Paolo Pagani, La letteratura come educazione alla Storia. - Una breve riflessione su Mario Rigoni Stern
La scrittura di Mario Rigoni Stern è sempre fortemente intrecciata col contesto storico e geografico in cui è collocata la narrazione. A partire dal primo celebre testo, Il sergente nella neve (1953 ), e attraverso le opere dedicate al mondo contadino e all’ambiente naturale dell’altipiano di Asiago. Fino ad una delle ultime, che ritengo sia, in qualche modo, il suo testamento spirituale. Si tratta di L’ultima partita a carte (2002), in cui diventa esplicito e tematizzato l’intento educativo.
Il libro infatti nasce da una conferenza storica che l’autore ha tenuto alla Fondazione Cini. che ha avuto un tale successo da spingerlo a rielaborarla trasformandola in narrazione scritta, pensata e rivolta ai giovani. Ai giovani di oggi, da parte di un uomo ormai ottantenne, passato attraverso varie guerre Un racconto autobiografico (“un libretto di ricordi e testimonianza”), opportunamente focalizzato su un periodo delicato e doloroso della sua giovinezza.
Rigoni Stern infatti parte dal 1938, quando aveva diciassette anni, e si ferma alla fine del 1943, quando è internato militare in un campo di concentramento tedesco. Scelta acuta: non vuole fare un riassunto storico- militare della seconda guerra mondiale, ma una storia della maturazione della propria coscienza personale. E in questo senso si rivolge ai giovani: parte dalla propria inconsapevolezza di ragazzo per giungere, come giovane adulto, al rifiuto della guerra, della propaganda illusoria e delle mistificazioni politiche con cui lui, come tanti altri della su età, erano stati storditi e sedotti per anni. Parla senza prediche e discorsi ideologici, ma con “il dispetto e il dolore” con cui ha ricordato gli inganni e le illusioni in cui era stato intrigato.
Ma è proprio qui il punto: Rigoni Stern cerca di spiegare ai suoi lettori l’inspiegabile. L’ignoranza in cui erano tenui, anche con la propria complicità, dal regime. “Non sapevo quello che si stava preparando nelle Cancellerie e negli Stati Maggiori di Germania e Italia. La morte ci porgeva i bicchieri con i quali brindavamo.” Come sia stata possibile tanta ottusità, tanta cecità di una intera generazione caduta in trappola. Che non colpevolizza, perché riflette su di sé. È una autocoscienza in prima persona. Di come abbia potuto passare dall’essere giovane volontario, poi graduato degli alpini, all’Albania, alla Russia. Una via crucis di memorie e di amarezza, la cui ultima stazione è appunto “l’ultima partita a carte”, giocata prima della partenza per il fronte orientale. Con il vecchio zio convinto che “non avremmo vinto mai”, e il giovane Mario che ancora si illude “vedrai che finirà presto”. Le prime crepe nella rete di inganni. Ti auguro solo di tornare, conclude lo zio.
Ma la vera ultima tappa di questo cammino doloroso, e con la presa di coscienza definitiva, pagata con venti mesi di lager, sarà dopo la guerra. Quando il sergente Rigoni incomincerà a scrivere. A raccontare, per ricordare (come Primo Levi), che questo è stato. Soprattutto ai ragazzi di oggi, perché è diventato “ facile dimenticare il nostro non lontano passato”.
Paolo Francesco Pagani abita fra il Monferrato e Milano, dove è stato a lungo docente di Filosofia e Storia. Ha pubblicato saggi su riviste fiosofiche, come Kainos e Azioni Parallele, e geostoriche come I viaggi di Erodoto. Si interessa da tempo del problema del linguaggio, in particolare poetico. Interesse che è sfociato in una produzione poetica contenuta ma costante, pubblicata su varie riviste, quali Il Monte Analogo.
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