Donatella Bisutti su "Prima" di Gabriella Cinti

Gabriella Cinti, in arte Mystis, nata a Jesi, è italianista, grecista, poeta, scrittrice, saggista, performer in greco antico. In poesia ha pubblicato: Suite per la parola (Péquod, 2008), Euridice è Orfeo, (Achille e la Tartaruga, 2016), Madre del respiro, con la prefazione di Alberto Folin (Moretti e Vitali, 2017). La lingua del sorriso: poema da viaggio con il saggio introduttivo di Francesco Solitario (Prometheus edizioni, Milano). È vincitrice di numerosi premi nazionali e internazionali e sue poesie sono presenti in diverse antologie poetiche, ed è tradotta in inglese, rumeno e greco moderno. Nel 2021 ha pubblicato con Mimesis un importante studio sul poeta Emilio Villa.
Il governo del due
tra quark danzanti e inusitati,
a celebrare il primo moto,
per onde, della materia.
Ne immagino un respiro oscillante
e vibrare per rimbalzi il coraggio dell’origine,
euforia delle cellule nell’urto primario:
C’è sempre un bacio all’inizio della vita
Le prime tre strofe della poesia L’amor che il sole e le altre stelle costituiscono una importante chiave di lettura della raccolta di Gabriella Cinti Prima. Come l’Autrice stessa dichiara nella sua premessa, al centro di questo suo lavoro c’è infatti “l’idea che al fondo di tutto, all’origine di tutto, si ritrovi un’inesauribile Amore come motore del mondo”. È grazie all’amore che la vita resiste alla sfida della natura e del tempo e si evolve in rapporto con il cosmo. La dimensione alchemica dei versi di Gabriella Cinti consiste nella ricerca di ciò che si combina, siano questi gli elettroni o gli affetti, la materia o le parole, quasi declinate in quel duale della lingua greca che purtroppo abbiamo smarrito, così come troppo spesso ci allontaniamo dalla parola mitica, quella dove risiede, appunto, il “prima”.
L’opera di Cinti è quindi un viaggio a ritroso verso l’origine, compiuto risalendo la corrente dell’evoluzione: una poesia paleontologica di grande fascino, che cerca il senso del divenire in creature estinte o antichissime, come la lampreda, l’euglena o il
Limulo
Da duecento milioni di anni
fai l’amore al plenilunio, immutabile fossilino vivente,
hai più occhi che corpo,
- e due solo per trovare la tua lei -.
E tante braccia per tua primigenia techné,
tu multiprensile d’aria e d’amore,
goloso di respiri e di vita afferrata.
Granchio misterioso venuto dall’Inizio,
il dono segreto dell’identità
permanente, custodito nel tuo guscio,
la tua vista di notte espansa a milioni,
il tuo sguardo multiplo, sbarrato d’immenso,
per navigare intatta la notte del tempo.
Proprio la vista ha un ruolo privilegiato nei versi di questa raccolta, sia quando l’occhio si proietta nella vastità dello spazio indagandone i segreti, tali solo a chi si ferma alla superficie e, soprattutto, di chi ha rinunciato allo stupore preferendo l’arida ragione fissando limiti laddove c’è solo infinito. Oltre alla luce fisica quindi, Gabriella Cinti si rivolge alla luce dell’anima e del linguaggio, come in Il vino d’aria della primavera dove spicca la strofa, per certi aspetti paradigmatica: “le parole della luce / mio scudo di fiori.”
Infine, in Prima troviamo sia la forza del mito sia un’indagine del rapporto tra filosofia della natura e poesia che si rifà a Leopardi, mantenendo sempre un rapporto con la nostra contemporaneità, con un’epoca che Gabriella Cinti, attingendo alla sua capacità di creare neologismi, chiama, con felicissima intuizione non solo stilistica ma immaginativa, Zerocene, dove lo zero può essere un annullamento ma anche un nuovo inizio, come tutte le metamorfosi:
Diluvia asciutto il tempo
franato sui fili d’erba che noi siamo.
Sbarrato il fotogramma dell’orrore.
Eppure un filo di diverso profumo
Sale dal rogo umano,
una farfalla incerta di volo,
noi tutti liberi dai bozzoli, imbalsamati
nelle infinite tane del pianeta,
la paura vinta nelle ali scarlatte,
il respiro come bandiera, il coraggio di nuovo planare
la diaspora colorata dei pollini risorti.
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