Stefano Vitale, Inediti
*
C’era chi voleva fondare città
e chi salpare per terre lontane.
Ora, nel livido enigma del presente
c’è chi baratta con gli spettri
un misero secchio di carbone
in cambio di pochi vetrini colorati.
*
Poveri strumenti di congiunzione
tra qui e l’altrove sono i versi
che piccoli errori di distrazione
possono uccidere senza clamore,
talvolta la salvezza sta nel trattenersi
maschera che cela persino il dolore,
ma quel che servirebbe è un po’ di prospettiva,
rigore e solida memoria.
Ma in tasca abbiamo un indirizzo sbagliato
scritto su un foglietto sgualcito.
*
Bucce di mele e ossa di pollo
avanzi nel piatto
dei giorni trafitti dal sogno
d’essere altro.
Resta il tarlo
che punge la carne
e rode le sponde del tempo
nel diluvio di errori lasciati marcire
sui balconi d’inverno.
*
Miracolo della vita
è la percezione di sé di colpo riflessi
nella vetrina d’un bar la mattina
un brivido striscia lungo la schiena
e un sorriso stupito si traccia sul viso
perché tu ti sei visto
e sentito a te stesso sorpreso
nell’istante presente adesso svanito
oltre il flusso arrogante del tempo
anche se, lo sai bene, non servirà a niente.
*
Segar via i rami secchi
d’un ficus benjamina morto
è un necessario gesto di pietà
ma mentre la corteccia si sfalda
improvviso scorre dall’estrema ferita
un lattice scuro: è la vita che urla
e stringe la mano col suo morso colloso.
Così senza volerlo e senza neppure saperlo
tratteniamo un dolore innocente
sul finire del giorno.