#cosaleggeleditrice - Sul banco dei pesci di Carlotta Cicci
Che quello di Carlotta Cicci fosse l’esordio dell’anno 2022 non era necessario che lo sancisse nessun Premio, è un dato di fatto.
Classe 1984 artista a tutto tondo esce con la sua prima raccolta “Sul banco dei pesci” per L’arcolaio con una prefazione magistrale di Alberto Bertoni.
Dopo due poesie iniziali, quasi lascito e ammonimento all’entrata, una specie di salvacondotto, la raccolta si divide in quattro sezioni, di cui una “Bestie caute” è poemetto.
La forza devastante della poesia di Cicci sta nella sua onestà (a modo aderente alla definizione di Saba) e nel suo non scontare nulla al lettore, anzi costringendolo a vedere le storture della società occidentale nella quale viviamo.
È una poesia di vita, intrisa di gesti e passaggi (riti di iniziazione, scelti o talvolta subiti) comuni a chi oggi si affaccia ai Quaranta, potremmo dire "esperienze generazionali" quasi. La struttura delle singole liriche non è omogenea ma molto fluita e molto ariosa: conosce i vuoti l’autrice e se ne ciba utilizzando anche nel lessico riferimenti al corpo, alla sua esperienza e alla sia necessità di esistenza per poter affermare di essere al mondo. Fare parte del mondo.
Anche l’uso dei verbi all’infinito in più testi e con ritmo sempre serrato lascia alla mia lettura il senso di un divenire da dentro se stessi al fuori, al voler (quindi con intenzione) essere altro.
Non a caso la raccolta si chiude coi versi “ho bisogno di risposte / umane”
È la consapevolezza degli anni quella di cui ci parla Cicci: quella capacità di inquadrare le cose dall’alto (ma anche di sbieco) e di renderle fruibili anche per chi quella "cosa" specifica non l’ha vissuta sulla sua pelle (ne sono da esempio le poesie sul parto), ma che grazie a lei riesce a toccarla a carpirne la tensione, lo spasmo.
Una forza espressiva e singolare, distante dalle narrazioni e dalla poesia accademica, o di linea, e che mi fa sperare di poter leggere presto la seconda raccolta.
