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Valerio Cuccaroni su La circonferenza della vita di Salvatore Ritrovato


La lirica è un discorso (logos) dell’io (ego), dunque la «egologia» di cui Salvatore Ritrovato parla nel suo nuovo libro La circonferenza della vita (Marcos y Marcos, 2022), in particolare nella poesia In ritirata, è una possibile definizione di questo antico genere poetico, che accompagna da oltre due millenni e mezzo la storia della coscienza occidentale, dai tempi di Saffo e Alceo fino a Coen e Tempesta, quattro poeti a cui l’autore allude implicitamente o esplicitamente nei suoi versi. Si potrebbe pensare che Ritrovato si ricolleghi alla tradizione filosofica moderna, che in Italia trova in Papini, per l’esattezza nel Papini direttore dell’importante rivista fiorentina «Il Leonardo» insieme a Soffici, un suo teorico, laddove scrisse che «Molti problemi metafisici non si risolvono che con l’azione», per cui «per farsi una filosofia è bene farla adatta al nostro io», che è appunto «la teoria dell’io, l’Egologia» (Giovanni Papini, Morte e resurrezione della filosofia, «Leonardo», 1903, dicembre, pp. 11-12), ma soprattutto, in modo più pertinente rispetto al retroterra culturale di Ritrovato, al filofoso e moralista francese Louis Lavelle, fondatore e rappresentante del movimento cristiano della Philosophie de l’esprit. L’egologia di Lavelle è una restaurazione della metafisica, ottenuta riconoscendo l’universalità all’esperienza intima della persona, portatrice dei valori. Tuttavia, leggendo per intero la poesia In ritirata si scopre che è un’egologia d’en bas, infatti non è l’egologia di un poeta filosofo ma di «un mona», cioè, nei dialetti settentrionali, di uno stupido, inoltre è considerata triviale, ovvero banale e commerciale: «trita (ma che vende) egologia di un mona». Allargando ancora di più lo sguardo sui versi che incorniciato questa definizione, siamo precipitati nell’interrogazione filosofica per eccellenza, dal memento mori di Seneca fino al dasein, all’esserci per la morte di Heidegger e dell’esistenzialismo: l’egologia è associata al pensiero della morte, nato durante una svolta depressiva della vita, in «un angolo / remoto come questo, devo riconoscere / il forte e laido odore della morte e interrogare / impaziente sulla riva della vasca / i flutti che precipitano nel gorgo finale». Di fronte a questa visione mortifera, abbassata al livello del quotidiano, l’io si interroga: «Schiatto? Ce la faccio? Ecologia della persona / o trita (ma che vende) egologia di un mona?». Questa doppia coppia di domande è disposta simmetricamente, con coppie di figure di suono e di senso («Schiatto» / «faccio», bisillabi assonanti) e paronomasie in rima («ecologia della persona» / egologia di un mona»). Una raffinatissima simmetria ironica, tra concinnitas e callida iunctura: il tragicomico «Schiatto» si converte nello scettico «Ce la faccio?», così come l’accademica «Ecologia della persona» in una comica «egologia di un mona». Questa duplicità attraversa tutto il libro, nel quale gli opposti finiscono per coincidere, come l’inizio e la fine, nella «circonferenza della vita». La tensione verso l’assoluto, verso un dio in minuscolo («Ieri ho fatto il segno della croce») convive, emistichio dopo emistichio, nello stesso verso, con il vuoto e l’incertezza («non ricordavo i movimenti», da In hoc signo).

La circonferenza della vita è un libro sapienziale, frutto di una lunga meditazione sull’identità, sul tempo e sulla morte. È una sapienza, piuttosto che rinascimentale, barocca, seicentesca, aurorale, da era della scienza nuova, come dimostra la ricorrenza della metafora dello specchio animato («In genere nei treni gli specchi s’imbucano nei cessi / ma una mattina ne incontro uno fermo sulla porta: / prendere nota su chi entra e chi esce», da Lo specchio in corsa), combinata alla ricerca del meraviglioso e alla coscienza della mortalità umana («Lo specchio mi lavora dentro. Con quale logica del sogno / o dell’incubo? Tutto cambia casualmente / meravigliosamente dall’interno all’esterno del mio volto / nell’immagine di un altro infuso e nascosto / e qualcosa c’è oltre le porte degli occhi, un vetro / smerigliato che trattiene ogni sguardo / nella visione della sua morte», da La morte al lavoro), la metafora dell’orologio e della vita come sogno (in Parla l’orologio), nonché le epigrafi di Pascal e Bruno.

La vulgata vuole che la modernità sia iniziata nell’Ottocento ma in realtà è nella Querelle des anciens e des modernes, nel «cannocchiale rovesciato» che si colloca la frattura che è anche tentativo di ricomposizione, per cui si inventa l’età di mezzo come causa della scissione: in realtà, è la modernità stessa la scissione, il «sentimento del contrario», che spezza il continuum per cui Dante avvertiva Virgilio come un profeta della cristianità, mentre Petrarca avverte la distanza dei classici nel momento stesso in cui scopre le lettere di Cicerone ai familiari e cesella le sue epistole secondo quel modello.

Che il continuum sia andato in pezzi è espresso poeticamente da Ritrovato nella poesia Infinito presente, nella quale usa la metafora del termometro di mercurio per designare il medioevo: «Questo pugno di secoli che diciamo età di mezzo / è quanto resta di un termometro di mercurio / […] / Il medioevo è il ricordo di ogni frammento / come un termometro del moderno che un giorno finì in mille pezzi.» Così come filosofia e scienza, arte e società si scindono nella modernità anche prosa e poesia iniziano a separarsi in una inconciliabile divaricazione tra l’emarginazione della poesia e il successo della prosa in una società prosastica. Ritrovato, pur cosciente della frattura, tenta di ricomporla, proseguendo sulla linea novecentesca, verso la coesistenza di prosa e poesia, di andamento narrativo e slancio poetico, tra verso lungo e tramatura fonetica e metrica.

Così come la morte è l’ombra della vita, la prosa è l’ombra della poesia, la «visita» che la riporta «in vita».

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