Fernanda Caprilli su Ivan Fedeli, Cose di provincia, puntoacapo Editrice 2022
Cose di provincia, l’ultimo lavoro di Ivan Fedeli, contiene nell’incipit (La lista di Gionata), la poesia che apre la raccolta e ne presenta i temi. Primo fra tutti quello della salvezza individuale e collettiva affidata ad un nome che ne salvaguardi la memoria prima che il tempo lo cancelli. Segue l’invocazione a Gionata affinché sia la sua voce che quella del poeta siano tali da “conservare volti e / giorni a lungo quasi una gloria buona / li abitasse…”. Fedeli sa benissimo che solo la memoria può riscattare una vita, anche quella di coloro che non hanno voce né potranno passare alla storia. Ecco allora che la provincia diventa il luogo privilegiato della narrazione,
perché è come un microcosmo che permette di dare un senso alla vita altra, quella in cui tutti i giorni siamo immersi, consentendoci di tornare alle origini, ai valori di cui quel mondo era portatore. Questa provincia indeterminata, certamente lombarda, richiama il volto di tutti i piccoli borghi sparsi nel nostro paese e ne descrive la vita nei gesti, nei luoghi, nei ricordi… metafora del nostro distacco e insieme nodo inscindibile di affetti e consuetudini. Strade e vicoli non hanno nome e scivolano via senza che possiamo ricordarli; solo, in lontananza, il quartiere “dalle case rosse di mattoni” dove qualcuno si affaccia a guardare la vita.
Rimangono i volti degli abitanti, a volte i nomi, altre le professioni come (Il signore degli orologi) o il ruolo svolto nella vita (Il sartino); ma, come si legge in (Il Pino), “Anche oggi / è così che non sai se s’invecchia o / resta protetta ogni cosa dal senso / dei nomi nemmeno una forza buona / li contenesse in sé prima di farli / radice del luogo o sostanza pura…”. I nomi dunque a protezione della nostra identità, del nostro essere stati qui sulla terra. Nascono così personaggi spesso scomparsi ma vivi nella memoria e nell’immaginazione degli abitanti come (Il Maren) o (L’Anna del Fontana) che “aveva sguardo tinto e la tristezza / di chi esiste senza vivere”, il cui nome resta “tutto / lì nella solitudine dell’aria / inconsapevolmente intatto, raro”.
È il tema delle «piccole cose», come osserva Marco Beck in Prefazione, che diventa dominante in tutta la raccolta, sia che si tratti di persone, di gesti abituali, sia della vita di provincia che scorre monotona e uguale con i suoi tempi, i suoi riti, i suoi personaggi reali o immaginari. Immaginazione e realtà si fondono spesso, nella poesia di Fedeli, creando personaggi che esistono solo là dove “si pensano o si immagina che siano”, ma, come si legge in (L’Ettore), è la poesia che rende possibile ogni cosa!
Raramente Fedeli propone una poetica distesa, eppure la sua poesia si offre al lettore nello sguardo attento con cui scruta in profondità l’animo umano e lo lascia libero di spaziare su quel cielo azzurro di provincia, simbolicamente assunto a immagine di quiete, di libertà, di sogno. È questa la direzione “totalizzante” di cui parla Beck e che rimanda all’ultimo Luzi, a quel suo finalmente realizzato incontro fra scrittura e vita, quasi un punto di arrivo nel lungo percorso poetico attraversato, in cui la ricerca di Fedeli trova anche un suo punto d’incontro e di felice realizzazione.
Arezzo, 21 marzo 2022
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