dio, come non esiste alcuna prova della Sua esistenza: sono abbastanza convinto che tali prove non solo non esistano ma nemmeno esisteranno mai. Non è comunque dalla scienza che si possono avere risposte a questi interrogativi. L’atteggiamento scientifico predominante è tuttavia impregnato di naturalismo e di ateismo, per cui qualsiasi elemento emerga dalla ricerca che possa far pensare ad una progettualità dietro all’universo, ad una sua creazione o finalità, o non viene preso in seria considerazione e viene trascurato per anni, o alla fine viene riciclato e indirizzato verso la soluzione opposta, come è avvenuto per il Principio Antropico, quella vastissima serie di inspiegabili coincidenze favorevoli alla vita che avrebbero non solo facilitato ma addirittura reso possibile la nostra presenza qui. Dato che è considerato impensabile che qualcuno abbia progettato l’universo per questo fine, questo sarebbe solo dovuto al caso, il risultato di una lotteria cosmica, come la definisce Paul Davies: devono per forza esistere innumerevoli altri universi in cui questo non è accaduto, e nei quali la vita intelligente non è possibile. E da qui e dalla teoria delle stringhe nasce la teoria del multiverso. A parte il fatto che il caso non esiste, e se è per questo nemmeno la necessità: sono tutte concezioni antropomorfiche che noi proiettiamo su quello che immaginiamo sia la realtà della natura, realtà che non conosciamo e nemmeno forse arriveremo mai a conoscere nella sua essenza ultima.
Questo modo di pensare non appare né obiettivo né razionale: al fatto che qualcuno abbia potuto creare le condizioni favorevoli alla nostra comparsa su questa Terra andrebbe comunque assegnata una probabilità, se vogliamo anche piccola, minuscola, e non andrebbe invece esclusa a priori questa possibilità per motivi squisitamente ideologici. Approfondendo l’argomento ho esteso il Principio Antropico, in quanto lunga serie di zone riccioli d’oro, anche alla taratura delle caratteristiche fisiche e cognitive dell’essere umano ed allo svolgersi coerente della storia umana: anche qui non c’è proprio nulla di scontato. Permettere uno sviluppo organico, evolutivo e progressivo di più di cento miliardi di esseri umani nel corso di decine di millenni non è così facile o automatico come si potrebbe pensare, tutto poteva andare storto, anche in questo caso le cose ci sarebbero andate bene in una maniera fin troppo sospetta: così ho cercato di spiegare il perché, o per lo meno di sollevare la questione.
Strada facendo sono venuto in contatto con problematiche che prima non avevo considerato, come l’incombere nei prossimi decenni della creazione della Super Intelligenza Artificiale: l’affrontare un passo di tale portata epocale e di tale rischiosità globale con implicazioni cosmiche partendo da premesse per conto mio errate dal punto di vista ontologico, mi sembra che aumenti a dismisura i rischi già connessi con l’intera operazione. Mi spiego meglio: se non possiamo escludere che l’essere umano abbia una dimensione spirituale oltre a quella fisica, e non credo che possiamo escluderlo a priori, anche se la mentalità corrente dà per scontato che tale dimensione non possa esistere, portare all’esistenza esseri con un’intelligenza nemmeno paragonabile alla nostra e aventi accesso al data-base universale, immensamente più potenti e performanti di noi sotto l’aspetto cognitivo (e quindi anche fisico), che questa dimensione non solo non l’avranno ma nemmeno mai la potranno avere, è una prospettiva che mette i brividi. A questo punto ci sarebbe quasi da augurarsi che i neuro-scienziati che non solo negano l’anima, ma addirittura la coscienza, la mente ed il libero arbitrio, abbiano ragione. Ma questo per me è solamente un paradosso: pensando senza pregiudizi o condizionamenti, anche se come tutti posso essere in errore, sono intimamente convinto che le cose non stiano per nulla così, che l’anima esista, il libero arbitrio anche.
Le vicende umane dei personaggi del libro sono esplicative proprio a questo riguardo: alcuni di loro hanno commesso per libera scelta colpe, anche molto gravi, e si porteranno dietro un peso che condizionerà la loro intera esistenza. Ognuno di loro cercherà una via d’uscita, e varie soluzioni saranno quelle praticate, chi la troverà nella religione, chi in una conversione all’ultimo momento, chi cambiando radicalmente la propria vita e le proprie prospettive, chi semplicemente cercando di fare qualcosa di positivo per gli altri. Le loro vite, alcune ispirate ad avvenimenti reali di persone che ho conosciuto, sono cresciute a fianco degli argomenti teorici che cercavo di trattare: la vita vissuta è spesso così ricca e complessa, nelle sue esperienze anche dolorose, da annichilire qualsiasi teorizzazione, e in ogni caso lo spessore del vissuto umano non può venire ridotto o compattato, deve essere percepito nella sua interezza.
Parleranno molto tra di loro e di molte cose. Verranno così presi in esame diversi temi del pensiero contemporaneo, implicazioni filosofiche della nuova fisica, delle neuroscienze, dell’informatica, dell’estetica e della morale: dalla teoria degli Universi Paralleli alla Grande Simulazione, dalla teoria della Complessità alla posizione dell’essere umano nel cosmo, (che andrebbe a parer mio rivalutata), dalle nuove tendenze nell’ambito evoluzionistico della Sintesi Estesa contrapposta alla dogmatica e rigida Sintesi Moderna, alle prospettive metafisiche della collocazione del flusso di informazione al di fuori dell’universo sensibile, dal Trans-umanesimo e dalla progettazione di super-uomini post-biologici al possibile stato ontologico della Super Intelligenza Artificiale.
Alla fine la conclusione cui sono giunto è che la realtà sia qualcosa di così complesso e sfuggente che non possa essere affrontata semplicisticamente in modo riduttivo ad un solo livello, e che si renda necessaria una pacata e rispettosa mediazione tra approcci diversi, senza trascurare nemmeno la speculazione filosofica come veniva praticata qualche secolo fa, l’indagine estetica ed il misticismo, e per chi crede anche la religione. La dimensione, la magnitudine, la gravità dei passaggi che ci attendono al varco lo renderebbero necessario.
Il rischio che stiamo correndo è di arrivare a questi passaggi, che si prefigurerebbero senza precedenti in tutta la storia dell’umanità, con un bagaglio filosofico circa la posizione dell’essere umano nel cosmo e la sua valenza ontologica del tutto inadeguato. Le conseguenze possono solo essere quelle di aggravare ulteriormente i rischi esistenziali dell’umanità, e sono destinate a pesare soprattutto sulle nuove generazioni e su chi verrà dopo di noi.
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