Guido Turco Roncisvalle (inedito)
La donna che parla al cellulare
La donna che parla al cellulare
la conosco, il suono della voce
rimbalza famigliare
sulla strada
buchi pozzanghere
le placche dorate dei portoni
brillano i mestieri e i cognomi.
Fatta a strisce dal cancello
una bambina
ha riflessi tra i capelli
e gli occhi fessi
dei fantasmi senza requie.
Un giorno di quei giorni
Un giorno di quei giorni
quando è notte troppo presto
mio padre
scanna bestie appese per il collo
i riflessi dei coltelli ricordano che non c’è
tempo da perdere
ci aspettano, e sono in tanti
sulla piazza del Castello.
Poi fuma in fondo alla scala.
Riconosco delle macchie
sopra il maglione.
Quando getta il mozzicone
sogguarda i resti
fa gli occhi storti e quella voce
che gli usciva quando s’incazzava
se non lo stavo ad ascoltare.
Piove piano. Io stendo la mano.
Piove piano. Io stendo la mano.
Nel parcheggio
le luci arancione miscelano le ombre
all’ardore di frotte di gatti in calore.
Gli alberi muti
in fila
aspettano rassegnati
come nelle pagine di Beppe Fenoglio
i guerrieri che fumano seduti.
Essere vivi prima d’essere morti.
Quando finalmente si fa raggiungere
è come stringere la solitudine.
Si è trasformato in un vapore
tra la selva dei binari
e i vagoni freddi e
rugginosi.
Solo le farfalle lo fanno
loro lo sanno
quando è notte veramente
si contentano di giorni più corti
come importasse qualcosa
essere vivi prima d’essere morti.
Ogni cosa vale a rimembranza
Ogni cosa vale a rimembranza
le curve scoscese degli stradali
dove spuntano, e si vorrebbero
squarci argentati, diversi animali
nei ripari scavati.
La prima pioggia alla terra calcinata
recita monologhi di carattere minerale.
Alla notte di collina – apocalisse privata
Alla notte di collina
affidai rose così canine
boschi di quanti lampioni
bastanti
per vagheggiare di
futuri portolani e di vascelli in rada,
e il fogliame
dei campi e dei giardini
per ogni petalo un dedalo
anelli al dito per ogni stame.
Viene a brillare così lieve
Di neon e di fari
fiorisce la distanza
il gelo pallido e lunare
viene a brillare così lieve
fino a fondersi come forse
la sabbia delle clessidre,
via via le correnti
di più lunghi nastri
temporaleschi,
come si avverte e si sperde
l’aria tra i capelli.
Roseto o giuncaia
Roseto o giuncaia la tenni a paravento
la selvaggia pioggia ottobrina
arcipelaghi come fossero nient’altro
i laterizi attraversati dai rivoli
frammenti e superstizioni
di qualche isola
che non saprei distinguere
dai fioracci scontornati
che l’umido fiorisce sui palazzi.