Luca Benassi su "Luoghi sospesi" di Annamaria Ferramosca"
Sopra la sfera azzurra del mondo. Una riflessione su Luoghi sospesi di Annamaria Ferramosca
di Luca Benassi
La prima riflessione che è opportuno fare, leggendo la raccolta Luoghi sospesi di Annamaria Ferramosca (puntoacapo Editrice, Pasturana 2023), riguarda il titolo. Ci si chiede, infatti, di quali luoghi si tratti e la natura di questa sospensione, se sia nello spazio o nel tempo, o se il lettore debba invece affrontare un territorio psichico e memoriale, dove tempo e luogo siano invece una dimensione di transito, di maturazione e quindi, in fin dei conti, letteraria. A parere di chi scrive questi luoghi sono, piuttosto, un punto di osservazione per gettare uno sguardo sul mondo che vada oltre l’umano, oltre l’io, oltre la Storia. Si tratta, dunque, di trovare il punto di vista, un luogo sospeso – cosmico e distante - dal quale cogliere il lento girare della palla azzurra della terra e della luna, «un tempo non tempo» dal quale scrutare la solitudine del sole («una stella solitaria /chiamata sole»), fare
«zoom su tutte le città ferite a morte», osservare il mondo e i suoi abitanti. Scrive la poetessa:
«terra mia terra circolare/ vecchia ruota obbediente all’innesco primordiale /magnifica sfera votata all’attrazione /tu che sopporti dell’umano ogni gravità /e reggi anche il mio peso/ tu che paziente a ogni giro mi ripeti /l’infinito accoglie te come /il tutto e insieme il nulla /dunque non farti inutili domande //ti dico grazie per questa compassione /ma ammetto sono inadeguata /non afferro non afferro il senso.» Ferramosca sembra mettersi in osservazione, dunque, da un luogo sospeso, da un punto di vista esterno al mondo, al tempo e allo spazio, e non è un caso che due delle cinque sezioni che compongono il libro richiamino proprio una visione prospettica: Di là dal vetro e Fuori dalla finestra. Prima di capire cosa Ferramosca osservi e quali riflessioni ne scaturiscano, è opportuno indagare come osservi, cioè quale sia il dato formale e strutturale del libro. Luoghi sospesi è diviso in cinque sezioni (Di là dal vetro, Si fa teatro, Fuori dalla finestra, Un nulla d’amore, Sarà come vincere), e solo all’apparenza si mostra come una raccolta di poesie. L’assenza di titoli, punteggiatura (con la notevole eccezione dei trattini e dei punti interrogativi dei quali si dirà in seguito), di maiuscole, ma soprattutto la continuità del flusso poematico e riflessivo avvicinano questo libro a un poemetto. Le continue domande, l’adozione della prima persona singolare o plurale, la presupposizione di un tu (o meglio un noi) al quale l’autrice si rivolge richiama, invece, il monologo e una dimensione teatrale (richiamata esplicitamente dal sottotitolo del libro Recitativo in cinque stanze e dalla sezione Si fa teatro). Ad alimentare la riflessione sulla natura di quest’opera concorre l’aspetto grafico. Nel libro vi sono, infatti, alcuni testi riportati in corsivo intercalati agli altri in carattere normale. Ci si chiede il perché di questa scelta e quale sia la funzione di queste poesie graficamente (e non solo) distinte dalle altre. A chi scrive hanno ricordato il coro delle tragedie greche. Non è qui il caso di ripercorrere storia e funzione del coro nella tragedia. Basti menzionare come la sua iniziale funzione scenica e musicale, e la sua progressiva trasformazione in personaggio collettivo contribuirono a generare l’innesco per la trasformazione del monologo in tragedia, affidando a questi le riflessioni morali e religiose e facendolo partecipare all’azione dei personaggi. Nell’opera di Ferramosca i testi in corsivo hanno una funzione corale, rendendo Luoghi sospesi una quasi tragedia, un monologo (rectius un recitativo) con un coro che interloquisce, commenta e sottolinea la partitura del personaggio principale,
attraverso un’iterazione di senso che fornisce al macrotesto un valore scenico (la stessa autrice ha più volte rappresentato il testo in letture a due voci accompagnate dalla musica). Le pagine in corsivo rappresenterebbero, dunque, un quasi personaggio capace di fornire riposte (o stimolare ulteriori quesiti) alle domande poste negli altri testi.
In questo contesto formale e scenico, Ferramosca conduce una riflessione inquieta e profondissima sull’essere umano, le sue relazioni con la natura, il tempo e la Storia. La poetessa si interroga su una natura fatta di elementi essenziali che precedono la vita e la comparsa della razza umana. Si tratta di un contesto naturale privo dei connotati elegiaci del paesaggismo e della descrizione naturalistica, ma che piuttosto si avvicina al linguaggio della scienza, all’indagine della geometria dell’universo, dell’infinitamente piccolo e dell’immensamente grande, richiamando certo percorsi metafisici di Pier Luigi Bacchini e soprattutto la riflessione dolente e distaccata di Leopardi (chiamato in causa a pag. 28 e 85). Si tratta di una natura che precorre l’essere umano e la sua vicenda spirituale e terrestre: ne sono spia i termini previta e prenascita, ma anche quelli riferiti alla chimica, alla biologia, alla fisica, cioè agli elementi primi, costitutivi della materia e della vita di una Terra primordiale e meccanica. Si tratta dell’«oscura ragione» dell’esistenza, del tempo e della sua connotazione come variabile fisica del cosmo, e degli elementi che sono in grado di accendere la vita: «il tempo sa come dissolvere i corpi /modificare il soma addensare / vocabolari coi nomi del paesaggio /il tempo vede l’armonioso concerto /tutto questo felice dispiegarsi di / fisica chimica biologia //ho letto cento libri di scienza della vita / oh natura quanta buona invidia / dei tuoi segni natura /ovunque protesa /verso arcani di bellezza natura /arca inspiegata.» Nella poesia di Ferramosca le interazioni chimiche e fisiche vengono calate nel linguaggio stesso, attraverso l’invenzione di neologismi che sono il frutto della combinazione di termini, in alcuni casi dal significato opposto. In questo senso, lo sperimentalismo di Luoghi sospesi si pone nel solco di quanto già osservato nelle precedenti raccolte, con l’ulteriore connotato dell’adesione ai principi dell’interazione chimica, dove, al pari degli elementi della tavola periodica, termini semplici si combinano per creare composti linguistici dal significato rinnovato. Si tratta, dunque, di una chimica del linguaggio che in questo libro ricalca la scienza: «ecco il vero termine che dispiega le ali / dalla cavità trasparente dove tutto de-canta /in azotossigenobiossidodicarbonio /e può accadere che i gas disegnino profili familiari»
Luoghi sospesi è un viaggio nel tempo e nello spazio che si spinge verso tre direttrici distinte. La prima direttrice riguarda la bambina che si fa donna («bambina /isola d’occhi indagatrice / non avverte fame né sete /fuori dal tempo / sola nella stanza / per ore a guardare / di là dal vetro / fuori dalla finestra //piove / ma piove davvero? / e io sono davvero? / come sono arrivata fin qui? per fare cosa? / ma chi sono? trovo così strano / sentirmi mentre penso e muovo / il mio pensare e perché solo il mio?»). La bambina è, infatti, il personaggio che si incontra nelle primissime pagine della raccolta: è la poetessa-bambina che parla in prima persona («sono così misteriose queste cose mi angosciano / mi danno il mal di testa / forse capirò tutto da grande / ora meglio non pensarci»), oppure la poetessa adulta che si rivolge a sé stessa bambina («con gli anni s’increspano i capelli / s’incurva il naso un po’ troppo sul dorso / qualcuno sta lasciando / la sua beffarda firma sul mio corpo?»), senza potersi escludere un dialogo con la discendenza alla quale affidare un lascito di poesia. Questa infante-adulta è accompagnata da un secondo personaggio che rimane silente tutto il libro: un gatto bianco il cui silenzio ricorda il gatto Alvaro di Elisa in Menzogna e Sortilegio del 1948 di Elsa Morante. Si tratta di una
presenza misteriosa che si fa portatrice del sogno e del destino e che sembra guidare la poetessa nelle inquiete esplorazioni dell’inconscio: «amore lancinante che poi dilegui /– ogni tua sagoma è falsa là fuori – /anche tu come gli altri vero abbaglio /e rimpianto /ché un po’ speravo / poter essere almeno in tre /io gatto e tu /insieme a cercare graffiare /tende divani /incarnati destini ». La seconda direttrice è il viaggio nel tempo della Storia primordiale: l’esperienza della grotta, del primitivo come luogo dove ogni esperienza fondante si compie. Si tratta di un percorso nel simbolico, teso al recupero di una dimensione del sacro primordiale, antecedente e fondativo all’esperienza religiosa. Il cerchio, la spirale, petroglifi, dolmen e menhir abitano la poesia di Ferramosca e ne costituiscono l’elemento allegorico dell’esperienza dello spirito primitivo, che in quest’ultimo libro si carica di ulteriori azioni: accendere un fuoco, creare uno strumento, scolpire un’amigdala, tracciare un graffito diventano il segno del fare come rito di passaggio verso l’umanità e la sua espressiva pietas: «misterioso l’innesco che avvia / la mano a sospendere / l’alba dei tempi // quel fermoimmagine / sciamano danzante / nella Grotta dei Cervi // come posso non esistere? / ero là abitavo quella grotta / lavoravo l’amigdala / ne ricordo il margine scosso». Infine, la terza direttrice è il viaggio verso i luoghi del cuore e dell’infanzia: il Mediterraneo, la Puglia, il Salento con i suoi uliveti, le grotte, le coste frastagliate. Si tratta di una terra remota non solo perché appartenente all’infanzia della poetessa, ma soprattutto perché è luogo di nascita delle civiltà, di incroci di culture e, prima ancora, dell’esperienza preistorica dei primi uomini. È un Sud ancestrale ed edenico, luogo del simbolo che solo a tratti si riesce a riconoscere in una terra definita, ma che, piuttosto, è una patria del ritorno, un’ Itaca situata nello strappo della cartina, nella quale far sbocciate il racconto, l’epos, la poesia:
«qui ogni sera approdano /voci dal vento che ha sfiorato Itaca /assoluta isola desiderio /riconosco le note petrose /staccatesi dalle grotte del mito //il mare di mezzo ha sempre /questo suono sorgivo /come di vita al nascere /come il primo racconto // penso alle dita che si sfiorano / nella Creazione di Adamo /– futuro di nascite e promesse – // vedo il vento d’Itaca / muovere quelle mani / pietose si staccano dalla volta / toccano la mano di chi scrive // ogni volta rinasco se scrivo / pioggia sui vetri / navigo / mari di solitudine / o qualcuno in silenzio / mi sta vivendo accanto?»
L’amore ha un ruolo di primo piano in quest’opera, soprattutto nella quarta e quinta sezione. Si tratta di un amore nel quale si insinuano il possibile, il non accaduto, l’immaginato; si rivolge a un tu – non solo maschile - che si fa noi, abbraccia la sorellanza e la figliolanza per finire per coincidere con la discendenza, con il risalire e discendere per la catena delle generazioni. Lungi dal cedere all’emozione romantica e al sentimentalismo – elementi da sempre estranei alla poesia di Ferramosca – l’amore di Luoghi sospesi riesce a farsi geometrico, astratto, al pari di una forza della natura («amore / effetto solare collaterale? / amalgama casuale / di radiazioni e tempeste?»), una sorta di gravità o interazione chimica alla quale non è possibile sottrarsi: «forse è nel sentire il senso? / sentire benevolenza salire dalla terra / sentire come largo l’amore scorre / come plasma corpomenteparola / come emoziona perfino l’acqua e l’aria / come muove la pietra // sentire prossimità in ogni creatura / sentire il suo sfolgorio il suo declino / sentire tutta la mite materia terrestre / ogni volta rinascere mite». All’amore come forza di coesione si contrappone la solitudine («matta voglia di rompere questi vetri / saltare dalla finestra / farmi estranea a me stessa») che disorienta e mette in crisi i fondamenti dei rapporti. In questo libro vi è la riflessione dolente su come la relazione sia spesso nascondimento della verità e, dunque, finzione e recitazione. In particolare, nella sezione centrale, Si fa teatro, Ferramosca scrive dei testi incentrati sul «fingere di vivere davvero», segnando una dicotomia fra l’io, gonfio e autoreferenziale che appare e si relaziona (rectius si interfaccia) in un contesto sociale sempre più rarefatto e telematizzato, e un noi collettivo (che dovrebbe essere) capace di esprimere le esigenze del sacro come simbolo del bene comune. L’io individuo diventa persona, termine di origine etrusca che nel primo significato latino vuol dire maschera da teatro e quindi nascondimento della propria umanità in favore di caratteristiche non di rado caricaturali, amplificate dalla subcultura social che enfatizza il solo apparire. «e non ridete voi voi inesistenti / – così torno a pensarvi – / nei vostri penosi emoticon / ché vi so dissolti nelle lande virtuali // siete meno che nulla non avete / nemmeno un fotone acceso che scaldi / nemmeno riuscite a emettere / un solo bip di senso».
«La terra è per Ferramosca un paesaggio di parole» scrive Elio Grasso nella nota che correda il volume, evidenziando come Luoghi sospesi sia (anche) un’intensa riflessione sul ruolo della poesia e, prima ancora, della lingua come strumento di condivisione. Più in generale, il discorso poetico di Annamaria Ferramosca mira a cogliere quel punto preciso nelle vicende del primordio dell’essere umano dove il segno - inteso come gesto e come traccia materiale - si fa linguaggio. Quel punto che per la poetessa segna l’inizio della Storia e della poesia come espressione della capacità umana della creazione e dell’astrazione. Ora, in questo libro, Ferramosca prosegue in questa riflessione aggiungendo un ulteriore elemento: una posizione difensiva dove il linguaggio si fa baluardo contro la barbarie della dispersione del senso che devasta natura e civiltà a un tempo. Verso la fine del libro, quando la riflessione sulla poesia e il linguaggio si fa più serrata, aumentano i termini tecnologici, da drone a password, e contemporaneamente si fa più stringente la riflessione civile contro il vuoto e la pochezza dei social, dove si vive di emoticon «dissolti nelle lande virtuali». In tale contesto, Ferramosca si fa cosciente di una responsabilità, quella del poeta verso la parola. In un mondo dominato dalla futilità dei messaggi, dove la conoscenza è sostituita dalla pochezza degradata ed effimera di post e reel che intasano i sistemi tecnologici di captazione di massa e i social network, la parola poetica («l’estrema dignità delle parole») sembra avere la solidità del dolmen, l’ostinazione verticale del menhir, la consistenza significante della pietra scheggiata o incisa delle pareti delle grotte, capace di resistere al tempo e alla mutevolezza di opinioni e commenti troppo spesso privi di fondamento.
Eppure, l’innanzi citata «dignità delle parole» non significa presunzione di avere certezze e imporre verità. Luoghi sospesi è piuttosto l’opera del dubbio e dell’interrogazione, è un libro fatto di domande, cartesiano. Nello sfogliare le sue pagine si viene colpiti dal numero di punti interrogativi che costituiscono, insieme ai trattini, la pressoché unica forma di interpunzione. Se i trattini riportano alla scrittura di Emily Dickinson, e, sostituendo virgole e punti e virgola, hanno una funzione di sospensione dell’io lirico, generando attesa, ritmo e respiro, l’uso sistematico dei punti interrogativi – che in questo libro sono ben 82 - chiama in causa il lettore, lo interroga nel profondo riportandolo dalla pagina al terreno della sua riflessione umana, della storia e, in definitiva delle scelte della vita. In questo senso, lo scopo, la bellezza e la necessità di Luoghi sospesi risiedono nella capacità di indurci a porre domande. Di sollevare il lettore sopra la sfera azzurra del mondo – dove il nostro quotidiano affannarci appare come l’andirivieni di minuscole formiche - per dubitare delle grandezze che sono in realtà minuzie, delle verità che non sono che pigre adesioni all’immagine virtuale del noi, alla ricerca di un discernimento che venga dal cuore prima ancora che dalla mente.
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