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Rainer Maria Rilke, Le rose Traduzione di Pierangela Rossi

I

Se la tua freschezza a volte ci stupisce tanto,

felice rosa,

è che tristezza, nell’interno

petalo contro petalo ti riposi.

L’insieme tutto sveglio, di cui il centro

dorme, mentre ch’innumerevoli, si toccano

le tenerezze di questo cuore silenzioso

che sboccano all’estrema bocca.

II

Ti vedo, rosa, libro socchiuso

contiene tante pagine

di felicità perfetta

che non si leggeranno mai. Libro-magia,

s’apre al vento e può essere letto

gli occhi chiusi…

le cui farfalle escono confuse

d’aver avuto le stesse idee.

III

Rosa, tu, o cosa per eccellenza completa

si contiene infinitamente

e infinitamente si spende, o testa

d’un corpo per troppa dolcezza assente,

niente vale te, o suprema essenza,

di questo fluttuante soggiorno;

di questo spazio d’amore dove appena si avanza

il tuo profumo fa il giro.

IV

E tuttavia noi t’abbiamo proposto

di riempire il tuo calice.

Incantata da questo artificio,

la tua abbondanza l’aveva osato.

Tu eri abbastanza ricca per divenire cento volte te stessa

e un solo fiore;

è lo stato di chi ama…

Ma tu non hai pensato altrimenti.

V

Abbandono circondato d’abbandono

Tenerezza toccante tenerezze…

E’ tutto l’interno che senza tregua

si carezza, si direbbe;

si carezza in se stesso

dal suo riflesso rischiarato.

Così tu inventi il tema

di Narciso esaudito.

VI

Una rosa sola, è tutte le rose

e quella: l’insostituibile,

la perfetta, la duttile parola

inquadrata dal testo delle cose

come diremmo senza lei

ciò che furono le nostre speranze

e le tenere intermittenze

nella partenza continuata.

VII

Appoggiata, fresca chiara

rosa, contro il mio occhio chiuso,

si direbbe mille palpebre

sovrapposte

contro la mia calda.

Mille sonni contro il mio finto

sotto il quale vago

nell’odoroso labirinto.

VIII

Dal tuo sogno troppo pieno,

fiore dentro numeroso,

bagnato come una piangente

ti chini sul mattino

Le tue dolci forze che dormono

in un desiderio incerto

sviluppano tenere forme

tra guancia e seno.

IX

Rosa, tutta ardente e tuttavia chiara,

che si dovrebbe nominare reliquiario

di Santa-Rosa…, rosa che distribuisci

questo turbato odore di santa nudità.

Rosa mai più tentata, sconcertante ultima amante

della sua interna pace;

rosa che infinitamente possiedi la perdita.

X

Amica delle ore dove nessuno resta,

dove tutto si rifiuta al cuore amaro,

consolatrice la cui presenza attesta

tante carezze che vagano nell’aria.

Se si rinuncia a vivere e se si rinnega

ciò che era e ciò che può arrivare,

pensaci, mai abbastanza all’insistente amica

che a fianco di noi fa la sua opera di fata?

XI

Ho una tale conoscenza del tuo

essere, rosa completa,

che il mio consentire ti confonde

con il mio cuore in festa,

Io ti respiro come tu fossi,

rosa, tutta la vita,

e mi sento l’animo perfetto

di una perfetta amica.

XII

Contro chi, rosa,

hai adottato queste spine?

La tua gioia troppo fine

ti ha forzata

a divenire questa cosa armata?

Ma da chi ti protegge

quest’ arma esagerata?

Quanti nemici ti ho tolto

che non la temono per nulla?

Al contrario, d’estate in autunno

tu ferisci le cure che ti si fanno.

XIII

Preferisci, rosa, essere l’ardente compagna

dei nostri trasporti presenti?

E’ il ricordo che più ti tenta

quando una gioia riaffiora?

Tante volte ti ho visto, felice e secca,

- ogni petalo un sudario –

in un cofanetto profumato, a lato di una ciocca,

o in un libro amato che si leggerà soli.

XIV

Estate, essere per qualche giorno

il contemporaneo delle rose,

respirare ciò che fluttua intorno

alle loro anime dischiuse.

Fare di ciascuna che muore

una confidente,

e sopravvivere a questa sorella

in altre rose assente.

XV

Solo, o abbondante fiore,

crei il tuo proprio spazio;

ti rimiri in uno specchio

odoroso.

Il tuo profumo circonda

come altri petali

il tuo innumerevole calice.

Ti trattengo, ti esponi

prodigiosa attrice.

XVI

Non parliamo di te. Sei ineffabile

secondo la tua natura.

Altri fiori ornano la tavola

che tu trasfiguri.

Ti si mette in un semplice vaso,

ecco che tutto cambia:

è forse la stessa frase,

incantata da un angelo.

XVII

Sei tu che prepari in te

più che te, la tua ultima essenza.

Ciò che esce da te, questo conturbante fremito

e’ la tua danza.

Ogni petalo consente

e fa nel vento

qualche passo odoroso

invisibile.

O musica degli occhi

tutta da loro circondata

divieni al centro

intangibile.

XVIII

A tutto ciò che ci commuove tu partecipi.

Ma quel che accade a te, l’ignoriamo.

Bisognerebbe essere cento farfalle

per essere tutte le tue pagine.

Tra voi alcune sono come dizionari

quelli che le colgono

hanno desiderio di rilegare tutte le pagine.

Ma io amo le rose epistolari.

XIX

Come esempio tu ti proponi?

Si può riempirsi come le rose,

moltiplicando la propria sottile materia

che era stata fatta per niente fare?

Perché non è lavorare essere

una rosa, si dirà.

Dio, guardando dalla finestra,

fa la casa.

XX

Dimmi, rosa, da dove viene

che in te stessa racchiusa

la tua lunga essenza impone

a questo spazio in prosa

tutti gli slanci aerei.

Quante volte quest’aria

pretende che le cose la trafiggano,

o, con una smorfia,

si mostra amara.

Mentre intorno alla tua carne,

rosa, fa la ruota.

XXI

Quello non ti dà la vertigine

di girare intorno a te sullo stelo

per compierti, rosa rotonda?

Ma quando il tuo proprio slancio t’inonda

tu l’ignori nel tuo boccio.

E’ un mondo che gira in tondo

finchè il suo calmo centro osa il riposo

rotondo della rotonda rosa

XXII

Tu ancora, tu esci

dalla terra dei morti,

rosa, tu che porti

verso un giorno tutto d’oro

questa felicità convinta.

L’autorizzano, essi

il cui cranio vuoto

non ne ha mai tanto saputo?

XXIII

Rosa, venuta molto tardi che le notti amare arrestano

nella loro troppo siderale chiarità,

rosa, dimmi tu le facili delizie complete

della tua sorella d’estate?

Per giorni e giorni ti vedo che esiti

nella tua guaina serrata troppo forte.

Rosa che, nascendo, ti vedo imitare

le lentezze della morte.

Il tuo mutevole stato ti fa conoscere

in un mélange dove tutto si confonde,

l’ineffabile accordo del niente e dell’essere

che noi ignoriamo?

XXIV

Rosa, occorre lasciarti fuori,

così squisita?

Che fa una rosa là dove la sorte

su di noi si consuma?

Nessun ritorno. Anche tu

dividi

con noi smarrita, questa vita, questa vita

che non è del tuo tempo.

(traduzione 1918)

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