top of page

Silvio Aman, L’ecologia dei significanti in poesia

Sulla raccolta di Paolo Gera, Ricerche poetich, puntoacapo



Paolo Gera, in Ricerche poetiche[1], imposta e sviluppa il suo percorso basandolo sulla necessità di riciclare ogni aspetto della batteria significante attiva a diversi livelli nelle pagine letterarie, nei media e nel fluente discorso quotidiano. Il libro è preceduto dalla brevissima unità Prime parole composta di quattro quinari con modelli progressivi di lallazione, tutti in minuscolo[2] dove “ma ma ma ma/ smarrita” potrebbe dar luogo a ‘mamma smarrita’ (quella reale o per estensione la natura?) e a ‘papà’ il seguito delle “p” e delle “pa” del secondo quinario, concluso con “paura” mentre “t” e “te” del terzo risolvono su “terra” e “l” e “la” del quarto su “luce”…


m m

m m m m

ma ma

ma ma ma ma

smarrita


p p

p p p p

pa pa

pa pa pa pa

paura


L’opera continua con Rifiuti di scrivere (dal significato probabilmente bifronte di ‘rifiuti’ nel senso di scarti, e ‘rifiuto’) cui segue l’esperimento dell’indore con la sua struttura, cioè accrescendo il deposito cuneiforme con strati di residui fra loro differenti, secondo le indicazioni dell’agronomo Albert Howard basate “su tecniche indiano vediche di agricoltura sostenibile” come specifica l’Autore.

Un simile indore volto a formare un compost, è noto in termini rudimentali (cioè senza strati) a chi coltiva l’orto. Si tratta del ciclo che permette di rendere alla natura quel che le è preso. In un bosco avviene, infatti, qualcosa di simile: il fogliame caduto dalle piante si accumula in un mono-strato, che oltre alle foglie contiene insetti e piccoli animali, reso poi humus dai batteri cosiddetti demolitori. Anche l’acqua, una volta ridotta a vapore, forma le nubi, scende sotto forma di pioggia e si perde nei mari portando con sé varie sostanze (sorta di fluente indore) fra cui il sale contenuto nelle rocce, per poi risalire di nuovo sotto forma di cirri, cumuli e nembi.









Paolo Gera ci propone lo stesso ciclo ecologico nel campo del linguaggio – ma in termini di sottrazione depurativa, come si nota nella sezione Rifiuti di scrivere, dove gli indore verbali si alternano ai compost: i primi a strati e con frequenti richiami sonori (“cammino/bambino”) in cui vengono poste via via notizie, citazioni e richiami a diverse vicende (“Narra la leggenda che Bonnie e Clyde si incontrarono nell’inverno del 1930 a casa di un’amica comune a Dallas” Indore 5) e i secondi, dotati di maggior compostezza, in forma di blocco, con mutazione di senso, ma anche di sedi e oggetti: da “pianifica il cammino” a “pianifica il mio bambino”…


Janet Kamara, un liberiano espulso anch’egli dall’Algeria, nel luglio del 2018 ha spiegato all’agenzia AP, che “corpi di donne e uomini morti giacevano al sole. Altri si sono perduti nel deserto perché non conoscevano il cammino. Io ho perso mio figlio, il mio bambino.”

[…]

scopri la magia del cammino qui potete pianificare il vostro viaggio sino a Santiago de Compostela pianifica il Cammino di santiago su misura per te conoscendo i costi del tuo viaggio. (Indore 1)


Ma leggiamo, riguardo ai due aspetti, cosa scrive l’Autore.


I miei compost sono assolutamente arbitrari e sono il risultato dello smaltimento di materiali verbali personali e di autori a cui tengo molto, insieme ad altri che sono entrati involontariamente nella mia vita e di cui avrei fatto volentieri a meno. Quello che qui propongo e un progetto di smaltimento di cui ognuno può appropriarsi, costituendo indore con i propri materiali verbali per arrivare a propri compost di parole.



L’idea di Rifiuti di scrivere è di ripulire la logosfera, di non ingombrare le galassie Gutenberg e Zuckerberg di nuove parole inutili: “componiamo, se proprio si deve, riutilizzando le informazioni intorno a noi, inauguriamo una nuova poesia circolare”…


Infatti, leggendo il libro (smaltire comporta il procedimento di rendere liquido, fluido, ma anche la liquidazione) si può notare la parsimonia raggiunta dai compost molto compatti rispetto agli Indore. Ma è proprio vero che i secondi siano arbitrari, e anche non inconsciamente surdeterminati? Arbitrario è il passaggio da un blocco all’altro (come fra i segni linguistici, secondo Benveniste) mentre all’interno dei singoli vige l’andamento delle libere associazioni, come si rivela anche dalla scarsa punteggiatura. Nel primo indore vien ricordato, senza nominare né l’artista né il volatile paradisiaco – presente solo per le ali – l’angelo di Klee, cui Massimo Cacciari dedicò alcune interessanti pagine de L’angelo necessario, e nei successivi è presente l’“ingombro” che quello si trova via via ai piedi[3], ma anche il progresso come “tempesta” o, per riprendere le parole di Cacciari ne Il lavoro dello spirito, la fine (del fine) della storia. Perché? Perché l’angelo, nella sua percezione mono frontale della storia, volge le spalle al futuro, verso cui precipita spinto dalle incessanti rovine che si trova di fronte come passato, cioè la catena delle sue catastrofi[4].

Nella seconda parte di Ricerche poetiche, troviamo:


è mia precisa intenzione scrivere una poesia

è il primo verso di una poesia

che si pone domande su cosa significhi scrivere una poesia

la prima domanda riguarda il contenuto

la seconda domanda riguarda i codici con cui si può esprimere un contenuto


per farlo riconoscere come poesia

la terza domanda riguarda il momento

la quarta vorrebbe avere una risposta soddisfacente


ad esempio è mia intenzione scrivere una poesia

sui calli sulle calli sulle calle sulle colle sulle culle sulle celle sulle cille


e se qualcuno non sa cosa sia una cilla

– parola non registrata su alcun vocabolario della lingua –

questa potrebbe essere una poesia divulgativa sulla cilla

è mia intenzione scrivere una poesia sulla cilla

in giambi ed epodi in endecasillabi in versi liberi

estraendo accanto a cilla altre parole secondo le regole del cadavere squisito


come epigono di una delle tante correnti avanguardiste

del Ventesimo secolo

o della successiva non identificabile diaspora del Ventunesimo

o in modo tutto mio che ancora non sia stato scritto

data per assodata che non sia impossibile la verifica

ed è inutile aggiungere che anche scritta in prosa sarebbe una poesia

(1)




Qui, a garantire la presenza di una scrittura poetica sono il titolo della sezione eponima Ricerche poetiche, l’argomento e gli a capo dei versi con la loro elastica estensione di genere narrativo, ma, come specifica l’Autore, in vari modi fino al “[…] modo tutto mio che ancora non sia stato scritto”. Alle righe qua sopra seguono varie problematiche, a esempio la proliferazione dei composti poetici, il rapporto fallimentare fra autore e editore, la poetizzazione dei consumatori e via così per 20 brevi capitoli. Già dal primo si può incontrare:


ad esempio è mia precisa intenzione scrivere una poesia

sui calli sulle calli sulle calle sulle colle sulle culle sulle celle sulle cille

e se qualcuno non sa cosa sia cilla

[…]

questa potrebbe essere una poesia divulgativa su cilla


“Cilla” (parola inventata come può succedere nei giochi dei bambini) come oggetto o soggetto non presente nei vocabolari è un seguito di consonanti e vocali che danno luogo a un’immagine acustica aliena, non a un segno in cui sia possibile distinguere significato e significante, ciò non toglie lo si possa prendere a oggetto poetico secondo i criteri della versificazione classica, impedendo al lettore ogni rimando al mondo esterno. In questa elusione si potrebbe individuare un’analogia con la poesia pura e la musica pura definita da Carl Dalhaus, cioè non più supportata dalla parola con i suoi riferimenti morali, storici e affettivi. Rimane però la struttura basata sull’armonizzazione degli accordi, che Schönberg ritiene esterna alla pura e oggettiva libertà espressiva: da qui la dodecafonia col suo successivo defalco. Sennonché un’analoga manovra nei ‘composti’ poetici si ridurrebbe a una sequela di suoni da cui trarre solo in maniera aleatoria ogni possibile effetto di senso, come succede nelle sciarade, sia pure con l’ausilio di analogie e riferimenti.


Gera, nel suo ludico patchwork non segue però questa linea (se si considera la folla dei richiami e delle citazioni, casuali solo nell’ordine di comparsa, poiché guidati dall’intentio) e si chiede se scrivere poesie comporti un alto gradino raggiunto nell’esercizio della libertà creativa – la poetizzazione della massa dei consumatori – o uno infimo nell’esercizio del narcisismo…


[…] è mia precisa intenzione scrivere una poesia

per avere una risposta soddisfacente su cosa sia una poesia

così ora definisco una poesia come l’autocertificazione

di una persona che si identifica come poeta

un riconoscimento

anche da parte di se stesso

[…]

e dopo l’esplosione raccolgo le parole scagliate più lontane

le residuali, le mutili, le parole rintronate che hanno perso la memoria

le morte intatte, i tronconi rigirati che ancora gemono e segnano

e a mano nuda afferro tutte intorno, gli spenti bolidi, i cadaveri rigidi

e a starci attento la minutaglia, il vocabolo fine

con cura e devozione tutte allineo e parteggio.

La cosa complicata è là al centro come sempre

l’ammasso, l’intrico, la maceria caduta una sull’altra,

il senso nascosto e ferito, il fiato mancato e l’appena percepito.

(ivi,1)


Tutto ciò con l’intento di riportare in vita “una dopo l’altra ogni parola fino alla più schiacciata e nascosta/ là sotto/ un vocabolo congiuntivo, e, che da lì comincia questo shangai poesia”. In simile incedere, fra dissipazione e recupero, Gera indica, inoltre, un fatto importante: il poeta si autorizza da sé, non per avalli ufficiali, e tanto meno in base alla virtù come accadeva ai cavalieri medioevali… dipende, tuttavia, se per vivificare la verità, la parola “schiacciata” o per narcisistica “sovraesposizione personale”.[5] A questo punto possiamo immaginare, che l’autore di Ricerche poetiche sia lui stesso l’angelo di Klee, ma impegnato a raccogliere le rovine negli indore per un’opera di salvezza e smaltimento attivati nei compost (da leggere partendo anche dal fondo, in senso antigerarchico, trattandosi appunto degli scarti da cui con delicatezza il poeta trae elementi per riesumare e comporre la sua poesia “shangai” 2). Le parole defunte, o meglio ancora i significanti, tornano dunque alla luce, ma non necessariamente all’interno di codici e definizioni reperibili nei dizionari di retorica e stilistica


(questa poesia non contiene figure retoriche è come un’anafora una metafora una similitudine non intenzionali questa poesia non vuole esprimere emozioni né suscitarne ma se la sua volontà è di essere una poesia potrebbe esprimerne e suscitarne)


bensì nel gioco che associa e parteggia nel discorso attorno alla poesia e al riscatto[6], non necessariamente per emozionare, se alla fabbrica delle estetiche emozioni sono preferibili le commozioni.


Queste parole che scrivo sono state estratte al gioco della tombola

“parole” ha estratto e detto il croupier…


Ciò solo apparentemente secondo il caso, sia perché a comandare il defilé dei significanti è l’inconscio, sia per le scelte che incidono nella tessitura secondo un principio…


Non valgono, come tu sai, le tue parole,

quelle che a poco a poco riempiono lo spazio di questo tuo foglio vuoto.

[…]

e qualche dubbio si nutre su “miseria”:

se voli in Africa non diventare lo spartito di un pianista solidale,

ma adagia sui rifiuti il tuo spessore inutile.

[…]

Sorda poesia, per tua natura, non ti curerai di vocali assordanti,

ma rimbalza sul desktop di un insegnante di storia

e di’ alla sua morale che non vale la parola “memoria”.

Nel gioco è un arcaismo che non lascia punteggio,

se non si ravviva nei massacri di adesso.

(4)


Proseguire in modo ossessivo a ogni pagina in cui spunti e rilievi si moltiplicano[7] non porterebbe per forza a buoni risultati: meglio seguirle con attenzione mobile, per incontrare il cuore di chi le ha scritte, come sopra[8] e qui di seguito:


Poesia, sii mondo e non specchio

e se il mondo per usura diventasse lustro,

lastra di vetro, schermo scuro riflettente,

come fu qualche volta e ora è per sempre,

infrangi con parole impietrite,

infrangi con fratture e dissenso,

infrangi con uno schiocco di idiomi,

ai quali tu e non il mondo, non hai mai dato voce, scrittura.

[…]

Poesia, togli dalle scatole i fiocchi e i sottofondi

i me, i te e tutta l’improbabile ricerca di sorpresa

(15)

A quanto è dato intendere, Gera pare allontanarsi dal poeta mentitore (secondo le dichiarazioni di Nietzsche e Pessoa) ma principalmente da chi si diletta nel gioco degli specchi secondo il proposito di produrre oggetti verbali al fine di sorprendere[9], ma anche dilettarsi in denunce che presume di poter emettere in base alla seguente ipotesi: “l’inferno sono gli altri” (Sartre)… e se è così, perché non anche noi, si chiede logicamente Adorno?

Il libro, volutamente impuro e dinamico, si muove lungo continue modulazioni (non vale più quella nota d’impianto, ma questa, senza tuttavia mutare l’idea) secondo l’andamento delle libere associazioni, ma pur sempre verso qualcosa…


occorre dunque sempre salvare tutto

c’è questa richiesta automatica che non si può ignorare

di presenza attenta, di vigilanza accorta

sempre come nella mia vita un giro in più di chiave

[…]

Ma impaurito ritorno al documento segnato

e salvo innanzitutto “elaborare una precisa strategia di svanimento”

(18)


Ricerche poetiche è anche un’opera dominata dall’impulso metapoetico, sia pure con andamento carsico, e ciò comporta continue difficoltà al lettore.


Dalla poesia della miseria alla miseria della poesia: così marxianamente accuso il Proudhon che io ero. La tensione, lo sdegno, quasi tutto in progressione verticale. Quale valore? Quale il lavoro? E le parole? La maledizione euritmica mi perseguitava, come se il dolore e l’ingiustizia dovessero starci con la metrica e sollevare partecipazione, ma senza dissonanze […] E l’impiego delle metafore ben retribuite che anche ora sono una mia risorsa, è l’ennesimo prurito del poeta, insano vizio, tic. Le so, ne sono cosciente, le sviscero e progettualmente le denuncio come parte integrante della miseria della mia poesia.

O il tempo, il tempo di scrivere che non mostra le pause, gli altri impieghi, il pulire la casa, l’insegnare la Storia, il sospendere anche a lungo perché un’incombenza familiare oggettiva chiama più forte e necessaria, come se invece la poesia fosse tutto il tempo pieno, il prodotto finito e spedito al consumo, la merce da destinare all’incanto [non so se anche all’asta] coi suoi riflessi splendidi anche dal sangue, dalla morte e dal distanziamento […] pur sempre merce e la sua proliferazione e ha il bagliore nella sua materia delle cose ideali che io oggi condanno. Questo orgoglio di esserne causa mi ripugna. È un’investitura di potenza che non voglio. […] Stronzate! La mia miseria è il linguaggio con il suo insostenibile, biblico potere: la sua antica e nuova ricchezza, le amicizie corrotte tra le parole, la dinastia, la schiatta mercantile e l’impossibile spogliamento. Come togliere? Come farsi povero?

(19)


Evidenziare le dissonanze dovute a dolore e ingiustizia tramite la metrica e l’euritmia, restando su un piano realistico, o con forme inquietanti (come lo sono quelle di Francis Bacon) è impossibile. Una conciliazione può darsi solo tramite i toni fiabeschi intesi ad attenuare e render lontano, anche se il lupo non cessa di esporre il pericolo che gli compete. Masolino da Panicale, nel Banchetto di Erode a Castiglione Olona, ha rappresentato in modo sinuoso ed elegante la tragica vicenda della decollazione giovannea (non certo come avrebbe fatto Masaccio e, in tutt’altro clima, Gustav Moreau). L’affresco c’incanta, a dispetto del fatto atroce, come del resto avviene di fronte alla Salomè di Luca Cranac: costei si presenta con la testa di Giovanni sul piatto “di portata” conforme a una lussuosa e cinica damigella in versione serveuse, perché l’arte trasforma senza togliere le atrocità, potendo scuotere solo chi sente quelle tragedie.

Qui e nel seguito del lungo capitolo, pare rinnovarsi la crisi in cui, con altre motivazioni, incappò il Lord Chandos di Hoffmannsthal e, più avanti, Baudelaire a proposito dell’aureola poetica finita nel fango:


Ora siamo orfani di Dio con una bella aureola di plastica. Ma non bisogna lasciarsi andare alla disperazione. La quantità ci ha resi liberi di ritornare al gioco. È carnevale come un tempo e piccoli angeli mascherati ci divertiamo a mirare alle nostre aureole posticce.[10]


I diversi avvii di ordine politico, economico, sociale e letterario che l’Autore evoca lungo la sua poesia circolare e come forma fluens, rimandano al loro sviluppo, mentre altri (improvvise aperture nel corso di coacervi e detriti) ci porterebbero a un difficile ordinamento. Occorre tener conto di cosa potrebbe aggallare dalle tracce mnestiche, o in modo supposto incoerente nei sogni[11]: (“[…] e come se ci baciassimo scorrevano dalle bocche accostate le belle parole” [non senza che i cacciatori divengano “prede”]. Questo il circolo a cui tutti si appartiene. Poesia, nome collettivo”). Nelle frasi successive mi pare emerga il trasformismo, per cui le “manifatture” vanno colte come opifici dove, con divisioni e ridipinture, si resta allo stadio delle buone intenzioni senza effetti…


occuparono una manifattura abbandonata di produzioni paraermetiche, la ridipinsero, divisero le stanze e le officine, ma per creare nuove espansioni testuali, testimonianze, sviluppi temporanei delle classiche maestranze, avanguardie da ridere. (19)


Nell’ultima sezione Concetti verbali, (la cui segnatura segue le lettere dell’alfabeto: a b c, etc.) preceduta da una breve comunicazione di Lucio Fontana attorno alla quarta dimensione delle sue tele tagliate e bucate,[12] domina la posticipazione segnalata dall’incipit: “la poesia scritta sulla pagina/ successiva a questa”[13]. Infatti, sul piano diacronico siamo di fronte a un palinsesto (come indica indirettamente Paolo Gera) per cui a una composizione poetica ne segue un’altra che cancella la precedente, o in parte la muta, poiché il cerchio non può chiudersi senza che appaia sempre un resto a rilanciare il gioco: “c’è la poesia che non riesce a dormire sotto il foglio bianco” (b).


la poesia scritta sulla pagina successiva a questa

è un cruciverba.

Parole in croce.

Il dolore, il martirio per non conoscere…

[…]

La poesia sulla pagina dopo

ha paura di smarrirsi per sempre, di non compiersi

di non trovare, di non fare luce, di non venire alla luce,

sbatte su questa pagina e crolla ai suoi piedi,

raccatta parole che non c’entrano niente.

(c)


Generalmente parlando, con queste composizioni siamo di fronte a una sorta di fenomenologia della scrittura poetica verso la “luce” già indicata all’inizio nella lallazione, la quale non si regge sulla padronanza e il ‘saperci fare’, ma tramite un processo (anche nel senso di processare) verso il mistico candore della pagina bianca. Insomma, il poeta, messa da parte la codificazione delle strutture poetiche, presenti in morigerati effetti sonori[14], e l’economica ritessitura dei rifiuti, avanza a ritroso verso la fonte, superando anche la lallazione con cui inizia il libro, per raggiungere la povertà di Francesco. L’opera è complessa, oltre che com-plicata e embricata, per cui, pensando al lettore, riporto per intero la pagina al paragrafo d.


la poesia scritta sulla pagina

successiva a questa

è scritta per riempire uno spazio bianco

lasciato da un testo diverso dal suo

si è posta in margine

ad altre parole scritte fitte

e lette tra uno sbadiglio e un altro

non sa neppure se fosse lecito farlo

se le sue parole buttate là in fondo

possano invalidare il documento ufficiale

l’atto notarile il rogito immobiliare

possano peggiorare la sensazione vergata dal superiore

chi ne importa

sono cose che si fanno senza pensarci

per noia e per leggerezza

sono lo scarabocchio universale

eppure quella distrazione ha la forza della distruzione

attira su di sé lo sguardo e lo cattura

è un irresistibile ordigno

cancella ogni testo che abbia una precedenza

anche quello scritto su questa pagina

d’ora innanzi nessuno leggerà il testo pubblicato

ma la breve poesia dell’altra pagina

scritta in margine sopra una spazio stretto e bianco


L’ultima composizione, di soli quattro versi, rimanda alla pagina successiva, che è bianca…


nella poesia scritta sulla pagina

successiva a questa c’è un rapporto completo

sui miei propositi futuri di scrivere poesia.


Note

[1] Puntoacapo-editrice, Pasturana (AL) 2021. [2] Gera inizia con la lallazione, probabilmente riferita al neonato, il quale invoca l’Altro da cui dipende e che gli trasmette la lingua, per poi avanzare verso “l’ammasso”. [3] Ogni sostanza lavorata lascia inevitabili scarti, vittime della separazione: l’oscuro e vischioso sedimento dei distillati rispetto agli spiriti paradisiaci di liquori e profumi, e così per l’estrazione di metalli e pietre preziose. La colofonia, residuo delle trementine distillate, è tuttavia necessaria a far vibrare le corde degli strumenti ad arco. [4] L’orrorosa slavina non può giungere dal paradiso, bensì dal male originario: la natura di tutti contro tutti (Linneo) compresi gli astri in cui non v’è traccia, se non per via simbolica, del Summum Bonum. [5] Anche se la critica chiede il confronto con la storia della letteratura, e i ‘colleghi’ di aderire alla loro koiné, ammesso vi sia fra loro un minimo di riconoscimento anziché scaltre strategie di potere. In caso contrario il non ‘koineico’ si trasforma in outsaider. [6] La mancanza di condensazioni risponde al criterio con cui Gera, in termini di positiva sovversione (parteggiando anziché fare il neutrale come molti vorrebbero) dilata la fabula, impedendo l’ordine che il lettore si aspetterebbe. [7] Scanditi da alcuni versi danteschi, i quali potrebbero fare da guida. [8] C’è chi enuncia: sono poeta. No, tu non sei, ma fai il poeta nel momento in cui ti è dato. [9] Paolo Gera potrebbe, allora, anche chiedersi: “Ma questi oggetti provengono dalla fonte del poema come indecidibili, o sono caramelle per solleticare le papille degli annoiati? [10] A infastidire non è l’inadeguatezza del linguaggio, ma il suo labirintico e ingannevole eccesso. [11] Nel V paragrafo, cap. 19, in “quello che ama le nuvole” c’è la reminiscenza di Baudelaire, e in “quello sul battello ubriaco” di Rimbaud. [12] Per la quarta dimensione Fontana è preceduto dai cubisti con i loro ribaltamenti. L’idea del nulla, già proposto da altri con tele nere o sole cornici, mi pare risponda alle parole di Jean-Philippe Domeq: gli artisti compongono enunciati che i critici rielaborano a prescindere dell’opera, spesso dissacratoria, salvo poi essere battuta alle aste e acquistata dai gruppi finanziari come un nulla milionario. [13] Nel salvare e chiarire, il rimando si offre nell’aspetto di un successivo defalco verso la povertà francescana, dove la ricchezza è data dalla silente purezza del foglio bianco. [14] Può darsi poesia anche nella prosa, come chiarisce l’autore, e in precedenza, se ricordo bene, Francesco Flora.




Comments


Post in evidenza
Post recenti
Archivio
Cerca per tag
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page