Luigi Finucci - inediti

*
dei porti verdemare le conchiglie
sono scomparse in piccoli scomparti,
le mani minute hanno altro da fare.
Le bambine stanno ore e ore a ripetersi
raccontando alle onde che non c'è
un solo orizzonte: a pancia all'aria
tutto è sereno, la schiena e la nuca
hanno cuscini azzurri e i sogni e i pesci
e il presente - il presente è così ora!
Domani, verso la mattina, l'acqua tornerà
ad essere limpida, le barche saranno lontane
senza il rumore bianco dei pomeriggi d'agosto,
arriveranno sotto forma di cresta, a riva
gemelle, a raccontare un incontro gentile.
*
questo legno dove poggio le ossa
fra gomito e polso, ricorda la Scandinavia.
Travi di boschi fitti verdi e neri
frane di gola senza parole, casa
protezione cubica per gli affetti:
i piatti, le stoviglie e le risa
che nemmeno si vedono, stanno
in camera a fare prodigi.
C’è anche una bella finestra
e una cartina del mondo dove
c’è scritto Vasco da Gama. Lo ricordo.
Fuori c’è il vento, le foglie
si permettono di avanzare
sulle soglie senza bussare:
l’erba non è verde, ma
è come se lo fosse.
*
È tutto casuale. Il momento in cui
mi siedo a terra, l'attimo che alzo
gli occhi al cielo. Gli uccelli fanno
dei cerchi. Come le mani di un bambino
impongono alla matita di fare linee
senza senso. Così sono le traiettorie del cielo.
Continua per ore, il volo degli uccelli
ad intrattenermi. Lo scomodo
dei sassi sul cranio: si instaura
così una dimensione altra che
mi rimette al mio posto. Al pari
di un rumore d'onda.
*
I campi hanno il colore del grano
e sulle curve gli orizzonti mutano
i lineamenti. I tigli hanno
una fioritura pesante: pizzicano
il capo ai passanti. Nascosta
c'è una stradina, si perde
sulle mura di una casa abbandonata.
E sembra quasi di sentire delle grida
di bambini che non ci sono più.
*
Eccoli tutti i balconi, respirano
i canti degli uccelli che portano
l'aria dove le foglie scendono.
S'affacciano timorosi al cielo
bassi ad arrivare al ventre: e
i fogli di carta abbracciano
la metamorfosi delle ali e
gli occhi patiscono la crudele
natura di non sentirsi scorrere
le lacrime addosso, azzurre.
*
solo di giorno ho sentito il marmo
per le scale raccontarti il divario
che saltavo due a due, tanta era
la frenesia. Le nove e ventidue
del mattino, la pianta dell’albicocco
aveva le rughe di mio nonno,
l’eretta posizione veniva
a mancare. Intorno al tronco
la terra era scura, i semi stavano
più in là: i frutti stavano sospesi
quasi a dire – primavera ed estate
siete così lontane.
Durante la preghiera della sera,
la bocca tradiva tutti. Ripetevo
a memoria una poesia, come
a sfidare quegli occhi severi:
il cibo non fa per te, casomai
il cielo.
Casomai il cielo.
Luigi Finucci nasce a Fermo il 15 maggio 1984. Dopo aver vissuto fino alla maturità a Montegiorgio, vive tra Urbino e Firenze per poi tornare a Fermo, dove attualmente risiede. Ha pubblicato tre libri di poesia: Le prime volte non c’era stanchezza (Eretica edizioni - 2016) e Il Canto dell’Attesa ( Ladolfi Editore – 2018) e La prima notte al mondo ( Seri Editore - 2024) .
Ha inoltre pubblicato tre libri per bambini, in rima, per la Giaconi Editore: L’aspirante Astronauta nel 2015, Il paese degli Artigiani nel 2018 e Il Mondo di Sotto nel 2021 e un albo illustrato poetico dal titolo CAMMINO – sulle orme di San Francesco nel 2022.
E’ presente in vari siti, tra cui Atelier, Poesia del nostro tempo, L’Estroverso, Margutte, AlmaPoesia, Poetarum Silva, Poeti del Parco, NiedernGasse, Poesia Ultracontemporanea, larosainpiù, Inverso – Giornale di Poesia e L’altrove – Appunti di poesia. Vincitore della 25° edizione del concorso “Poesia di Strada”. Collabora con alcune riviste online e alcune sue poesie sono tradotte in diverse lingue, tra cui il rumeno e lo spagnolo.
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Le cose vive e le cose morte
hanno confini troppo alti, le mani
ferme fanno angoli scaleni
di vertigine, che mi chiedo
dove va la parola, dove va?
Tutti quegli occhi guardano i cancelli
i cani aspettano più degli uomini
scelgono una soglia dove prendere tempo.
Vorrei solo ricordare per sempre
la commozione di quando dicesti
su quella via eri così piccolo, così piccolo.
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